La giacca di jeans foderata di sherpa non soddisfava neppure la temperatura minima che desideravo, i vicoli di Roma a quell'ora erano paurosi e probabilmente pericolosi, ma io ero comunque impegnata a camminare tranquillamente, come se niente fosse.
Vedevo ragazze in tacchi e minigonna ovunque, sapevo della importante serata che si sarebbe svolta in una discoteca parecchio famosa quella sera, e lo sapevo perché si esibiva un certo Andrea che non conoscevo, ma che aveva attirato la mia attenzione in un momento di difficoltà.
Ero ancora in un momento di difficoltà e superare la faccenda per me era ancora un traguardo quasi impossibile, lui riempiva le mie giornate senza essere presente, riempiva i miei pensieri, il mio cuore, offuscava il resto dei problemi, facendoli volare via.
Per la prima volta nella mia vita sarei voluta partire per un lungo viaggio, lontana dagli errori, perché ne stavo effettivamente commettendo tanti, con tutte le volte che mi vietavo di fare qualcosa. Eppure spesso mi ritrovavo a pensare che mi sarei dovuta fregare di tutto quanto, fare di testa mia, sbagliare quanto volevo, perché infondo la vita era solo una.
Finalmente stavo ritrovando la voglia di vivere, di fare realmente qualcosa, dopo anni trascorsi senza proferire parola a nessuno, neanche a chi conoscevo dal primo attimo in cui respiravo.
Quando la mie mente arrivava a quel genere di pensieri, la voglia di scrivergli era talmente tanta che l'avrei fatto veramente, ma purtroppo avevo perso il bigliettino. Ero stata così idiota da tenerlo nella mia agenda scolastica, dato che ci pensavo sempre, anche durante quelle sei frustanti ore, e l'avevo accartocciato insieme ad una pagina piena di compiti scritti in modo sbagliato, buttandolo nel cestino.
Ormai era in chissà quale discarica, lontano dalle mie mani, dalle mie speranze e da tutte le illusioni che mi ero fatta, lontano pure dai rischi, dalle emozioni che avevo provato quella sera, dalle incredule reazioni al suo - mai sentito - addio. Ma forse era meglio così.
Come ho già detto, una delle poche cose in cui credevo era il destino, e se c'erano state tutte quelle complicazioni era un segnale, significava che era solo una sensazione sbagliata ed affrettata su una persona che a malapena conoscevo.
Continuai a pensarci, mentre il fumo usciva dalle mie labbra. I miei genitori credevano che io fossi a chissà quale festa con le mie amiche, anche se non ne avevo. Invece ero così diversa da occupare i vicoli della città per sfogarmi con me stessa, a notte fonda, fino a tardi.
Certe volte i genitori dovevano pensare ai loro figli in modo diverso, perché non era normale che tutti i miei coetanei fossero a quella fottuta festa e io fossi impegnata a fumare come un turco, piena di rabbia e amarezza, con qualche picco di tristezza.
Sentii dei passi, così cominciai a camminare verso il centro della città, dove non c'erano pericoli. Mi sedetti su una panchina che affiancava una fontana anonima, finché sentii delle urla di felicità, provenienti sicuramente da qualche ubriaco.
Curiosa com'ero, cercai con lo sguardo quell'eventuale ragazzo, pronta a farmi una risata, guardando la sua imbarazzante imbaranataggine. Invece, ai miei occhi si presentò quello che non mi sarei mai aspettata di vedere, la persona che aveva dato un senso alle mie giornate, che aveva dato un peso ad ognuna delle mie azioni. Andrea.
Erano le tre di notte, forse ero così fatta da dare i numeri e avere le allucinazioni, nonostante non fossi debole in quel campo. Ma ebbi la conferma che non stavo impazzendo ben presto, quando il ragazzo mi parlò.
"Giulia.." sospirò incredulo.
"Andrea.." lo imitai, avendo il coraggio di mandare a fanculo l'importanza del sapersi trattenere, correndo fra le sue braccia, con un nodo alla pancia che piano piano si stava sciogliendo.
Avevo la pelle d'oca, la voce strozzata da un pianto che stava per raggiungere il momento, gli occhi chiusi, vittima di un leggero bruciore, le gambe che stavano per abbandonare l'equilibrio e le braccia che non ne avevano mai abbastanza, come le mie narici, che non riuscivano a smettere di sentire il suo profumo.
"Cazzo Giulia. Ti ho pensato così tanto, ho sperato che tu mi chiamassi per giorni, e ci ho sperato pure qualche ora fa. Stavo per venirti a cercare con l'aiuto di non mio amico perché non riuscivo ad accettare di non vederti più. Non ci credo!" si lasciò sfuggire dalle labbra.
"Andrea" bloccai il suo lunghissimo racconto per fargli riprendere fiato "Io credo di amarti" lo guardai negli occhi, spezzando il mio cuore dopo aver capito di aver commesso un grande errore ad aver già rivelato i miei sentimenti nei suoi riguardi.
Lui, con la sua aria da ragazzo sciupa-femmina, le mani ferme sulla mia vita, gli occhi fissi sui miei, le labbra da cui entrava ed usciva aria silenziosamente, e poi io sicura di aver appena fatto una grande cazzata. Mi sbagliavo di nuovo.
"Non sai quant'ho sognato di sentirmi dire queste cose da te" si fiondò sulle mie labbra, camminando passo dopo passo verso un muro, senza staccarsi un solo secondo. A vent'anni diedi il mio primo vero bacio sentito, e non me ne pento minimamente, perché l'avevo dato alla persona più giusta possibile.
Certe volte le emozioni pensi che siano sopravvalutate, che le persone esagerino quanto le descrivono, che siano solo una cosa banale, ma tutti, e lo dico da persona che non ci avrebbe mai creduto, quando le proverete, sentirete il bisogno di stare così per sempre.
E così io speravo di rimanere.
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Il Miracolo Della 34A Strada.
Romance"Ci sono giorni in cui sprofondi nel passato, e poi giorni in cui pensi solo al futuro. Ci sono giorni in cui l'amore ti salva, e poi giorni in cui ti strazia. Ci sono giorni in cui si vive, e poi giorni in cui ti senti solo morire. Ma poi i giorni...