8. Il giorno dopo

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La mattina seguente, prima di prendere in mano la maniglia della porta d'ingresso, faccio un paio di respiri profondi. Odio con tutta me stessa questo genere di giorni, che arrivano senza darmi il tempo di riprendermi. Sussulto quando mia zia mi appoggia una mano sulla spalla.

Sono troppo tesa, mi dico cercando invano di rilassarmi. In effetti non so nemmeno da dove cominciare.

-Sicura di voler andare a scuola oggi? Si vede benissimo che non stai ancora bene, resta a casa- quasi mi supplica.

Mi sforzo per sorridere, ma tutto ciò che riesco a fare è stringere le labbra. Questa mattina, oltre ad aver scelto un outfit pieno di colori, ovvero una maglietta nera, jeans neri a vita alta e le immancabili All star, nere anche quelle, non mi sono né messa il piercing, né mi sono guardata allo specchio. Sono però sicura che la situazione sotto ai miei occhi ormai sia agghiacciante. Non ho dormito neanche tre ore stanotte.
-Non posso perdere altri giorni di scuola- mi giustifico.

-Se è per i professori possiamo spiegare loro la tua situazione- tenta lei speranzosa.

-No! Verrei trattata diversamente. E poi gli altri parlano già abbastanza di me- detto questo non aspetto nemmeno una sua risposta, ma apro la porta e cammino con passo strascicato e testa bassa verso la fermata dell'autobus. Lì mi appoggio contro un muretto in disparte e incrocio le braccia per nascondere il tremito delle mie mani. A peggiorare la situazione il cielo oggi è nuvoloso, quindi mi deprimo ancora di più. Ed è per colpa di quest'umore che mi spavento quando mi sento chiamare. Alzo lo sguardo e vedo Colin dall'altra parte della strada che cerca di attraversare senza farsi investire dall'autobus appena arrivato.

Presa dal panico quasi corro per salire per prima. Questa volta, però, mi tocca stare in piedi per tutto il tragitto.

Arrivata a scuola non mi prendo neanche la briga di cercare Linda o Riley, invece mi dirigo subito verso la classe di letteratura inglese, in fondo al corridoio del pianterreno. Insolitamente sono la prima ad arrivare, così prendo posto in fondo all'aula e appoggio la testa sul banco. Sento però dei passi avvicinarsi, quindi dovrò dire addio a questo fantastico silenzio.

Vi prego, lasciatemi in pace, supplico mentalmente non so chi.

Entra un ragazzo che non credo di aver mai visto, anche se è piuttosto carino, e si siede nel banco davanti al mio, perciò ne deduco che è un mio compagno di corso di cui non me ne è mai fregato nulla. Uno dei tanti. Meglio tornare a dormire prima che...

-Buongiorno- dice.

Troppo tardi. In risposta mugugno qualcosa senza nemmeno alzare la testa dalle mie braccia, ma quello a quanto pare non capisce il significato della mia non-risposta.

-Che cielo, eh? Sembra che stia per diluviare.

Oh, abbiamo un veggente che conosce i verbi tra di noi. Diluvia davvero oggi!

Non ricevendo alcuna risposta il ragazzo mi si avvicina leggermente. -Ehi, ma mi stai ascoltando?- mi chiede.

-Perché mi stai parlando?

-Eh?

-Non è giornata, quindi torniamo ad ignorarci come prima, ok?-
Senza aspettare un suo consenso mi alzo e cammino per i corridoi senza meta, fin quando non arrivo davanti alla macchinetta del caffè e decido di togliermi questa soddisfazione.
Per fortuna finisco di bere proprio quando rimetto piede in classe e suona la campanella, facendo scattare il mio insegnante di scienze.

A vedere quell'uomo al di fuori del contesto scolastico, si potrebbe dire che è un topo, con le sue orecchie decisamente troppo grandi per la sua testolina. E il corto taglio a spazzola di certo non aiuta. Non appena si accomoda sulla sedia, come di consueto, si aggiusta il papillon e si spinge gli occhiali sul naso, quindi fa l'appello e comincia a spiegare.

Amo particolarmente le lezioni di letteratura perché volano via che è un piacere, forse perché ascolto di rado, così vado al mio armadietto per prendere i libri della prossima ora. Qualcuno che doveva star correndo, però, mi finisce addosso, facendomi tirare una violenta spallata contro gli armadietti.

Ora non c'è più nessuno che parla: tutti mi stanno guardando in attesa di una rissa o di qualche parola pesante, com'è mio solito fare in occasioni del genere.

Invece io mi stringo la spalla dolorante con una mano, girandomi lentamente verso il ragazzo che ora è seduto a terra. Quasi mi stupisco nel riconoscere i suoi occhi color miele che già avevano incrociato i miei nella stessa situazione, però il mio sguardo resta indifferente, non esprimo nessuna emozione.

L'altro apre la bocca e poi, semplicemente, si rimette in piedi e riprende a correre, forse per paura che io possa ridurlo come l'altra volta.

Come se non fosse successo niente -cosa che in effetti è successa, o meglio non è successa- tutti gli studenti vanno nelle rispettive classi al suono della campanella, e così faccio pure io. Ormai non penso neanche più, tanto che alla fine ho dimenticato i libri dell'armadietto. Però è meglio così: se non penso i ricordi non torneranno e forse riuscirò ad arrivare sana a casa.

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Lo so, lo so. È un capitolo molto, troppo corto. Non è da me e mi scuso! Non ricordavo di avere fatto questa divisione insensata, ma ormai non posso più cambiare.
Per farmi perdonare almeno un po' pubblicherò di nuovo o alla fine di questa settimana (parlo di sabato/domenica) o agli inizi della prossima!
Bye!
DL

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