17. Tregua? Arriverà la tempesta dopo la quiete

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Non appena arrivo a casa mi chiudo la porta alle spalle e tiro un lungo sospiro di sollievo. Nel tragitto dal cortile della scuola fino a qui non una sola persona nell'intero universo ha fatto finta di niente venendomi con una maglia originale della nostra squadra di football addosso. Tutto ciò è risultato con l'avere la sensazione di essere un animale allo zoo. Fortunatamente ora sono al sicuro e ci starò per almeno altri due giorni, con la temporanea presenza di mia zia, che posso però ignorare.
Già dopo il primo passo avanti sento che c'è qualcosa di strano, ma non capisco cosa fin quando non supero la parete che separa il soggiorno dall'ingresso: Colin ha fatto entrare Ashton, un cavallo mascherato da cane, in casa. Colin è dentro casa mia senza che nessuno gli abbia aperto la porta. Incrocio le braccia al petto e mi lascio scivolare verso lo stipite, arrivando così ad appoggiarmici con la spalla. Ashton all'improvviso si accorge di me e mi si avvicina con un guaito, sapendo bene di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e io mi affretto ad infilare un dito tra il suo collare e il pelo per tenerlo fermo. Non sopporto che Colin possa accarezzarlo così facilmente. Ashton è un cane da guardia, che cavolo!

-Ciao- mi saluta il ragazzo. Noto immediatamente che ha una strana espressione: è impassibile. Lui non è mai impassibile, questo l'ho capito bene. Perciò ci sono due possibilità: o mi sta nascondendo qualcosa, oppure si è veramente stancato del mio comportamento nei suoi confronti.

-Ciao un corno. Come sei entrato in casa mia?- lo attacco fin da subito. -Anzi, non lo voglio neanche sapere. Esci.

-Non hai risposto al mio messaggio, mi sono preoccupato- risponde invece di fare come gli ho ordinato. Tanto non contavo che lo facesse.

Per prendere tempo e trovare le parole più acide per ribattere decido di accompagnare il cane fuori dalla porta, dopo avergli lasciato una carezza tra le orecchie, quindi ritorno in salotto e lancio sul divano il mio zaino, accomodandomi poi affianco.
-Mi è morto il cellulare- mento. Subito dopo, però, estraggo il dispositivo dalla tasca più piccola dell'Eastpak e premo sul tasto di accensione finché non si illumina lo schermo.

-Ma cosa...- mormora incredulo Colin.

Alzo gli occhi verso il suo volto e gli lancio una muta occhiata di sfida. Vuole proprio sentirsi dire che non lo voglio più tra i piedi, per caso?

Il ragazzo sostiene il mio sguardo ancora per qualche istante, poi rilascia un gran sospiro e si affloscia sul divano come privo di forze.

-Ti stresso così tanto? Sono capace di peggio, sai- lo informo leggermente sorpresa dalla sua reazione.

Colin accenna una risata che termina ben presto, dopodiché inarca il collo all'indietro abbandonando il capo contro lo schienale. In questo modo mette in risalto ben due cose, che non mi passano inosservate: una porzione di pelle, proprio sotto l'occhio sinistro, somiglia più alla buccia di un'arancia e dal colletto della sua maglia, rigorosamente a maniche lunghe, spunta una piccola parte di un tatuaggio. Non può essere una semplice voglia. Approfittando del fatto che rimane con gli occhi chiusi, forse per riprendersi dallo shock di avere me al suo fianco, riduco i miei a due fessure mentre analizzo ogni dettaglio del suo viso. La luce del sole che penetra dalla finestra alle nostre spalle gli illumina metà volto, facendo così brillare l'anellino al sopracciglio, e i suoi riccioli scompigliati alla perfezione, rendendo il distacco dal castano alle punte bionde del tutto impercettibile. Mi sporgo un po' verso di lui per identificare meglio i disegni sulle sue clavicole, perché ricordo che avesse un'ala o qualcosa del genere dall'altra parte. Questo invece sembra una scritta composta da ideogrammi, dalla mia angolazione.

Non lo capisco.

È tatuato, probabilmente fuma e, a giudicare dalle braccia sempre coperte, può essere un autolesionista. Ha bisogno di qualcuno su cui contare, di aiuto, e io di certo non gli sto rendendo la situazione più semplice.

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