Prima volta.

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La nostra vita è piena di prima volte: le prime parole, le prime idee, i primi passi, i primi litigi con i genitori, le prime cotte e i primi atti egoistici.
Quel periodo per me era stato pieno di prime volte, situazioni indescrivibili possibili da spiegare attraverso poche parole ma impossibile capire il mio stato d'animo. Ero travagliata, impaurita e semplicemente innamorata.
Già potevo mentire a me stessa quanto volevo, ma la realtà era una sola; amavo con ogni fibra del mio corpo: Jason.
"Allora sei pronta?", domandò cauto il giovane Whiteknight, guardandomi con aria compassionevole e rassicurante.
I miei occhi non volevano staccarsi dal corridoio nel quale qualche minuto prima, James era sparito, lasciando solo una forte tristezza presente, ancora nell'aria.
Un istante immobile in quell'ambiente classico dove per la prima volta avevo distrutto un cuore non curante della persona che avevo di fronte.
"Certo, perdonami" balbettai, ricomponendomi immediatamente e stampando un sorriso falso e tirato " da dove si comincia?".
Il ragazzo si avvicinò ulteriormente.
Due dita calde mi sfiorarono il mento, facendomi alzare il viso, mentre il mio sguardo annegava su due labbra sottili e forti.
"Non devi fingere con me. Piangi se vuoi io sono qui e non ti lascerò mai cadere", sussurrò abbracciandomi tra le sue braccia possenti e calorose, un quel momento erano l'unico posto in cui mi volevo veramente trovare.
Appoggiai il viso, respirando il profumo di vaniglia sprigionato dal maglioncino nero, mentre dei fiumiciattoli lo irrigavano, bagnandolo come se non ci fosse un domani in cerca di risposta nel nostro comportamento, ma solo voglia di lasciarci sfogare.
Piansi per mia madre ignara di tutto, per le mie ave e soprattutto per James.
Quest'ultimo stava cercando di salvarmi, cercando un qualcosa che io non potevo dargli.
"Va meglio?", chiese Jason, asciugandomi l'ultima lacrima dalla guancia.
"Sì", risposi asciugandomi con la manica gli occhi e staccandomi da quel corpo, mia unica ancora.
Tenni la mano del padroncino di quel piccolo paradiso canadese mentre mi guidava per lunghe rampe di scale, corridoi infiniti e un intreccio di passaggi segreti da una parte all'altra della villa, impossibili trovarli anche con l'aiuto di una mappa.
" Dai vieni, Emily", mi spronò Jason, accompagnandomi lungo l'ennesima scalinata verso il basso.
I sotterranei si rivelarono essere sotto un paio di livelli, rispetto al pianoterra della bellissima villa. I muri erano caratterizzati da mattoni, punti nei quali l'intonaco aveva perso la battaglia tra umidità e tempo.
"Vieni mia cara, siamo arrivati" borbottò il ragazzo, lasciandomi la mano per aprire una porta dalle sfumature rosse e viola.
La stanza si rivelò essere una minuscola palestra equipaggiata con ogni attrezzo possibile e non. Un quadro svedese occupava tutta la parete a nord mentre la controparte era caratterizzata da una fune e da una spalliera in legno d'acero.
"Wow, bella questa... palestra?", chiesi mordendomi le labbra per poi appoggiarmi su un'asse abbandonata accanto all'entrata.
"Lo so che non è alla pari del bosco del branco di James, ma è pur sempre un luogo adatto da dove iniziare", commentò Jason, togliendosi il maglioncino restando in canottiera.
Gli addominali e le linee del suo corpo muscoloso sembravano voler evadere da quello strato fino di cotone nero, che ne evidenziava le forme dinamiche anche se immobili.
Il mio sguardo si fermò sul bordo dei jeans dove due linee marcate andavano a finire dove si nascondeva il più grande dono che Jason potesse a fare ad una donna.
A quel pensiero una ventata di caldo mi partì dal basso ventre accompagnata da un forte impulso di gelosia mentre nella mia mente una chioma bionda si univa a un'altra rossastra. Chissà quanto era bravo ad amare Jason una donna? Chissà in quale maniera aveva amato Juliette? Quelle domande mi bloccarono, indugiando a osservarlo attentamente.
Da quando avevo appoggiato lo sguardo sul bel padroncino di Maison Wood, avevo scorso dei nuovi particolari.
Il modo in cui sorrideva continuamente quando qualcuno provava a fare una battuta mal riuscita, tipico del professore di inglese, il modo in cui annusava l'odore del mangiare in mensa e il modo in cui vegliava silenziosamente sulla sua famiglia.
L'avevo notato durante la famosa cena, grazie alla quale avevo potuto ammirare il giovane a proprio agio, in mezzo ai suoi simili.
"Allora sei pronta, Emy?", domandò il bel ragazzo, prendendo da un piccolo armadietto accanto alla porta un cronometro rosso.
"Certo, sì... sono pronta", balbettai togliendo a mia volta la t-shirt, rimanendo con l'intimo rosso.
Come aveva fatto il mio sguardo anche quello di Jason indugiò sulle forme che gli indumenti sembravano voler contenere a tutti i costi.
Le maniglie dell'amore, ornamento da sempre del mio corpo, sembravano fungere da esche per quelli lapislazzuli che mi osservavano anche mentre scattai in avanti pronta per un po' di riscaldamento fino al vero allenamento.
La stanza mi accorsi subito non era normale, ma incantata.
Man mano che le mie gambe acceleravano il passo, le pareti si allungavano liberando una profondità di cui la stanza non sembrava disporne. Il fiato cominciò a farsi sempre più pesante mentre i capelli si sciolsero dalla coda che li teneva stretti, rimanendo librati in aria, senza appoggio e senza aiuto. Ben presto senza rendermene conto mi ritrovai a correre in posizione di un comune cane, con entrambe le mani premute a terra. L'andatura si velocizzava ogni secondo, ogni minuto sempre di più sempre di più. I miei piedi sembravano letteralmente volare da quanto veloci toccavano il terreno. La fine della camera sembrava avvicinarsi per poi allontanarsi nuovamente, non permettendomi di toccare il fazzoletto rosso legato da Jason prima del cosiddetto <<Via>>.
"Forza Emily! Piega l'aria che ti travolge, usala!", urlò il padroncino di Maison Wood, con voce strozzata che sembrava un sussurro.
"L'aria è in me, l'aria è in me, l'aria è in me", mi ritrovai a ripetere cercando di comandare anche una leggera brezza per arrivare al mio unico intento. La sentii scorrere dentro alle mie vene. Mi sentii libera, viva in grado di volare sopra a qualsiasi cosa, qualsiasi ostacolo. Mi sentii impavida con una nuovo potere all'interno della mia persona: potevo fare tutto ciò che volevo.
Sentendo una leggera pressione sulla schiena chiusi gli occhi, staccando i piedi da terra. Mi accorsi appena della leggera brezza che avvolgeva il mio corpo, accartociandolo a forma di siluro, sparandomi come un proiettile addosso al mio traguardo.

"Complimenti, Emy!" ghignò Jason, avvicinandosi alla mia figura piegata in due dallo sforzo, prosciugata dalle energie usate "sei stata molto brava... lupa. Bella la tua coda!".
A quelle parole, un leggero movimento mi fece capire di cosa stava parlando.
Alla fine della mia colonna vertebrale una magnifica criniera bianca, si muoveva senza sosta da destra a sinistra.

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