La citta' di cristallo.

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"Benvenuta Perla, alla città di Cristallo", affermó fiera Nazima, indicando la propria terra nativa.

Ero totalmente scioccata. Mai nella mia vita avrei pensato di vedere uno spettacolo simile a questo.

Il brillio delle cupole delle case, fatte di quelli che sembravano pezzi di minerale trasparente, frangevano la luce, creando mini arcobaleni, usati poi come ponte dalle piccole fate, delle quali udivo lo scampanellio delle voci.

Al centro di quel spettacolo, una fontana con acqua dai mille colori presenti nel mondo, spiccava grazie alle enormi dimensioni, alzandosi di un paio di metri sopra le case.

"Vieni, Perla!", mi richiamó la mia guida, facendomi cenno di seguirla in un sentiero facile da calpesatare.

Percorremmo pochi passi, non incontrando nessuno. Tutte le fatine che avevo visto si erano rifugiate all'interno delle abitazioni, rivelatesi funghi luminosi, adornati con piccole finestre, balconi, tetti e comignoli dai quali usciva del fumo azzurro. Il cielo della città era dato da un'apertura sul soffitto della caverna, dalla quale scendeva una cascata d'acqua che stranamente non cadeva a terra, ma si librava in aria scomponendosi in piccole gocce, creando difframazioni di colore nell'ambiente circostante. In questa maniera, le pietre incastonate nella parete irradiavano i colori, donando luce e vita in quella piccola realtà, nascosta da occhi indiscreti.

"Non avrei mai pensato che ci fosse una cosa del genere al mondo!", esclamai, guardando lo scroscio d'acqua bloccato da una barriera d'aria invisibile.
Una piccola sfera, fatta di foglie e lamine di fungo ruzzolo' giù, da una casa accanto alla fontana, fino ai miei piedi.
Alzai gli occhi, intercettando una giovane bambina, dalle lunghe ali viola che si nascondeva dietro alla porta semiaperta dell'abitazione.
Nazima, non prestò attenzione al giocattolo, calciandolo verso il centro della stanza e scusandosi se alcuni di loro non capivano quando era il momento di crescere e quando quello di scherzare.

Corsi a prendere la piccola sfera chiara e andai verso la piccola fata che chiuse la porta di casa, con un sonoro tonfo che ruppe l'equilibrio e la magia di quel posto.

Nazima smise di respirare mentre appoggiavo sull' uscio del fungo il giocattolo, vedendo l'entrata della casa aprirsi.

Due lunghe mani presero la palla, proprio sopra le mie, sentendo così le pulsazioni del mio cuore aumentare.

"Grazie", sussurrò la fanciulla, donandomi un sorriso che avrebbe potuto rallegrare anche l'animo più oscuro.
"Figurati", risposi, felice di aver aiutato una creatura calma e serena, glielo si poteva leggere benissimo negli occhi grandi e blu.

Soltanto un rumore forte ed acuto, poté rompere quell'attimo in cui due persone di specie diverse riuscivano ad insaturare un legame di fiducia e di rispetto.

La fontana si stava scomponendo, dividendosi in tre livelli: la base restò immutabile e fissa a terra, la cassa contenente l'acqua si libró in aria, liberando la parte finale della costruzione dal quale usciva lo zampillo d'acqua.

Correnti d'aria sembravano suonare una melodia, attraverso le fessure dell'oggetto architettonico, ormai inesistente.

"Inchinati", mi ordinò Nazima, facendomi inginocchiare al suo fianco, piegandomi grazie ad una folata di vento.

Contro la mia volontà, sotto il peso di una forza invisibile, mi accucciai premendo il naso acquolino contro il terrendo freddo.

Riuscí a catturare uno straccio di quello che stava accadendo davanti a noi, alzando le pupille al cielo, dove si stava creando un piccolo tornado, dal quale uscivano dei capelli neri appuntiti ed una corazza verde smeraldo.

Gli occhi del nuovo arrivato non auguravano nulla di buono a chi osasse guardarli, ti incenerivano all'istante, facendoti bruciare la vista senza toccarti.

"Chi è?", chiesi, vedendo una lunga coda rossa di velluto sfilare, a due centimetri di distanza dai nostri visi.

"Celtus, il nostro comadante, nostro signore e mio padre", dichiarò la mia guida, con voce soffocata come per timore di essere ascoltata nel rivelare un segreto per pochi.

"Tuo padre?".
In effetti, ora che mi stavo alzando, come il resto degli abitanti, potei constatare che entrambe le fate, avevano gli stessi occhi e gli stessi lineamenti, tralasciando l'eleganza e la superbia trasparire da entrmbe le creature.

L'uomo, con non chalance, salí sopra un trono d'oro massiccio, apparso dal mezzo della fontana ed ora sopeso in aria, di fronte ad essa.

Il silenzio regnava sovrano mentre la mia guida avanzava verso il padre.

"Suddetti", tuonò la voce potente del regnante, "mia figlia è tornata dalla terra verde, polmone dei lupi", continuò, indicando la piccola Nazima.

Un forte coro di voce squillanti echeggiò tra le pareti rocciose della caverna, creando una pioggia luminosa di piccole stelle minerali volteggianti sull'aria fino a creare un simbolo.
Una foglia verde si creò sopra di noi, alla sua formazione ogni singolo membro della popolazione si toccó il cuore con la mano destra.

"Vi ringrazio padre", cominciò la mia guida, "siete molto cordiale nell'accogliermi con questa gioia nel vostro cuore e nelle parole!".

Stava scherzando? Ovviamente, non l'avrei mai detto sotto tortura, ma Celtus, emanava tutto: forza, coraggio, fermezza e carattere. Ma gioia o amor paterno non apparivano far parte della sua persona. Fiero e composto il sovrano, versava una voce di lacrima alla vista dell'emblema della propria stirpe.

"Padre, ho portato con me la prescelta!", disse Nazima, facendomi cenno di avvicinarmi ai piedi del seggio in oro massiccio decorato da fori e foglie d'acanto.
Con passo calmo e fermo, avanzai senza guardare direttamente il sovrano, per rispetto, ma lo ammetto anche per paura.

"Bene, non conosce le buone educazioni questa reale?", boccheggiò la fata scendendo dal proprio posto e ponendosi di fronte a me.
Era un paio di centimetri più alto di me e profumava di menta e tabacco un profumo che non avevo dimenticato dopo tutti quegli anni.
Alzai lo sguardo incrociando due iridi nere e vivide pronte a incendiare Roma come aveva fatto il potente e sciocco Nerone.
Il militare osservò i topazi verdi che mia nonna mi aveva regalato, accarezzò i miei capelli ed inspirò il mio odore.

"Ricordi così tanto tua nonna Iza, ma hai il dono di essere una grande guida come lo era il mio amico Mann, tuo nonno", ammise Celtus, camminando in cerchio attorno alla mia esile figura.
"Mio nonno? Ma non poteva fare parte di questo mondo. Lui era un normale, un umano", affermai, tortuando la mano destra.
"Già, ma lui lo scoprì da solo e scelse di farne parte a sue spese. Era un grande uomo e tu hai eridato la sua fierezza, la sua leadership e la sua totale mancanza di rispetto per le regole. Sei una figlia della razza ariana che tu lo voglia o meno."
Okay, era chiaro che in qualche maniera Hitler si era reincarnato in questa sottospecie di dittatore, puro concentrato di orgoglio patriottico in soli dieci centimetri reali.
"Come mai lei è qui, comunque?", chiese il bruno, volteggiando aaccanto alla figlia.
"Deve imparare a commandare l'elemento nobile", spiegò la principessa di quel reame nascosto e magico.
" Ha ha ha, quindi sei venuta qui per comprendere il significato della leggerezza, il nostro potere dal quale deriva ciò che siamo", sbottò il re, toccandosi l'armatura e spostando il mantello rosso.

"Sono venuta qui, perché non ho nessuno che mi possa aiutare a controllare ciò che scorre dentro il mio sangue. Sento il potere fluire dentro i vasi sangugni e non sono in grado di controllarlo. Sono venuta qui perché Voi siete la mia unica speranza per sviluppare la capacità di piegare il vento a mio volere. Sono venuta qui perché senza di Voi io sono inutile".

Le parole erano uscite da sole come se fosse un'altra persona a parlare per me. Non avevo studiato nessun discorso non pensavo ci fosse bisogno, ma sembrò aver fatto l'effetto dovuto perché Celsus fece cenno di seguirlo dentro una galleria nera, dietro alla fontana.

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