Capitolo1

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Siamo in pieno luglio e dire che "sto grondando" di sudore è un eufemismo pure per me stessa.
Trascorrere le ultime ore in macchina non fa altro che alimentare il mio nervosismo a dismisura, motivo per cui non sono mai stata molto contenta quando ho saputo del nuovo trasferimento dall'altra parte della mia città.
Cambiare città, routine, modi di fare, orari, e i ritmi non è mai stato facile per nessuno, nemmeno per me che ne dovrei essere abituata dato che di trasferimenti ne ho fatti tanti, ma non è così.
Ho passato gli ultimi cinque anni in una città perfetta, mi sono creata degli amici fantastici e pure un fidanzato che ha deciso di mollarmi qualche giorno prima che io partissi in questa nuova avventura, ecco perché il mondo mi è crollato addosso doppiamente.
I miei genitori mi avevano assicurato che da lì non ci saremmo più spostati, ma le loro parole avevano perso significato già da tempo dal momento che la frase mi veniva ripetuta ad ogni spostamento e cambio città.
Ogni volta è sempre un incubo cercare di integrarmi e interagire con nuove persone, non so mai se possa venire accettata o meno, se riuscirò mai a farmi piacere nuova gente, ma quando magicamente va tutto per il verso giusto e raggiungo l'apice della felicità, puntualmente il tutto mi si riversa contro.
Al solo pensiero il mio cuore si stringe in una morsa talmente stretta da mozzarmi quasi il respiro.

Osservo attentamente come la città mi passa davanti molto velocemente, gli alberi verdi sembrano soltanto delle macchie e le persone dei piccoli puntini lontani.
Guardo i miei genitori che non sembrano per nulla tristi o malinconici da questa cosa, anzi sembrano due ragazzini pronti ad una nuova avventura, all'esplorazione del mondo, dimenticandosi soprattutto che pure loro, qui, avevano degli amici.
Non so come facciano a rimanere così impassibili e indifferenti al tutto.
Guardo mio padre che sembra sentirsi osservato motivo per cui alza lo sguardo dallo specchietto retrovisore e mi guarda per pochi secondi per poi concentrarsi nuovamente sulla strada, mi sorride e cerco di fare lo stesso anche io ma non ce la faccio. Mia madre parla con quest'ultimo sicuramente di affari di famiglia o del cambio vita, cose di cui a me non me n'è mai importato realmente.
Mio padre l'ascolta molto attentamente e annuisce confermando qualcosa che lei ha detto.
Decido di ascoltare un po' di musica, tanto per fare passare il tempo, per fare qualcosa, ma quando mi metto le cuffie nelle orecchie e alzo il volume al massimo della musica queste non funzionano. Bene, di male in peggio! Ora devo pure sorbirmi i discorsi di mio padre e mia madre. Sbuffo sonoramente, massaggiandomi le tempie delicatamente, ne ho già abbastanza di tutta questa situazione.
"Emily, tesoro, siamo quasi arrivati, mancheranno quaranta minuti di viaggio, abbi pazienza" mia madre parla, ma il suo tono è così calmo e pacato che mi fa salire ancora di più il nervosismo alle stelle.
Manca poco, eppure mi sembra di essere nello stesso posto e di essere su questa macchina da un anno.
Sento l'esigenza di dovermi fare una doccia, dormire e svegliarmi tra cento anni.
Sbuffo di nuovo, credo di non reggere altri quaranta minuti di viaggio, sotto al sole cocente e soprattutto senza musica.
Chiudo gli occhi e quando credo di essermi addormentata profondamente, ecco che la macchina di mio padre accosta, gli sportelli si aprono e mi tocca scendere dalla macchina.
"Siamo arrivati, che meraviglia" esclama mia madre con occhi che le si illuminano appena ammira la casa davanti.
"Mamma è una normalissima casa, non un castello" cerco di risvegliarla dal suo mondo.
"La nostra casa" puntualizza alzando l'indice della mano. "Io e tuo padre abbiamo sempre immaginato che un giorno saremmo venuti a vivere qui, ed è da quando siamo giovani che la maggior parte del nostro guadagno l'abbiamo speso per questa casa." Puntualizza infastidita dalla mia risposta.
Decido di fare finta di nulla, apro il baule della macchina e afferro le mie valigie e le porto all'interno della casa.
Dò un'occhiata veloce ad essa, nulla a che vedere con quell'altra casa, ma cercherò di accontentarmi, per il resto non credo di restare a lungo qui dal momento che tra qualche mese molto probabilmente dovremmo cambiare nuovamente città.

Mi chiudo in quella che ho scelto sarà la mia camera per i prossimi giorni e noto con grande piacere che l'unica differenza da questa casa a quella precendente è un bagno nella stanza.
Perfetto, quasi magico oserei dire.
Potrei avere più spazio e tempo per me stessa.
Potrei farmi un bagno tutte le volte che vorrei senza dover avere i "minuti contati"
Nella casa precedente avevamo un bagno solo e quindi dovevamo dividercelo tra tutti, ma questo, forse, è l'unica parte della giornata che mi ha risollevato un po'.

Disfo la valigia e ripiego e metto in ordine tutto negli appositi spazi, le fotografie, le cianfrusaglie, addirittura con me ho conservato persino il biglietto dell'ultimo film che sono andata a vedere al cinema.
Due ore e mezza dopo ho finito di mettere in ordine il tutto e mi concedo un bagno caldo e rilassante, sciolgo i muscoli nell'acqua e chiudo gli occhi godendomi per un attimo la felicità.

Esco dalla vasca che sono le sette in punto, ho perso la cognizione del tempo, così indosso già il pigiama e decido di andare ad aiutare mia madre in cucina senza pensarci due volte.
"Serve aiuto?" Domando accigliata mentre noto che sta preparando qualcosa.
"Emily, non puoi piombare così mi sono spaventata" si porta una mano al cuore
"Comunque, puoi preparare la tavola mentre io cercherò di stendere questo impasto della pizza il più possibile" riprende a fare il suo lavoro.
Annuisco ed eseguo l'ordine senza troppi indugi.

Ad un tratto qualcuno suona il campanello, alzo lo sguardo verso mia madre che fa lo stesso.
Siamo appena arrivati, non abbiamo fatto rumore, giuro che se dovessi avere a che fare con dei vicini che rompono le scatole, potrei fare di peggio.
Ma scherziamo? Siamo qui da quanto? Quattro ore? Cinque? Sbuffo sonoramente e mi avvio verso la porta pronta a riprendere a parole qualcuno che sicuramente avrà da ridire su qualcosa.
Mio padre mi precede ed apre la porta normalmente, davanti a noi c'è una ragazza.
Avrà più o meno la mia età, una coda scompigliata e qualche ciuffo che le ricade qua e là, una tuta più grande di lei e pantafole.
"Cerchi qualcuno?" Dice mio padre con tono alquanto burbero che suona strano anche a me dato che non si è mai permesso di rispondere così nemmeno al barbone che viveva in strada.
Mi avvicino a lui curiosa e quando la ragazza mi vede le si illuminano gli occhi, ma insomma che c'è che non va?
"Ciao, mi chiamo Ines e dato che voi siete i nuovi arrivati è di rito che il vicinato porti qualcosa alla nuova famiglia che alloggia qui" dice felice raggiante.
Bhe dove vivevo prima non è mai successo, ma è molto carino da parte sua, dico davvero.
"Io vivo ad un paio di case da qui, lo vede quel balcone dove c'è quel lenzuolo appeso, ecco lì vivo io" indica. Mio padre ed io ci sporgiamo per guardare il suo balcone curiosi.
"Vi ho preparato una torta, l'unica che so fare, come ho detto è di rito farlo da queste parti appena una famiglia mette piede in città, più che altro è per fare vedere che c'è tanto calore e condivisione tra di noi. Se non ci aiutiamo noi l'uno con l'altro chi lo fa al posto nostro?" conclude. È logorroica la ragazza, ma ha fatto davvero un bel gesto. Mio padre prende la torta che la ragazza gli porge e la ringrazia con tono dolce questa volta.
"Se aveste mai bisogno di qualcosa non esitate a chiedere a me o a mio fratello" ci saluta e si rintana in casa.
"Davvero carino questo gesto" ammetto "Non è da tutti farlo" concludo.
"Si chiama umanità. Di umani ce ne sono tanti, ma di umanità ben poca. Tienilo a mente Emily"
Mio padre mi carezza una guancia gentilmente e poi spiega a mia madre ciò che è successo poco fa riponendo la torta in frigo, mentre io rifletto sia sulle parole di Ines e di mio padre.

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