Capitolo 4

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Entrare di nuovo in quella casa, mi mette ansia. Ma ho promesso a John e non mi posso rimangiare la parola. Apro, con la chiave sotto il vaso, ed entro silenziosa. Sono le undici di sera, ho scelto apposta questo orario per non incontrarlo. Sarà di certo fuori, con qualche oca giuliva, a spargere il suo prezioso seme.
Arrivo al giardino, e cerco di accendere la luce esterna, che però non ne vuol sapere. Meno male che il cellulare è carico, posso usare la torcia. Cerco l'innaffiatoio e lo riempio d'acqua. Ammiro tutte le piante che ci sono, stupendomi del pollice verde del mio amico. Inizio ad innaffiare, seguendo scrupolosamente le istruzioni che mi ha dato John. Sono a metà compito, quando un rumore, abbastanza vicino, mi paralizza. Che ci siano i ladri? Spero proprio di no. Ice non è, visto che la sua auto non era posteggiata nel vialetto. Resta solo questa opzione. Spengo la torcia e mi nascondo dietro un gigantesco baobab, afferrando il primo oggetto che trovo per usarlo come arma. Delle cesoie, usate certamente per potare i rami, molto pesanti ed appuntite. Ma servono allo scopo.
Sento la porta della serra che si apre ed il cigolio che fa una volta richiusa.
Il cuore mi martella, sudo freddo e ho anche una paura del diavolo. Sento dei passi, anche se ovattati dal pavimento in terra battuta. Si sta avvicinando sempre di più.
Che faccio, resto nascosta o lo affronto? Opto per quest'ultima e, silenziosa, sguscio fuori. Non mi viene in mente di scappare, neppure per un istante.
Seguo la sagoma, che si muove piano, ed una volta in prossimità, sferro il colpo. Non lo prendo in testa, in quanto non voglio finire in carcere per omicidio, ma sulla schiena. Il ladro urla, si rivolta contro di me, afferrandomi e sbattendomi sul pianale di legno. Gli assesto un calcio nell'addome, sento il tonfo della caduta. Gli balzo sopra, alzo il braccio per tirargli un pugno, ma mi acceca con la luce di una torcia.
"Fire? Ma che cazzo fai!" Urla.
"Ice?" Chiedo stralunata.
"No, sono babbo natale! Certo che sono io. Ma perché mi hai aggredito, sei impazzita?" Sibila.
"Credevo fossi un ladro! Sei entrato al buio, silenzioso. Ho creduto davvero che fossi un delinquente!" Sento dei rumori e poi, la luce si accende.
È sporco di terra, ha del sangue che scende dal collo e si massaggia lo sterno.
"Ricordami di non fare mai a botte con te, sei micidiale" scuote la testa, mi rialzo.
"Ora mi dici perché sei qui?" Interroga.
"Tuo padre mi ha chiesto di badare alle piante. Ho pensato che fosse meglio non incontrarci, così sono venuta adesso" spiego. Indurisce lo sguardo e col gelo nella voce, parla: "la prossima volta, mandami un messaggio. Sarò ben felice di non farmi trovare. Non importa che ti intrufoli come un ladro. Sei fortunata che ho sentito quelle poppone che ti ritrovi. Altrimenti non sarebbe finita bene" ringhia.
"Quelle poppone? Ma come ti permetti!" Sibilo furiosa.
"Mi permetto, dato che me le hai sbattute in faccia causandomi un trauma cranico. Mi stupisco che ancora non ti sia venuta la gobba. Ma quanto pesano?" Discute.
"Non sono affari tuoi. E non starò certo a farmi sfottere da te" gli volto le spalle.
"Però ti sei lasciata fottere. E anche parecchio" ghigna.
"È storia vecchia, Ice. Ed è stato così poco coinvolgente che neppure lo ricordo. Buona serata, addio Ice" lo saluto. Entro in casa, non accorgendomi che mi segue. Solo il suo lamento attira la mia attenzione.
Mi volto giusto in tempo per vederlo appoggiarsi alla parete, tenendosi la testa.
"Mi fischia tutto e mi gira la testa" sussurra, sofferente. Lo afferro e lo dirigo al divano, dove si lascia cadere.
"Fammi vedere" intimo.
Alza il viso e vedo il taglio proprio accanto all'orecchio.
"Credevo di aver mirato alla schiena" espongo.
"Hai una mira di merda, tesoro" ed ecco i commenti alla Ice.
"Ti porto in ospedale. Potrei averti lesionato un timpano. Riesci ad alzarti?" Chiedo.
"Sì. Le chiavi della macchina sono sul mobile" istruisce. Mi metto il suo braccio sulle spalle, cercando di sostenerlo in qualche modo.
Afferro le chiavi, apro e una volta passati, richiudo la porta. Faccio scattare l'apertura, spalanco lo sportello e lo aiuto a sedersi. Gli allaccio la cintura, corro al posto di guida e metto in moto. Afferro stretto il volante, il sudore scende copioso.
"Non sei costretta se non te la senti" sussurra.
"Se ti succedesse qualcosa John ne morirebbe. Tu sai il bene che gli voglio. Ma non illuderti, è solo una tregua temporanea" replico, gelida.
"Non ne dubitavo."
Ingrano la marcia, premo il pedale e, a velocità sostenuta, corro verso il pronto soccorso.
Impiego poco, mollo la macchina nel primo posto che trovo, corro dentro a cercare un'infermiera. La trovo e spiego.
Esce, con me, spingendo una carrozzina a rotelle. Afferra Ice, che le rivolge un sorriso grato, lo posiziona e rientriamo.
"Lui va in trauma uno" dice ad un portantino.
"Signorina, c'è qualche familiare da contattare, se servissero dei consensi?" Domanda. Penso a John e Hope, ma non voglio rovinare il loro viaggio.
Prendo un respiro e, a malincuore, dico: "Non serve, sono la moglie".
Mi esce con fin troppa durezza, la donna capta ma non commenta.
"Bene, si accomodi in sala d'attesa. La chiamiamo noi" risponde, indicando.
Mi siedo e prendo il telefono. Invio un messaggio alla mia amica.
-Chiamami non appena lo vedi. S.o.s, urgente-
Mi richiamerà, ma troppo tardi. 

Continua...

SIAE Ice- The game of... [Broken Hearts Saga] SU AMAZON29/03/2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora