Capitolo 1

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Voglio che mi trovi e mi salvi.
I miei sogni e tutte le cose che ho voluto senza sosta stanno diventando vecchi amici.
Non ci posso credere.
Ho urlato ma tutto ciò che mi è ritornato indietro è stato un “vai”.
Quella frase, quell’unica frase
mi ha fatto chiudere le mani e restare immobile come un idiota.
Mayday-GOT7

Lee ChoSo è una ragazza semplice. Le piacciono molte cose, come ad esempio le belle scarpe, i bei vestiti, le belle borse, i dolci deliziosi venduti nel suo coffee shop preferito, i bei paesaggi. Al contrario non ne odia molte, forse è possibile ridurle a due soltanto. La prima sicuramente sono gli idol, che purtroppo nella nazione in cui vive, la Corea del Sud, sono una categoria abbastanza numerosa. La seconda è svegliarsi presto la mattina, soprattutto se la sera prima è andata a dormire tardi per via di un lavoro da ultimare. Questa mattina, purtroppo, non è destinata ad iniziare bene. Sono solo le sei del mattino ma il telefono squilla già da un po’. Non può più ignorarlo, a malincuore decide di scorrere il dito sullo smartphone dopo aver letto il nome del suo mattiniero interlocutore.
«SaNa-ya (*Ya/Ah: È un suffisso coreano che mostra confidenza e familiarità nei confronti dell'interlocutore) sai che ore sono?! Sono andata a dormire solo 3 ore fa! Si può sapere cosa c’è di così urgente?! Se non è qualcosa di importante giuro che ti ucciderò con le mie mani!».
La voce di ChoSo non è molto rassicurante e ciò è recepito anche dall’altra parte della linea.
Dopo qualche secondo di silenzio, una voce un po’ tremante inizia a pronunciare qualche parola.
«Unnie! (*Unnie: È un termine confidenziale coreano con il quale una ragazza piú giovane si rivolge ad una piú grande) Sono appena arrivata a lavoro e il capo mi ha detto di chiamarti. Vuole assegnarti un nuovo lavoro. Mi ha detto che vuole vederti subito. Io ho provato a trattenerlo dicendogli che ieri per completare quel lavoro avevi fatto le ore piccole, ma non ha voluto sentire ragioni! Ha insisto, vuole parlare lui stesso con te, dice che è un lavoro importante che solo a te può delegare, si parla di un’agenzia importante, ma non so nient’altro».
Di certo questa giornata è iniziata con il verso sbagliato e questo ChoSo lo ha già capito.
«Aish! (*Aish: Termine coreano utilizzato quando si ha a che fare con qualcosa di fastidioso appena successo; letteralmente "accidenti") Ho capito, ho capito, arrivo subito».
«Unnie, lo so che non dovrei dirtelo, ma ha detto pure di sbrigarti perché tra poco ha un volo per un servizio fotografico oltre oceano di cui deve occuparsi».
La pazienza di ChoSo sta per essere messa a dura prova sin dal mattino presto.
«Ok, ho detto che ho capito. Riattacco. Ciao!».
Che cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto questo? Aveva appena concluso un lavoro importante poche ore fa. Perché? Lo sapeva benissimo, la gavetta nel suo lavoro è importante, quindi, non poteva neanche lamentarsi. Più lavori gli avrebbe dato il suo capo, più sarebbe stato facile sfondare nel suo campo. ChoSo è, infatti, un’apprendista fotografa. Da due anni lavora per l’agenzia fotografica PROD. Una piccola agenzia che pian piano si sta ben ritagliando il suo spazio di successo in Corea del Sud e non solo. Il fatto che il suo capo la tenesse in considerazione per i lavori importanti le faceva piacere. Aveva appena finito un servizio fotografico per la campagna pubblicità di una nota compagnia aerea. Aveva fotografato paesaggi bellissimi. Quello che le piace fotografare maggiormente sono proprio paesaggi sterminati, affascinanti, luoghi dove la presenza dell’uomo è ridotta al minimo se non assente. Sperava davvero che anche questa volta avrebbe avuto modo di fotografare nuovi angoli di paradiso terrestre. Almeno questo avrebbe reso più piacevole questa giornata iniziata non proprio nel migliore dei modi.

La PROD si trova all’ultimo piano di un edificio al centro di Seoul. Appena fuori dall’ascensore SaNa, la giovane stagista che prima l’aveva chiamata, era lì ad attenderla.
«Unnie, sei qui! Vai subito nella stanza del capo, ti sta aspettando». Un po’ sorpresa dell’accoglienza di SaNa, ChoSo si dirige subito nella stanza del suo capo, Kim HyunJun, un uomo sulla cinquantina con un’unica passione: la fotografia. Dopo aver bussato ed aver atteso un «prego», ChoSo entra e trova il suo capo chino sulla scrivania a firmare chissà quali scartoffie prima di partire.
«Oh ChoSo-ssi (*Ssi: È un suffisso onorifico coreano che mostra rispetto nei confronti dell'interlocutore; letteralmente significa "signore, signora, signorina") sei qui finalmente».
«Sí, capo Kim sono qui, mi dica pure del nuovo lavoro».
Il capo Kim si fa serio in volto, questo preoccupa un po’ ChoSo, perché mai quella faccia così seria? Non è molto da lui. Il capo Kim è un tipo che si fa rispettare ma è anche un uomo ricco di spirito, anche se qualcosa lo preoccupa è raro vederlo triste e con una faccia sconsolata. Perché mai è in questo stato?-pensa ChoSo.
«ChoSo-ssi. Ho bisogno davvero del tuo aiuto. Come vedi dalla valigia proprio qui vicino alla scrivania, sto per partire. Non so quanto tempo starò fuori per questo lavoro. Ieri è arrivata una richiesta da un’agenzia sudcoreana molto importante e devo chiederti di occupartene personalmente. Non posso contare neanche su Cho KiKwang-ssi perché si trova all’estero per ultimare un altro lavoro».
Non era la prima volta che il capo le affidava lavori importanti, perché adesso si comportava così? «Non si preoccupi capo Kim farò di tutto per portare a termine questo lavoro. Può partire tranquillo senza rimpianti».
ChoSo cerca di rassicurare il suo capo, ma quest’ultimo non sembra voler credere alle parole di una delle sue dipendenti più promettenti.
«ChoSo-ssi, sono preoccupato ad affidarti un lavoro del genere, ma non ho scelta, cerca di capire». ChoSo annuisce solamente. «L’agenzia di cui ti parlo è la JYP». A sentire il nome dell’agenzia gli occhi di ChoSo si spalancano. «Capo non starà parlando della JYP entertainment, vero? È solo un caso di omonimia, vero?».
Il volto del capo Kim si fa sempre più scuro.
«Vorrei poterti dire quello che desideri ChoSo-ssi, ma purtroppo non posso. Sì, si tratta della JYP entertainment. Devi occuparti del photo book del nuovo album musicale di un gruppo di idol». Idol? La parola che ChoSo odia di più al mondo è pronunciata dal suo capo. Anche il volto di ChoSo si fa scuro in volto.
«Capo, io… io… non posso… lei lo sa… io…» pronuncia con un filo di voce.
«ChoSo-ssi lo sai che se potessi ti toglierei all’istante da questo incarico, ma tu sei l’unica di cui mi fido, oltre a KiKwang-ssi. Quindi ti prego di fare del tuo meglio per concludere questo lavoro nel migliore dei modi».
Nel migliore dei modi? Con di mezzo degli idol? Impossibile, pensa ChoSo. Da dove deriva tutto quest’odio nei confronti degli idol? Bisogna andare molto indietro nel tempo. Da quest’odio deriva addirittura la sua vocazione professionale, la sua voglia di sfondare nel mondo della fotografia, per riscattare il padre. Padre che, 12 anni fa, fu costretto ad appendere la macchina fotografica al chiodo a causa di un gruppo di idol meschino ed egoista. Suo padre, Lee SooKi, uno dei fotografi migliori di tutta Seoul è costretto a lavori saltuari per via di quegli idol meschini che lo hanno infangato proprio durante un servizio fotografico. No, non voleva fare la stessa fine di suo padre. Il suo sogno era riscattarlo non finire nella sua stessa situazione. Come poteva il suo capo farle questo essendo a conoscenza di quel triste passato? È vero che dalle sue parole si percepiva la sofferenza con la quale è giunto alla conclusione di affidare quel lavoro proprio a lei. Ma perché non mandare qualcun altro? Che lavoro importante poteva mai essere un photo book per un album musicale? Non che lei fosse il tipo da snobbare lavori ma la scarsa considerazione che provava per gli idol la portava anche a tali pensieri. Dopo qualche minuto di silenzio il capo Kim riprende la parola.
«So che questo non è un lavoro semplice per te. Ci ho riflettuto a lungo. Conosco la storia di tuo padre, ero un suo hoobae (*Hoobae: Termine che indica un compagno di scuola o di lavoro piú giovane) nell’agenzia in cui prestava servizio. Ma non può ripetersi lo stesso incidente. ChoSo-ssi devi vincere questo tuo odio».
Non poteva credere alle parole del suo capo, come poteva parlare così di un fatto così importante per lei?
«Capo Kim, io non credo proprio…».
Il capo Kim si fece serio in volto «Mi dispiace ChoSo-ssi ma non accetto nessun rifiuto» pronunciò in maniera decisa.
ChoSo non poté ribattere, era pur sempre il suo capo.
«ChoSo-ssi stai tranquilla, mi sono anche informato sul gruppo, sono dei ragazzi diligenti, si impegnano molto in quello che fanno. La loro agenzia, lo sai, è una delle migliori del paese. Non hai di che temere. Mi fido di te e so che puoi farcela». Farcela? La stava facendo più facile di quello che sembrava, pensò ChoSo.
«Se la mette così Capo Kim, non posso rifiutare, proverò ma non so se riuscirò a portare a termine il lavoro come lei desidera».
Nel volto cupo e serio del capo Kim si disegnò un sorriso.
«È già un inizio. Bene, adesso puoi andare. Chiedi a SaNa-ssi luogo e ora dell’appuntamento. Finisco di firmare qui e vado in aeroporto. Stammi bene ChoSo-ssi e… Fighting» (*Fighting: Formula di incoraggiamento; letteralmente significa "forza").
Semplice a dirsi, pensò ChoSo. «Ne (*Ne: "sí" in coreano) Capo Kim», non poté fare a meno di pronunciare.

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