"Devo solo imparare a volare, poi ti verrò a prendere.
Aspettami. "Kim Taehyung
Il latte era fin troppo freddo. Così freddo da percepirlo scendere in gola, lentamente. Di fronte a me mia madre, con quel suo solito volto da donna depressa. Borse così profonde da riuscire a vedere l'osso scavato e la pelle violacea che tentava di camuffarsi tra le vene intrinseche che vagavano su di quel volto pallido, troppo pallido. Davanti a me, il fantasma di mia madre che continuava a fissare la tazza di caffè fumante.
Il fumo andava a disperdersi, i suoi pensieri no. Quei pensieri che si leggevano increspatura dopo increspatura su di quel caffè amaro. Come riuscisse a bere qualcosa di amaro e caldo non sarei mai riuscito a capirlo, ma probabilmente non mi sforzavo nemmeno per poterlo minimamente comprendere. Sono suo figlio e i figli non si preoccupano per i genitori, abbiamo altri pensieri. A volte più importanti, altre volte no. Perché pensare ai genitori, alla fin fine loro ci hanno solo dato la vita..."Mamma perché stai parcheggiando?"
"La preside deve parlarmi" e scese dalla macchina dimenticando quasi le chiavi all'interno dell'auto. Scesi anche io dalla macchina e seguii con lo sguardo la figura di mia madre, era meglio andare insieme a lei. Non ha mai avuto un ottimo senso dell'orientamento e la mia scuola somigliava più ad un labirinto che ad un insieme ordinato di corridoi.
"Questo è l'ufficio mamma, ti aspetto fuori" le dissi e lei annuì semplicemente. Mi parve di vederle il volto ancora più stanco di quanto già non fosse. Quegli occhi color nocciola si erano dispersi chissà dove, era il nero a dominare il suo sguardo vuoto e, ormai, assente. Appena entrò nell'ufficio della preside Chung mi accomodai sulle sedie di plastica poste di fronte alla porta dell'ufficio. Sedie scomode e fredde, sedie prive di colore e di sostanza. Un po' come quella strana giornata di Marzo. E dire che quel periodo dell'anno era sempre stato uno dei migliori. Iniziavano le stagioni sportive e si aprivano i club d'arte, ma quel Marzo era diverso. Quel Marzo era occupato dalle continue piogge e nessun club d'arte o sportivo avrebbe aperto. Quel Marzo era diverso e...vuoto.
Alle mie spalle una parete che mi separava dal corridoio principale della scuola, eppure alcun suono echeggiava attorno a quel muro pieno di quadri e certificazioni incorniciate.
Dov'erano i colori in quella scuola?
Dov'erano i suoni in quella scuola?"Le do un mese!" sentii la voce di mia madre urlare quell'esatte parole alla preside. A quelle urla, la porta aprirsi e i suoi passi pesanti sconnessi tra loro.
"Ci vediamo a casa" e la sua figura così sottile da sembrarmi trasparente uscì da quell'ufficio troppo grande per sole due donne, ma troppo stretto per contenere tutti i pensieri dell'una e dell'altra. Non aggiunsi nulla, stetti in silenzio e la seguii con lo sguardo. Più si allontanava più il rumore dei suoi passi lasciava piccoli ricordi tra quel pavimento giorno dopo giorno sempre più sporco. Ricordi sempre più piccoli, passo dopo passo... finché la sua figura fu inghiottita dalle pareti di quella scuola e con lei, il suono dei suoi passi.
Mia madre è sempre stata quella donna che attraversava sentieri senza mai trovare nulla alla fine.
Mia madre era una donna triste.Il suono della campanella mi invogliò ad alzarmi da quella scomoda sedia e raggiungere la mia classe. Nonostante l'aula fosse vicina, raggiungerla mi parve quasi impossibile. Sentivo le gambe pesanti e i piedi strisciare a rilento. Non avevo idea di che cosa mi stesse succedendo e non ero nemmeno curioso di saperlo. Sembravo quasi esserne spaventato. Intendo, spaventato della verità.
Aprii la porta della mia classe. Vuoti, solo due posti. Mi diressi verso il mio banco: depresso, muori, feccia... erano quelle le parole incise sul mio banchetto. Tutte ben scritte e intagliate perfettamente affinché potessi leggerle senza alcuna difficoltà. C'era chi riusciva ad impegnarsi di più nell'offendermi e nel rovinarmi la vita che nello studio. Senza guardare nessuno, mi misi a sedere.
"Buongiorno ragazzi" ed entrò la professoressa. I capelli raccolti in quella lunga coda marcavano maggiormente i lineamenti di quel latteo volto, reso opaco dal poco sonno, era evidente. Era evidente in qualsiasi volto che incrociassi nei corridoi oppure per strada.
All'ala rotta di un solo uccello, tutti gli altri uccelli ne riescono a sentire il dolore, diceva mio padre e non aveva torto. Ma fin quanto riescono a percepire il dolore? Gli altri uccelli non urlano, ne urla uno solo e all'interno di quell'aula non si sentivano urla ma sussurri. Erano i sussurri dei nostri pensieri, e nemmeno cento di essi messi insieme sarebbero stati in grado di creare l'urlo della persona che aveva perso l'ala.
L'insegnate iniziò a scorrere l'elenco dei nostri nomi e prima che iniziasse a fare l'appello, deglutì, diede una veloce occhiata all'ultima parte di quella breve lista e poi iniziò a chiamare, uno ad uno, noi.
"Park Jimin" e il tono parve allentarsi al pronunciare quel nome. Guardò l'aula, "manca anche oggi" e segnò il nome nell'enorme registro che teneva nella mano sinistra.
"Perché continuate a segnarlo assente?! E' da quasi un mese che non viene più" e il suono della voce di Namjoon parve come distruggere quelle leggere lastre di vetro che ci separavano l'uno dall'altro. Al suo timbro di voce infastidito e abbattuto, tutti noi ci voltammo verso di lui. Stava guardando le sue stesse mani e il capo chino su di esse non mi permise di poterlo guardare per bene negli occhi. Era il primo a soffrire della mancanza di Park Jimin, eppure era l'unico a far pesare la sua assenza.
Distolsi lo sguardo dai capelli disordinati di Nam e mi voltai lentamente, incrociandomi con Yoongi. Le labbra incorniciate dalla nicotina e gli occhi oscurati dalle notti insonni. Almeno certe cose non erano comunque cambiate.
"Kim Taehyung", sentii il mio nome e quando feci per dire 'presente' , qualcuno bussò alla porta che poi aprì subito dopo.
L'alta figura di una giovane donna dai capelli lungi e corvini si intravide a poco. Poi la voce scoprì del tutto quella figura; elegante, sfilata, dal viso curato e poco truccato. L'unica sopravvissuta a quell'epidemia di zombie sofferenti di insonnia oppure l'unica a soffrirne più di noi...?
"Scusi l'interruzione professoressa, ma sto cercando Kim Taehyung. E' in questa classe?" , l'attenzione ricadde in pochi sitanti su di me. "Sì, è in questa classe. Ma lei chi è?"
"Sono la nuova psicologa". A quella frase la professoressa parve indietreggiare di poco con il corpo. Sembrava quasi spaventata e il suo sguardo rendeva evidente quella mia impressione.
"Non si preoccupi, sono qui per aiutare" aggiunse l'altra mostrandole un sorriso rassicurante. Un sorriso evidente a tutta la classe e oltre a rassicurare l'insegnante, tutti noi studenti ci sentimmo un po' più risollevati.
Quindi c'è ancora qualcuno che sorride, pensai sorridendo brevemente a mia volta.
Il mio: un sorriso invisibile, privo di sostanza, intoccabile.
Il suo: un sorriso visibile, percepibile persino sulla pelle, palpabile.
La nostra stessa esistenza seguiva sentieri diversi, eppure l'uno si era precipitato sull'altro.
Sinceramente temevo di provare ciò che viveva costantemente mia madre; percorrere sentieri e non trovare mai nulla. Niente di concreto, niente di certo.
Eppure quel sorriso era già una certezza, era già un qualcosa di concreto.
Era l'unica cosa vera che avevo intorno.
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飛び去る- Tobi Saru
Fiksi RemajaUna corsa contro il tempo, legami, ricordi, passato e presente. Un cerchio che continua a ripetersi attraverso bocche sconosciute e altre infiltrate. Quella che è e che sarà la vita di Jung Hoseok verrà ricostruita attraverso le vicende di chi anco...