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Kim Taehyung

Le Winston erano cadute a terra e una volta finite sotto il letto, tra carte e calzini dimenticati, rimasero lì. Avevo rubato il clipper color oro ad Hoseok davanti ai suoi occhi e lui, come al solito, aveva fatto finta di nulla. Era proprio durante quei pomeriggi, tra il forte odore delle sigarette e le loro ceneri, Hoseok rimaneva in silenzio, senza mai incrociare il mio sguardo. Ai suoi occhi prendevo le sembianze di un tabù che respirava. In quel silenzio avvertivo le parole mai dette che ha portato via con lui. Hoseok, cos'è che avresti voluto dirmi durante quelle lunghe ore di incessante silenzio? Prendevamo la metro senza dire una parola e sugli autobus sembravamo due perfetti sconosciuti. Non c'era alcuna distanza a separarci, ma solamente il silenzio di due cuori che avrebbero voluto vomitare centinaia e centinaia di parole. Le mie sarebbero state simili al suono ovattato delle onde del mare che non avevamo ancora mai visto insieme, né durante le vacanze estive né durante quelle fughe adolescenziali che si sognano ad occhi aperti. Una volta avevamo preso le nostre bici e rimanemmo a Busan tutta la notte, seduti tra gli scalini dei vicoli ciechi a fumare le prima sigarette e bere le birre più economiche dei kombini con del soju scadente. Potevamo divertirci in altri modi, ma in quel periodo ci bastavano quei divieti e altre regole da infrangere insieme. Le parole che avrei voluto dirgli si avvicinavano più all'estate che alle altre stagioni. Le avventure che avrei voluto vivere insieme a lui sembravano quelle delle serietv più famose e amate e invece avremmo solamente vissuto le nostre vite uscendo dagli schemi. Ma Hoseok rimaneva in silenzio ed io avrei tanto voluto tradurre il suo non parlare in qualcosa di concreto, che potesse avvicinarsi anche un minimo a me medesimo e nessun altro. Nonostante Hoseok fosse sempre con me, mi mancava.

Il nostro mondo era diviso tra quei silenzi e quei momenti indimenticabili che rendevano uniche le nostre due vite, che una volta intrecciate, tornare indietro diventava impossibile. Erano i momenti in cui sentivo il suono delle pietruzze sbattere sulla finestra di camera via che tutto iniziava a prendere forma. Forme complesse e indecifrabili iniziavano a far parte della nostra quotidianità e tutto era più bello. Tutto era più...nostro. Aprivo la finestra e vedevo lui ancora in pantofole con la macchina di sua madre alle spalle e la voglia di correre più veloce del vento senza mai fermarsi e con me accanto. "Scendi" disse piano ed entrò veloce in macchina aspettandomi.
La radio era sempre spenta e i finestrini aperti ci lasciavano ingannare il tempo che tra il suono dell'acceleratore e delle ruote sull'asfalto noi diventavamo sempre più giovani, perdendoci nei nostri diciotto anni. "Hoseok, andiamo a vedere il mare?", erano quelle le parole che avrei tanto voluto dirgli, ma quando mi voltai, vidi un viso infelice stringere il volante con mani tremanti e occhi brillanti. I suoi denti stringevano le labbra facendole sanguinare e le nocche fredde perdevano il controllo lasciandosi andare al tremolio delle dita unte dal sudore freddo che sembrava rendere ancora più lucida la sua pelle. Stava piangendo senza riuscire a prendere fiato. Si stava perdendo tra le strade tutte uguali di Seoul e più accelerava meno si riuscivano a distinguere le immagini che sfuggivano dai finestrini. "Hoseok" lo avevo chiamato, ma come se non fosse lì affianco a me, non mi sentì. Le spalle piccole irrequiete si lasciarono andare sul sedile e d'un tratto Hoseok sembrò rallentare e poi fermarsi davanti alla fermata di un autobus. "Ti va un gelato?" mi disse senza voltarsi. Non aspettò nemmeno la mia risposta che scese dall'auto e mise le mani in tasca. Lo seguii ed entrammo in un supermercato ancora aperto comprando due gelati e mangiandoli nel retro del negozio osservando i gatti rovistare nella spazzatura.
"Tae, cos'è che diverte gli adolescenti?" mi chiese d'un tratto, attirando l'attenzione di un gatto randagio. "Non lo so, andare in discoteca? Ubriacarsi?"
"Chissà perché", Hoseok allungò una mano e accarezzò il gatto che si sdraiò ai suoi piedi in cerca, sicuramente, di cibo. "Cosa facevo io per divertirmi?" si chiese, "tu che facevi?". Risi e imitai il gesto di Hoseok, "trascorrevo il mio tempo con te. La domanda giusta è che cosa facevamo".
"Tu che cosa avresti voluto fare?", e m'indicò con il bastoncino del gelato che aveva ormai finito di mangiare.
"Sarei voluto scappare con te e non tornare per un po'. Bere della buona birra e correre sulla battigia in pieno inverno a piedi nudi. Andare al cinema e vedere i vecchi film in bianco e nero. Mangiare della vera pizza italiana e innamorarmi di una ragazza intelligente e che amasse leggere i libri di Dostoevskij. Mi pento di non aver iniziato prima a fumare, ma in compenso ho assaggiato prima l'alcol e ammetto di averlo amato sin dal primo sorso. Avrei voluto correre tra le strade di Seoul cantando le mie canzoni preferite e suonare la chitarra davanti ad un falò e guardare negli occhi la prima cotta adolescenziale. Leggere tutti i libri della mia lista di romanzi ed essere abbastanza pronto per diventare poi adulto". Hoseok ascoltò in silenzio e annuendo cercando di convincere anche sé stesso. "Tu che cosa avresti voluto fare?" chiesi d'un tratto a lui che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
"Forse se fossi stato più intelligente e l'avessi conosciuta prima...", non riuscii a capire che cosa intendesse con quelle parole. "Senti Tae, che ne dici di fare un po' di cose che avresti voluto fare durante l'adolescenza questa notte?". Era serio, non si intravedeva un minimo di incertezza all'interno di quei due occhi piccoli e scuri. Si alzò dal gradino e mi porse una mano per potermi alzare. Afferrando quella mano, risposi alla sua domanda.

飛び去る- Tobi SaruDove le storie prendono vita. Scoprilo ora