Twenty-Sixth chapter

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26. "Chi siete voi?"

"Buongiorno. Chi siete voi?"

La vocetta timida ha l'effetto di un gancio in pieno stomaco per Justin. Lo so, perché neanche io riesco più a respirare. E le nostre dita intrecciate si stringono più che mai. I miei occhi annebbiati lasciano il ragazzino che si affaccia dalla porta per fissarsi sull'uomo al mio fianco: di profilo, vedo la sua mascella che minaccia di esplodere, il suo pomo d'Adamo appuntito che spunta dalla gola e un velo di lacrime che si abbatte sui suoi occhi ambra. Lo ha visto. Lo sa. Lo ha riconosciuto.

E non siamo pazzi...

«Harry...?» pronuncia Justin in un sospiro rauco.

«No, Zachary. Ma mi chiamano Zach.»

«Lo so. Zach... Harry.» risponde dolcemente suo fratello maggiore, con un minuscolo sorriso sulle labbra, per non spaventare il più giovane.

Può anche avere i capelli più scuri, una pettinatura più alla moda rispetto al caschetto di prima, un corpo più solido e un viso meno da bambino, ma ha conservato quei piccoli dettagli che ­non mentono, che non possono cambiare, anche dopo più di sei anni: le grandi pupille blu, un po' diffidenti, un po' innocenti, ma che sprizzano intelligenza. E il suo piccolo difetto di pronuncia, che non si sente quasi più, ma si indovina ancora sapendo che per i primi tre anni di vita ha trasformato Justin in "Tatin", a forza di succhiare la zampa di un peluche troppo grande per la sua bocca. ­

«Voi chi siete?» ripete il ragazzino un po' impaurito.

«Io mi chiamo Justin. Justin Bieber.»

«Io sono Liv» aggiungo, il più naturalmente possibile.

«Veniamo da Key West, dalla Florida... Il paese degli alligatori» dice Justin sperando che questo dettaglio risvegli qualcosa in Harry.

«Ci sono alligatori anche in Louisiana» risponde spontaneamente. «E in Georgia, in Alabama, nel Mississippi. Ma non solo negli Stati Uniti, anche in Messico. E perfino in Cina. Ma non sono gli stessi di qua...»

«Sai molte cose» dico sorridendo pensando a questa passione che non lo ha abbandonato.

«Cosa volete?» richiede sempre più inquietato dalla nostra presenza.

Justin si gratta la testa e mi getta uno sguardo furtivo, ma intenso. Lo sento terribilmente esitante. Tra la voglia di urlare la sua gioia e il dolore nel constatare che il suo fratellino non lo riconosce nemmeno. Io faccio fatica a credere a quello che vedo, ad accettare che questo giorno sia finalmente arrivato. E nonostante la felicità che naviga a tutta velocità nelle mie vene, sono pietrificata dalla paura. Con i loro spiriti vivaci e la sensibilità a fior di pelle, questi due ragazzi potrebbero voler andare troppo velocemente, troppo forte e soprattutto non nella stessa direzione. Non so perché ma di colpo sento questa responsabilità: sta a me fare in modo che questa riunione non sia rovinata, che i fratelli facciano dei passetti l'uno verso l'altro, che il piccolo non chiuda la porta, che il grande non la apra troppo di colpo.

«Tua madre è in casa?» dico con voce dolce.

Harry non risponde, accontentandosi di aggrottare un po' le ciglia socchiudendo gli occhi. È terribile quanto assomigli a Justin in questa smorfia, questa intensità dello sguardo blu quando cerca di riflettere più velocemente.

«Non ti vogliamo fare del male, vogliamo solo parlare a Sadie» aggiunge il fratello maggiore con una voce calma ma decisa.

«Non è possibile.»

«Sei sicuro?»

«Sì.»

Justin mi rivolge un nuovo sguardo, interrogatore e ci parliamo in silenzio. È solo in questa casa? Sadie rischia di arrivare da un momento all'altro? È veramente "l'eremita" descritta dal gestore del diner? È pericolosa? Squilibrata? Armata? Dobbiamo agire ora o guadagnarci la fiducia di Harry prima? Ecco tutte le domande che ci facciamo l'un l'altro segretamente, senza saperci rispondere. Nonostante la tensione che regna, mi proibisco di tremare, prendendo la forza che mi serve negli occhi del titano.

Forbidden Games. ↠ Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora