Capitolo 11

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Pov Julya :

Caffè.

Sì, questo è odore di caffè! Apro gli occhi trovandomi in una stanza totalmente buia; nemmeno dalle finestre si vede qualcosa, per quanto sono coperte dalle scure tende. Cerco qualcosa vicino a me, anche se non so con esattezza cosa troverò. Schiaccio un piccolo bottone, e improvvisamente la stanza si illumina tutta.

 Schiaccio un piccolo bottone, e improvvisamente la stanza si illumina tutta

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-Aspetta! Questa non è la mia stanza da letto.- Dico, ricordandomi subito dopo di lui: il mio professore.

Quell'uomo che mi ha portata qui. La stessa persona che ieri è rimasta a guardarmi, mentre giocavo a tutte le slot, come una bambina in pieno giorno di natale.
Dev'essere stato lui a portarmi a letto. Guardai i miei abiti, trovandomi ancóra addosso gli stessi di ieri. Per fortuna non mi ha sfiorata. -Sai che figuraccia?- la vocina dentro di me ricordò cosa avevo addosso. Ma non era colpa mia, io ci provavo ogni volta, ma quella lavatrice era contro di me. Dai, andiamo, chi fa entrare dei calzini in coppia, e poi non escono singoli? O ancóra peggio, il bianco che diventa rosa? È lei, è colpa sua.
Continuai a parlare da sola, quando qualcuno bussò alla porta. Avrei voluto fingere di dormire, per non sentirmi un'idiota che a mezzanotte e qualcosa si addormentata sul divano, mentre lui stava parlando. Anche se, per discolparmi, avrei potuto usare la stanchezza come scusa, che ha preso il comando del mio corpo, senza sottolineare che il mio corpo, naturalmente, non si è lasciato pregare.

-Dormito bene?- chiese, mentre si avvicinava al letto. Capelli bagnati, quel suo solito ciuffo ribelle che cade sopra il suo occhio sinistro. Per non parlare dei suoi occhi, nei quali mi perdo sempre.
« -Perché si sta togliendo la t- shirt?- »mi chiedo, mentre lui entra dentro un'altra stanza, per poi uscirne con un'altra maglietta identica, ma con una scritta diversa. Si fermò davanti a me, forse in attesa di una risposta, ma io sfido chiunque, di prima mattina, a ricordarsi tutto, quando davanti hai un uomo che sembra un modello appena uscito da una rivista.
-Stai bene?- chiese ancóra, gusrdandomi come se cercasse di scoprire da solo la risposta.
-Sì. Penso di stare bene- lo rassicurai.
-Penso? Non può essere. Perché ho detto che penso di stare bene, quando sto veramente bene?-
Non ho avuto incubi, non mi sono svegliata durante la notte, implorando qualcuno di non farmi sentire più quelle urla.
-Sto bene!- dissi.
-Mi fa piacere. La doccia è di là. Ti ho portato qualcosa per cambiarti. Spero che siano della tua taglia.- Disse, e l'osservai, non capendo niente di quello che diceva.
-Julya... la doccia e di là.- Ripetè, indicandomi una stanza, mentre mi passava un sacchetto.
« Dannazione Julya, riprenditi! È il tuo professore » mi ricordai, prima di entrare nella doccia, mettendomi sotto il getto d'acqua, ma stando attenta a non bagnarmi i capelli. Non ero sicura che possedesse un phone.





Iniziai a vedere le immagini davanti a me, la mia mente incominciò a trovare le differenza fra lui è William. So che non avrei dovuto farlo, ma è più forte di me. Forse, perché dopo due anni, era la prima volta che mi trovavo in una strana situazione con un ragazzo. La voce dentro la mia testa, mi ricordò le stesse cose precedenti. -Comunque, sta di fatto, che è la prima volta che mi trovo ad avere a che fare
con una persona diversa dal mio sesso!- Dissi tra me, per non permettere alla mia vocina di intromettersi nei miei ragionamenti. Ed è diverso: con William, all'inizio eravamo amici.
Cioè non proprio amici. Eravamo le classiche persone che si incontrano sapendo tutto dell'altro.  Almeno io sapevo tutto su di lui. Si salutano con un ciao, o con un "ci vediamo", e non ci si vede mai! Finché, un giorno, mi sono ritrovata ad aiutarlo in scienze, ànche in matematica, e pure con storia. Diciamo che la scuola non era il suo forte.
Non so cosa sia scattato in lui, ma si è accorto di me. Si è accorto che dentro quella scuola esistevo, che anche io ero una ragazza. Due mani, due gambe, e una testa! Mi piace pensare questo, perché nè il mio seno, nè il mio fondoschiena erano cose da far girar la testa a un ragazzo!
Ricordo quando mi chiese di uscire: non che me l'aspettassi. Ànche se, onestamente, ogni sera pregavo tutti i santi possibili per avere quella richiesta.
La nostra prima uscita fu al bar vicino alla scuola, per vedere una partita di basket assieme ai suoi amici.
Lo so, non è la cosa più romantica, però ero con lui, e questo era l'importante.
I primi mesi erano sempre così: le nostre uscite con gli amici, io che ritornavo a casa convinta che a breve ci sarebbe stato il nostro matrimonio, finché non mi invitò realmente. Un invito vero, io e lui al cinema. Non posso negare, che ancóra oggi odio quel film. Ma ero felice che lui me l'avesse proposto.
Da lì in poi, tutto è cambiato. Io ero la ragazza di William Noran. La ragazza del giocatore di basket del liceo. La ragazza più cool. Fino a ché non arrivo quella notte.
Quella notte mi ha portato via non solo lui, ma anche i miei genitori. Iniziai a pensare a quella sera.

Flashback.
-Avevi promesso!- dissi al mio ragazzo, parlando a telefono.
-Lo so, piccola, ma la macchina si è fermata. Forse ho colpito qualche animale!- spiegò.
-Dove sei, vengo a prenderti?- dissi sicura, conoscendo la bontà di mio padre in casi come questi.
Mi feci dire dov'era, prima di sentire un urlo.
-William, William!- urlai, mentre dall'altra parte sentii solo delle urla. Scesi giù verso il salotto, mentre mio padre stava fumando il suo sigaro tra le urla di mia madre.
-Papà, papà... William... William!- riuscì a dire, e mio padre si alzò in piedi per lo spavento, nel vedermi così.
-Ok bambina mia, andiamo- furono le sue parole, quando gli raccontai tutto.
La strada era buia, non capivo perchè William era venuto qui. Controllavo la strada, quando mia mamma urlò, notando una macchina poco fuori dalla strada. E fu lì, che tutto ebbe inizio....  Le immagini sono sfocate. Ricordo solo che mio padre scese dalla macchina, seguito da mia madre che mi intimava di restare lì dentro. Poi qualcosa... Un animale, forse? Era troppo veloce, dannazione.
I corpi di mio padre e di mia madre erano fermi a terra. Scesi dalla macchina, e il freddo mi colpì in pieno viso.
Urlai, quando qualcosa toccò la mia mano.
-Corri, andiamo!- William, tutto insanguinato, cercava disperatamente di correre.
-Fermati, fermati!.- provai a dire, prima di sentire la sua presa svanire.

Non c'era più! Il mio ragazzo non era più davanti a me. Mi fermai, sentendomi osservata, nonostante il buio. Cercai di fare un passo avanti, ma qualcosa o qualcuno, mi feri la gamba, mentre William si lanciò su qualcosa. Poi il buio. Quello stesso buio che mi accompagna ogni santo giorno della mia vita". Fine flashback

Misi le mie mani sulla testa, nonostante l'acqua continuava a scivolare sul mio corpo.
Di nuovo quelle voci, di nuovo quel suono. Iniziai ad urlare, visto che era l'unico modo per non sentirle più. Urlai fino a sedermi per terra, mettendo la testa tra le gambe. Sentivo che da un momento all'altro le forze mi avrebbero abbandonata.

-Guardami, ti ho detto di guardarmi! Respira, cazzo, respira lentamente.- Iniziai a fare come mi era stato detto, mentre l'immagine davanti a me si faceva sempre più chiara.
- D A N I E L - riuscii a dire, prima che la paura si trasformasse in un pianto liberatorio.

ETKEN - l'ultimo Principe Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora