1500 sono gli anni che ho vissuto.
Ho assistito alla creazione di imperi che sono stati distrutti.
Ho combattuto a fianco di amici e nemici.
Ed ora vi narrerò la mia storia.
Volevo chiudermi in casa e darmi per dispersa, senza presentarmi mai più a scuola, ma non potevo, e solo ora me ne pento amaramente.
Come ho potuto, anche solo per un attimo, credere a Melany dopotutto? Se qualcuno mi chiedesse di descrivermi devo assolutamente togliere dal mio vocabolario: Io sono una persona forte! Non esiste niente di forte in me. La mia personalità è pari a zero. Sono una di quelle persone che risponde a tono, ma passa la maggior parte del suo tempo a mordersi la lingua per rimanere il silenzio. Sono una di quelle persone che usa la sua corazza da dura, mentre dentro di me sono così debole che perfino un bambino di quattro anni si prenderebbe beffa di me per la mia debolezza. Sono una di quelle persone che, nonostante non abbia più i suoi affetti morti tragicamente, pensa che la vita non è solo questo che la speranza non sia ancora morta. E con essa anche la speranza nelle persone. A tutti capita di sbagliare, a tuti capita di fermarsi e dire: «forse ho giudicato troppo velocemente.»
Beh, a tutti, tranne Melany.
Perché se così non fosse, io ora non mi ritroverei rinchiusa dentro uno sgabuzzino dalla quale sono entrata di mia spontanea volontà, pensando che la ragazza dietro volesse parlarmi e forse scusarsi.
Scusarsi per questi due anni di merda che mi ha fatto vivere. Per tutti gli scherzi, per tutte le cattiverie. E invece no, come una stupida ci sono cascata. Sono una debole, una persona che si illude credendo che ci sia sempre del buono in ognuno di noi.
Mi sedetti, mentre l'odore dei vari prodotti mi stava dando alla testa. Guardai il mio cellulare spento, che non aveva nemmeno voglia di accedersi per farmi vedere almeno l'orario, ma visto il silenzio che regnava fuori ero sicura che le lezioni fossero finite. Speravo che la vecchia Nelly iniziasse il suo giro di pulizie da un momento all'altro, ma niente, nessuno arrivava. Nessuno si sarebbe allarmato per me. Nessuno avrebbe chiesto che fine avessi fatto. L'unico che potesse pensare a me era dall'altra parte del mondo, e Yolanda sicuramente avrebbe dato per scontato che la mia fuga fosse arrivata. «Perfetto!» Amavo stare da sola, ma non di certo rinchiusa in questo posto. -Non ami stare da sola- mi ricordò la mia vocina. «È vero, non amo stare da sola, ma ormai mi ci sono abituata. Quando la solitudine è l'unica ad essere tua amica non hai molte altre scelte.» Mi ritrovai a dire da sola.
Sentii dei passi fuori, mi alzai in piedi iniziando a bussare sulla porta, urlando con la speranza che Nelly mi sentisse. I passi si fermarono, e iniziai a battere le mani contro la porta più forte, finché quest'ultima non si aprì.
«Baker?» esclamai sorpresa, ritrovarmelo davanti. «Vieni, andiamo» mi face segno di uscire. «Avete preparato un altro scherzo? Questa volta mi rinchiuderete da qualche parte buttando la chiave?» dissi con un filo di rabbia. «Non lo sapevo. Non ero al corrente che ti avevano chiusa qui dentro.» Rispose sbuffando. «Oh grazie, questo mi fa stare meglio!» la sua mano fermò la mia, facendomi avvicinare a lui. Il suo alito soffiava sulle mie labbra mentre i nostri visi erano vicini. «Ho detto che non lo sapevo, altrimenti non l'avrei permesso. Va bene le battute e i piccoli scherzi, ma tra ieri e oggi è veramente troppo.» Disse, mentre i suoi occhi mi guardavano, ma non riuscii a credere alle sue parole. Non mi fidavo più.
Mi allontanai da lui staccando la mia mano. «Andiamo prima che ci trovino qui, non voglio essere sospeso per colpa tua.» «Certo, perché ve l'ho detto io di chiudermi qui.» Reagii con rabbia. Camminammo per il lungo corridoio, prima di trovarmi le sue mani sul mio corpo facendomi entrare velocemente in bagno. Ero pronta a urlargli contro, quando lui mi fece segno di stare in silenzio. La preside stava uscendo dal suo ufficio. Quando i suoi passi si allontanarono uscimmo fuori insieme, mano nella mano, visto che non l'aveva mai staccata. «Cammina in punta di piedi. Con quei tacchi ci farai scoprire.» Sbuffò vicino all'uscita. «Non posso, è da prima che lo faccio e mi fanno male i piedi.» Lui si fermò girandosi a guardarmi. Il suo sguardo fece un veloce giro sul mio corpo prima di prendermi in braccio. «Che diavolo fai, mettimi giù!» sussurrai, mentre lui camminava senza ascoltarmi.
Una volta aperta la porta notai che era notte, chissà che ora è. «Ma che ore sono?» chiesi, prima che mi mettesse giù.. «Le otto. Vieni, ti accompagno a casa.» Rispose. «No, ho la macchina» gli feci segno puntando verso la macchina a fianco alla sua. «Ti tratta davvero bene» disse sarcasticamente. «Siete degli stronzi. Non c'è niente. Vi fate film mentali...» Non finii la frase, che mi trovai le sue labbra sulle mie. Rimasi ferma, scioccata da quello che stava accadendo. La sua mano dietro la schiena si muoveva lentamente. I miei occhi rimasero aperti, incapaci di capire cosa stava succedendo. Baker, il mio ex miglior amico, mi stava baciando. -Daniel- pensai, mentre lui si allontanava da me. Il suo sorriso aumentò ancora di più assieme al mio stato di shock.
«Allora non avrai problemi a spiegarli questo.» Disse, ma io non capivo di cosa diavolo stesse parlando. Rimasi ferma, mentre lui salì in macchina come se niente fosse. Presi le chiavi della macchina dalla borsa, per poi urlare di paura quando trovai i suoi occhi su di me. Non ero mai stata capace di capire se era felice, arrabbiato. Ma ora, per la prima volta, vedo che faccia ha Daniel da arrabbiato.
«Daniel?» provai a dire, mentre i suoi occhi erano carichi di rabbia. Le mani chiuse a pugno e la sua camminata così lenta da sembrare un robot.
«Sali immediatamente in macchina!» scandì le parole a denti stretti, mentre il tono della voce era diverso. Era la prima volta che lo vedevo in questo stato, e per la prima volta ho paura di lui.
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