Capitolo 1: Qualcuno a cui nessuno importa un beato cazzo di niente

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Via. Andate via.

Tsk. Ragazzini insolenti. Non sapete con chi avete a che fare.

Siete qui per uccidermi, non è vero? Stolti. Ahahahah... come se fosse possibile!

Oh, volete sapere chi sono? Non lo sapete che la curiosità a volte uccide? Ma se è ciò che desiderate...

Se siete abbastanza coraggiosi e avete le palle per essere al mio cospetto e non urlare come femminucce, magari potrei dedicarvi un po' del mio tempo, in fondo non ho nulla da fare. D'altronde, parlare sempre con gli stessi morti dopo un po' diventa noioso.

Che c'è? Paura del buio? Non c'è nulla da temere... eccetto me. Di me dovete avere paura, sarebbe strano non averne.

Beh, siete ancora qui?D'accordo allora. Piccoli screanzati, uomini senza valore, mortali, inchinatevi a me, la vostra dea.













Ahahahah! Ci siete cascati? Tranquilli, stavo scherzando! Sono una dea benevola, dopotutto. Se vi fermaste anche voi all'età di 17 anni, vorrei vedervi fare i seri...

Lasciate dunque che vi racconti una storia. Una storia direi nostalgica, la mia storia. Quando tutto era un'inferno pieno di sofferenza, un tempo maledetto, e la felicità un ricordo sbiadito. Ero solo una ragazza senza esperienza e confusa, molto confusa. Non so nemmeno io quante volte ho cambiato idea, forse perché ero un po' influenzabile, ma lo capirete. Vi parlerò di quando tutto era nero, nero come il demone oscuro di Konoha.








Chi ero io? Qualcuno a cui nessuno importava un beato cazzo di niente.

Mi chiamavo Tsukiko, e non appartenevo a nessun clan. 'Vivevo', per così dire, a Konoha, ma non era vita la mia: ero rinchiusa in una speciale prigione sotto il villaggio, un vero schifo, costantemente sorvegliata dagli Anbu della Radice e annoiata a morte.

Avevo 15 anni, nessuna prospettiva per il futuro, non positive almeno; ormai erano 5 anni che non uscivo da qui, tanto che avevo dimenticato la sensazione del calore del sole che mi riscaldava la pelle e l'effetto del vento che mi scompigliava i capelli.

Perché ero rinchiusa qua sotto? È lungo da spiegare, e tremendamente difficile, ma non sono affari che vi riguardino, non per ora almeno.

Ero sola al mondo? Si, eccetto per Naruto. Potevo solo immaginare quanto fosse cresciuto in tutti questi anni. Lui era il mio migliore amico, il primo in effetti; da quando mi avevano rinchiusa in questa cella non l'avevo più visto.
Il terzo Hokage si rifiutava di vedermi, o almeno era così che mi avevano riferito i miei carcerieri. Dall'incidente non l'avevo più visto; a volte mi chiedevo se non fosse perché stesse male che non veniva più a trovarmi.
Prima veniva ogni giorno, così come Naruto che, tra una marachella e l'altra, si intrufolava di nascosto e mi salutava veloce, prima di venire trascinato fuori dall'Hokage.
Era la persona che più si avvicinava a un padre per me; se non ci fosse stato lui, sarei stata persa fin dall'inizio.

Ma se fossi stata più attenta non sarei stata qui, dietro queste maledette sbarre e incatenata alle pareti di roccia della cella.

Prima che fossi trasferita qui, vivevo un po' meglio, anche se non troppo: abitavo in una stanzetta minuta di un sigillo di repressione del chakra nascosta nella montagna che sovrasta Konoha. Potevo uscire quando volevo, a patto che rispettassi il coprifuoco e che non andassi oltre i confini del villaggio.
Questo mi faceva sempre arrabbiare, perché io volevo vedere il mondo, vivere mille avventure con Naruto.
Ma quello che più di tutto mi faceva infuriare era che non mi permisero di frequentare l'accademia ninja, perché temevano che sarei diventata troppo potente. E potenza vuol dire pericolo.
Non che mi importasse di frequentarla, anche perché non ne avevo bisogno, già da piccola ero un talento nelle arti magiche e marziali, anche se non come tutti si aspetterebbero.

Ma poi, come si faceva ad avere paura di una bambina? E chi avrebbe mai potuto? Beh, a quanto pareva tutti. Mi avevano sempre guardata male, leggevo la paura negli occhi delle persone e il disgusto di camminare affianco ad un'estranea. Già, estranea: non ero nata a Konoha, nessuno sapeva da dove provenissi, nemmeno io.

Ma i loro sguardi non mi avevano mai fatta arrabbiare, anche se mi facevano male come una pugnalata al cuore, perché avevo imparato a non portare rancore, a ignorarli, ma soprattutto a non odiare nessuno, almeno così era all'inizio.

Ero nella stessa situazione di Naruto, vivevamo lo stesso inferno ogni giorno, e per questo legammo subito, diventammo uno la spalla dell'altro, ci tiravamo su il morale a vicenda, ci sostenevamo ne momenti più bui.

E si, mi mancava molto. Le giornate erano tutte spente senza la sua allegria.
Purtroppo non avevo molti passatempi, visto che ero incatenata alla parete della mia cella; le uniche cose che potevo fare erano prendere in giro le guardie, giocare con la loro mente ed essere torturata. Si, torturata. Sulle braccia e sulla schiena ero piena di cicatrici, e lo sono tutt'ora, soprattutto causate da tagli, seguiti da bruciature; per mia fortuna e loro sfortuna possedevo una capacità di guarigione sorprendentemente veloce, altrimenti sarei già stata morta da un bel pezzo per dissanguamento.

Altro punto a mio favore era che lì erano tutti stupidi, altrimenti si sarebbero accorti che ero in grado di sdoppiarmi ed uscire da questa cella; i loro sigilli erano completamente inutili, più ne mettevano più mi diverto a fargliela sotto il naso, però non mi ribellavo. La mia situazione era già molto precaria, nessuno si fidava di me; non volevo rovinare completamente la mia reputazione, ma comunque desideravo avere indietro la mia libertà.

Che facevo quando uscivo? Dirigevo una casa di moda. Strano, vero? Anziché vendicarmi, sterminare le guardie e tutti quelli che mi avevano fatto soffrire, me ne andavo al Paese de Thé a disegnare vestiti. Perché? Semplice: come ho già detto, la mia fedina penale non era molto pulita, e seppur avrei provato un minimo di soddisfazione a fargliela pagare, non riuscivo a coinvolgere degli innocenti; e poi, tutto ciò che volevo era allontanarmi il più possibile da lì, girare il mondo, e di sicuro dando vita alla vendetta non ci avrei guadagnato nulla.
E poi, dirigevo la casa di moda più famosa del mondo! L'avevo chiamata Angel, quello che io non ero, non che ora mi consideri una santa sia chiaro, ed era il nome d'arte che usavo quando andavo là, ovviamente camuffando il mio aspetto dietro un'illusione. Certo, perché se avessero visto il demone oscuro di Konoha, tutti sarebbero scappati via terrorizzati.
La moda era l'unica cosa buona che avevo fatto in vita mia, ed era stata dura costruirla, anche perché non avevo soldi. Ebbi la fortuna di incontrare qualcuno in cui riporre la mia fiducia, e insieme costruimmo un impero.

Ma un giorno, tutto iniziò a cambiare. Ciò che credevo impossibile, stava divenendo possibile. Ancora lo ricordo bene: la prima volta che lo incontrai sembrava un menefreghista, molto pacato ma comunque attento, ma non lo associai mai ai ninja che avevo incontrato fino a quel momento.








Spazio autrice

Allora, come potete ben vedere ho iniziato a revisionare la storia.

Ho apportato diverse modifiche a questo capitolo per dargli un'impronta diversa, inoltre ho aggiustato i tempi verbali dove necessario. Immaginatevela come qualcuno, Keyko, che racconta a dei curiosi la propria storia, in un prossimo futuro dai tempi in cui la vicenda è ambientata, per esempio trent'anni dopo, durante la serie Boruto in cui, che se avete presente, ciò che riguarda il passato dei genitori di questa nuova generazione è un pò celata ai figli, o comunque non se ne parla.

Perciò immaginatevela come se la nuova generazione con Boruto, Sarada e compagnia bella decidesse di farsi raccontare da Keyko la sua storia.

Spero che la storia vi piaccia comunque; commentate e stellinate!

🌟🦋 vostra Fra🦋🌟

Naruto Shippuden: LA STORIA DI AKATSUKI NO  KEIKODove le storie prendono vita. Scoprilo ora