Prologo

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Era ormai un mese che lavorava in quell'ospedale come medico. Prendere la laurea in medicina gli era costato molto, ma non poteva di certo lamentarsi.
A Louis era sempre piaciuto aiutare le persone come meglio poteva.
Il suo amore per la medicina l'aveva dimostrato già dalla tenera età di cinque anni, quando si divertiva a giocare al dottore con i suoi adorati peluche. In più, aveva sempre avuto le idee chiare su cosa diventare da grande.
"Mamma, da grande vorrei fare il dottore". Lo diceva spesso a Johanna ed è per questo che lei stessa lo iscrisse direttamente all'Università, non volendo altro che far felice suo figlio e vederlo sbocciare per quello che amava davvero.
Aveva dato l'ultimo esame ancor prima di raggiungere i vent'anni e già da quattro settimane si trovava come medico in quell'ospedale.
Il suo era un talento stratosferico. Tutti, lì dentro, lo amiravano per la vasta intelligenza che possedeva e per il gran autocontrollo che riusciva ad avere in ogni situazione.
Sapeva benissimo che doveva mettere da parte i sentimenti quando si trattava di lavorare. Ma quella lucetta rossa ogni tanto l'accendeva.
Molte infatti erano le cose che non riusciva ancora a fare. Come ad esempio dire ai cari di un paziente che egli non ce l'avrebbe fatta, o peggio ancora, che non ce l'aveva fatta. Oppure quando si trattava di bambini. Lì, davvero, entrava in crisi. Non tanto per il fatto di poter avere un'anima così innocente e pura sulla coscienza, ma per il semplice fatto che per lui i bambini erano la cosa più preziosa e magica al mondo. Era affascinato dal loro mondo, dai loro modi, dai loro piccoli occhi, dalle loro piccole manine e dai minuscoli piedini che sguazzavano in una tutina bianca. Amava con tutto se stesso i bambini e avrebbe tanto voluto fare il pediatra, ma in ospedale di piccoli ne vedeva tanti, forse anche troppi.
In un mese aveva già assistito a due parti e intrattenuto decine e decine di bimbi. Si, perché dopo le sue ore lavorative, si prendeva anche la briga di mettere un naso rosso e una parrucca riccia e pomposa per intrattenere i bambini malati che l'ospedale ospitava. Amava immensamente vederli ridere nonostante le loro condizioni.

Quel primo febbraio al pronto soccorso c'era un caos infernale. Era sabato e quel giorno era l'inferno.
Ne arrivavano in tanti, ubriachi, feriti da ubriachi, feriti e ubriachi. E be', si sa che con una persona fuori di sé è abbastanza difficile lavorare. Per fortuna Louis sapeva mantenere il controllo anche in quelle situazioni, aiutato dalla sua ormai affidabile infermiera Katy, riusciva a lavorare tranquillamente.
Katy aveva trentanove anni, diciannovenne in più di Louis e lavorava in quell'ospedale da ormai dodici anni. Ne aveva davvero viste di tutte i colori, ma quel sabato dovette stupirsi di quello che le persone erano capaci di fare.
Louis le disse che sarebbe corso un attimo in bagno perché davvero, non poteva trattenersi ancora. Per fare più in fretta, non usò quello del personale, altrimenti sarebbe stato costretto a fare tutto il giro. Usò invece quello pubblico in corridoio.
Nel momento in cui aprì la porta dell'antibagno, una coppia ne uscì fuori e si paralizzò quando si ritrovarono davanti il giovane medico.
Louis non ne rimase stranito per niente, perché figuriamoci, ne aveva visti di pazzoidi nella sua vita. Così, con nonchalance entrò nell'antibagno e prima di usare il gabinetto, ne approfittò per sciacquarsi la faccia dal rubinetto. Afferrò poi un pezzo di carta e iniziò a tamponare il suo viso ma qualcosa lo portò a bloccarsi sul posto.
Gli sembrava di aver visto qualcosa con la coda dell'occhio. Così, piano, giro la testa verso la direzione di uno dei cubicoli e si, ci aveva visto bene. Da sotto la porta fuoriusciva una macchia rossa di sangue. In quel momento non seppe cosa pensare.
Iniziò a farsi mille paranoie come: Oh dio, c'è stato un omicidio in quel cesso? È stata la coppia di prima? Adesso cosa faccio?
Poi la ragione lo aiutò. Lui era un medico e doveva per forza controllare, perché se ci fosse stato davvero qualcosa lì dentro, qualcuno in pericolo, lui aveva il dovere di aiutarlo. Non si sarebbe tenuto qualcuno sulla coscienza solo perché la paura lo stava divorando. Se c'era stato davvero un omicidio, lui di certo non voleva trovarsi nei casini. Era decisamente troppo giovane per finire dietro le sbarre.
Si fece coraggio, doveva farlo. Così, a passo felpato si avvicinò alla porta del cubicolo e l'aprì. Non era un omicidio, ma si avvicinava molto e lo sarebbe stato davvero se non si fosse mosso.
Rimase impietrito, il pavimento sporco di sangue, qualche schizzo anche sul muro, ma non era di certo quello che lo stava quasi facendo svenire. Un piccolo corpicino, sporco, nudo e dal colore bluastro giaceva inerme nel gabinetto. Il cordone ombelicale ancora attaccato la suo piccolo ombellico.
"Merda" fu tutto quello che riuscì a dire in un sussurro strozzato e quasi paragonabile al suono che produce una gallina prima che il cervello non desse comandi ai suoi muscoli.
Si infilò velocemente il paio di guanti in lattice che teneva sempre come scorta nella tasca del camice bianco e afferrò con cautela quel piccolo corpicino. Lo strinse al petto col fiato sospeso, cercando di dargli quanto più calore possibile, mentre correva nuovamente in corridoio, diretto verso un qualsiasi lettino.
Ogni tanto abbassava lo sguardo, gli veniva da piangere per quel povero bambino. Ma sentiva contro il suo petto un flebile movimento di quel piccolo petto, segno che respirasse ancora, c'erano ancora speranze.
In lontananza scorse Katy e la richiamò a gran voce, ordinandole di liberare immediatamente un lettino e di chiamare un'esperta in pediatria.
Il cuore gli batteva così forte che avrebbe voluto regalare almeno la metà dei battiti a quel piccolo fagotto per dargli quante più speranze possibili.
Katy rimase sconvolta non appena il giovane medico posò con delicatezza il corpicino sul lettino "Ma cosa...?"
"L'ho trovato nel gabinetto, proprio dentro il gabinetto" precisò "Dobbiamo fare delle analisi per veder se ha contratto qualche malattia ma intanto collegalo all'elettrocardiogramma, svelta!" Parlò così velocemente che lui stesso stentò a capire ciò che stava dicendo.
Recuperò velocemente una cartella clinica vuota e una penna "Katy" quasi urlò, agitato più che mai.
"Sesso: maschio
Battito cardiaco: scarso
Respirazione: quasi inesistente
Dobbiamo intubarlo subito dottore, altrimenti non ce la farà" urlò l'infermiera mentre una pediatra li raggiunse correndo. La prima cosa che disse fu un "Oh mio dio" prima di paralizzarsi.
Louis si catapultò sul piccolo corpicino dopo aver recuperato un asciugamano e iniziò a strofinarlo sulla pelle fredda e blu del piccolo fagotto. Era così piccolo che aveva paura potesse spezzarlo con un solo dito. Ma si impegnò, osservò attentamente il piccolo viso blu e sporco di sangue e si disse che poteva farcela. Sentiva la voce di Katy e dell'altra dottoressa lontane, ovattate. Doveva concentrarsi solo su quel piccolo bambino. Quell'angelo si fidava di lui e lui non l'avrebbe lasciato andar via. No, quel bambino doveva vivere.
Sentì distintamente il battito cardiaco del piccolo risuonare nella stanza, sempre più debole, sempre più flebile.
"Forza piccolo ce la farai" sussurrò talmente piano che nessuno lo sentì.
"Dobbiamo tubarlo" esclamò Katy verso la pediatra, dopo averle letto la scheda medica di quel bambino che solo pochi minuti prima aveva scritto velocemente Louis.
"Non credo di avere un tubo di dimensioni così piccole. Non dovrebbe avere neanche sette mesi, è stato un aborto spontaneo" la dottoressa sospirò "Chiamo Julie per vedere cosa possiamo trovare"
"Fa in fretta" questa volta Louis urlò prima di richiamare Katy al suo fianco e "Forza, continua tu" le lasciò l'asciugamano prima di adagiare con cautela le mani sul piccolo corpicino.
Tremò leggermente, nonostante i guanti poteva sentire il gelo che quel bambino emanava.
"Riscaldalo più che puoi, forza Katy" la incoraggiò prima di premere i pollici sul petto e iniziare un massaggio cardiaco. Cercò di farlo con cautela ma deciso e profondo.
Devi farcela piccolo, devi farcela. Ti prometto che andrà tutto bene, te lo prometto. Il suo respiro era così accelerato e il suo cuore incontrollabile che a momenti avrebbe necessitato anche lui di tutte le cure che stava riservando a quel bambino. Ma si disse che quel piccolo veniva prima di lui. Non avrebbe lasciato che quel piccolo angelo morisse.
Pochi minuti passarono e la pediatra, Diana e Julie la sua infermiera di fiducia, li raggiunsero correndo con un intero set di tubicini posati su un carrello.
Julie si affrettò a fare un prelievo al piccolo per verificare se ci fossero germi nel suo sangue che lo avrebbero infettato a vita, se ce l'avrebbe fatta. Diana invece si fermò davanti al lettino e iniziò a prendere i tubi più piccoli per vedere quale sarebbe stato adatto alla situazione.
"Sono tutti troppo grandi dottor Tomlinson, non riusciremo mai a tubarlo"
Louis si morse il labbro, i suoi pollici ancora intenti a fare quel massaggio cardiaco su quel corpo che stava diventando sempre più caldo grazie a Katy.
"Dottoressa, prenda il mio posto" ansimò e non tolse le mani da quel bambino fin quando non fu sicuro che quelle della dottoressa Diana fossero pronte a riprendere il massaggio.
"Katy, continua a strofinare. Julie porta le provette in laboratorio subito e cerca di fare in fretta" ordinò prima di correre verso il carrello.
Iniziò a scrutare tutti i tubi più piccoli, le orecchie impegnate a tenere sotto controllo il battito cardiaco del fagotto. Non era ancora stabile, ma era migliorato in pochi minuti grazie al suo massaggio cardiaco. Quel pensiero lo rincuorò tanto da fargli allungare una mano e afferrare delicatamente un braccino. La pelle ora tiepida, quasi calda.
"Forza Katy continua" la incitò prima di afferrare il tubo più piccolo.
Diana alzò la testa e aggrottò la fronte "Tomlinson, è troppo grande" gli fece notare, continuando a spingere i pollici sul petto del piccolo.
"Lei pensi a fargli battere il cuore" disse acidamente prima di attaccare il tubicino alla macchina d'ossigeno già attivata in precedenza da Katy.
Si avvicinò al bambino e afferrò con l'altra mano la luce.
Con delicatezza aprì leggermente le piccole labbra e cercò di vederci qualcosa. La trachea era troppo piccola perché il tubo potesse passare, ma il piccolo necessitava davvero di ossigeno.
Così si fece coraggio e avvicinò il tubo alla boccuccia leggermente carnosa.
"Tomlinson, potrebbe soffocare e rischia di danneggiargli le corde vocali" gli gridò Diana, facendo scattare la testa di Katy verso di lui.
"Dottore, non credo sia una buona-"
"Katy continua a dargli calore" disse sbrigativo, mandando una rapida occhiata al piccolo e sorridendo "Sta prendendo colore" accorgendosi del color bluastro che man mano scompariva da quella pelle delicata.
Si concentrò poi sul suo compito e ci mise così attenzione, nonostante le sue mani tremassero dal nervoso e dall'agitazione.
Posso farcela. Devo farlo per lui, glielo promesso.
Il tubo scivolo con un po' di fatica, ma riuscì a farlo scivolare fino sotto e in un istante, il battito cardiaco prese una costante più che accettabile, il corpo ormai rosa, sporco ancora di sangue.
Katy afferrò una coperta dal mobiletto e l'adagiò dolcemente sul piccolo angelo che ora non correva più nessun pericolo.
Julie corse da loro non appena finì in laboratorio e con un piccolo sorriso di sollievo disse loro che per fortuna non aveva contratto nessuna malattia e che quindi era sano. Il suo sorriso si allargò ancora di più quando sentì il battito cardiaco regolare del bambino decorare le mura di quella stanza bianca, dando un leggero colore ad esse.
Louis sorrise sornione, un sorriso a trentadue denti con tanto di rughette d'espressione ai lati dei suoi occhi azzurri.
Si asciugò la fronte imperlata di sudore e lasciò andare qualche sospiro prima di controllare accuratamente tutti i parametri del piccolo per poterli scrivere sulla sua ormai cartella clinica.
"Non posso crederci, ce l'hai fatta" Diana rimase senza fiato mentre osservava il tubicino nella bocca.
Louis fece spallucce, iniziando a ridere. Un modo abbastanza positivo per smaltire l'adrenalina.
"Dovrò visitarlo per bene, voglio accertarmi che sia davvero tutto a posto" la dottoressa sorrise "E cercherò di pulirlo al meglio e di vestirlo con qualcosa che di sicuro gli starà comodo"
Tutti annuirono d'accordo mentre l'orologio di Louis emise un leggero bip per segnare la fine del suo turno.
Sospirò e lasciò la stanza per dare alla dottoressa la tranquillità che necessitava per poter fare il suo lavoro e raggiunse gli spogliatoi per cambiarsi.
Infilò in una busta il camice sporco di sangue e si cambiò la t-shirt prima di uscire nel corridoio e aspettare fuori dalla porta. Doveva tornare a casa ma per qualche strana ragione necessitava di rivedere quel piccoletto. Non poteva davvero crederci. Gli aveva salvato la vita. Chissà se un giorno si sarebbe presentato alla porta per abbracciarlo e ringraziarlo, urlando che fosse il suo eroe.
Nella mezz'ora successiva però pensò seriamente all'accaduto. Aveva davvero trovato un bambino nel gabinetto. Propria nel water!
Ripensò per bene e si chiese se i genitori fossero quei due ch'erano usciti prima della sua entrata in bagno. Se fosse stata davvero quella ragazza la madre?
Si concentrò e riavvolse quel ricordo per poter scorgere qualche dettaglio che magari nella fretta di fare pipì non aveva soppesato. E si ricordò per bene il viso pallido e sudato della ragazza, ma i tratti vagamente. Il ragazzo poi non l'aveva quasi notato.
Che fossero davvero loro i genitori del piccoletto? Quale persona normale di mente potrebbe fare una cosa del genere? Abortire in un bagno di un ospedale magari per problemi economici, o semplicemente perché non desideravano quel bambino.
Eppure per lui era così bello. Il corpo leggermente paffutello, le labbra carnose e il nasino dritto. I piedi e le mani piccoli e paffuti e la pelle di un rosa chiaro splendente.
Gli sembrava così bello, eppure lo aveva visto in fin di vita e lo trovava bellissimo.
Dopo un'ora Diana uscì dalla stanza e si stupì di trovare Louis seduto in sala d'attesa. La donna sospirò, nascondendo un sorriso e "Non sono sicura fosse stato un aborto, potrebbe anche essere stato un parto naturale. Il bambino infatti è perfettamente formato, ma di dimensioni troppo piccole. É di soli trenta centimetri, penso abbia meno di sette mesi. Ho controllato per bene che non ci fossero infezioni interne e non in corso ma è davvero tutto apposto. L'ho ripulito e l'ho vestito..." sospirò "Penso che però dovrà restare collegato alla macchina d'ossigeno per un bel pò di tempo, ha respirato aria cattiva in quel gabinetto e fin quando non saremo sicuri che non avrà in futuro problemi di respirazione, penso sia meglio lasciarlo collegato lì" sospirò ancora "Vuoi vederlo?"
Louis cercò di imprimere tutte le informazioni che gli erano state date prima di annuire energicamente e sorpassare la dottoressa dopo un suo cenno d'assenso.
Entrò in camera e velocemente si avvicinò al lettino dove ora giaceva un piccolo bambino dalla carne rosa e pulita, apparentemente liscia e rivestita con una tutina intera celeste. I pugni erano ai lati della piccola testolina messa di lato e il tubicino ancora nella sua boccuccia rossa e carnosa.
Louis sorrise spontaneamente e accarezzò un accenno di capelli biondi sulla testolina, osservando intenerito quel piccolo angelo.
"Ce l'abbiamo fatta campione" sentì gli occhi pizzicare per la felicità.
Il suo indice scese ad accarezzare la guancia paffuta del piccoletto che si mosse leggermente prima di sfarfallare le palpebre e inondare Louis con le sue iridi verdi.
Il ragazzo rimase affascinato da quella meraviglia. Quegli occhi verdi lo avevano trafitto, era grazie a lui se adesso poteva vederli.
"Ciao piccolo" sussurrò, mordendosi il labbro mentre una lacrima scendeva sulla sua guancia.
La sua mano scivolò verso il piccolo pugno che lo afferrò prontamente e lo strinse.
"Ehi campione, hai una presa forte eh" ridacchiò, agitando il pugnetto grazie al suo indice.
Il bimbo lo osservò quasi rapito prima di mugugnare e chiudere nuovamente gli occhi, giustamente stanco.
"Si riposa, ne hai davvero bisogno" un'altra lacrima scese dal suo occhio mentre si abbassava per baciare quella piccola testolina.
Harry.

Angolo autrice: Ciao a tutte. Spero che almeno il prologo vi sia piaciuto. Volevo solo precisare alcune cose.
1- Non mi interessa se le visualizzazioni e i voti sono pochi, continuerò a pubblicare lo stesso fin quando la storia sarà finita.
2- Non ci sarà un vero ordine di giorni per la pubblicazione, lo farò solo se ho tempo. Ma credo che passeranno solo due settimane, poi con la fine della scuola sarò libera e potrò aggiornare spesso. Ma non ci saranno giorni prestabiliti comunque.
3- Accetto voti, commenti buoni o cattivi che siano e per favore se avete intenzione di bestemmiare e insultare vi prego di non farlo.
4- Accetto anche che vogliate fare pubblicità.
5- NON VI PERMETTETE A RUBARMI LA STORIA PERCHÉ GIURO CHE VI FACCIO PASSARE I GUAI. SE VI PIACE COSÌ TANTO DA VOLERLA RISCRIVERE SU ALTRI SOCIAL VI PREGO DI CHIEDERE IL PERMESSO A ME. VALE LO STESSO PER LE TRADUZIONI. E SE DOVESSE CAPITARE, VOGLIO TUTTI I DIRITTI.

Detto questo, spero sia chiaro il concetto. Vi saluto e mi auguro che vi piacerà questa storia quanto a me sta piacendo scriverla.

I love you [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora