Erano passati tre anni da quel giorno. Tre anni da quando Harry gli aveva confessato di essere gay. Tre anni da quando gli aveva detto di essere quasi sicuramente innamorato di Niall. Tre anni dall'ultima volta che Louis aveva visto quelle fossette crescere spontaneamente sulle sue guance.
Perché precisamente da tre anni aveva praticamente perso suo figlio. Harry ormai era un sedicenne, alto quasi più di Louis, occhi sempre più verdi, pelle sempre più pallida, labbra sempre più rosse, ricci sempre più ricci e sempre più color del cioccolato.
Il suo aspetto fisico non era cambiato poi così tanto, erano solo i dettagli che si erano accentuati. Ma l'anima? Dov'era finita l'anima? L'anima del dolce e tenero bambino che richiedeva sempre coccole da suo padre, l'anima di quel bambino che sorrideva sempre, l'anima di quel piccolo ragazzo sempre pronto a passare il suo tempo con suo padre piuttosto che con i suoi amici. L'anima di quel ragazzo che amava suo padre.
Louis se lo chiedeva spesso da tre anni a questa parte, ma come faceva a cercare una risposta se non sapeva neanche se esistesse o meno?
Tre anni passati nel buio. Tre anni in cui i suoi capelli sono cresciuti e facevano schifo. Tre anni in cui la barba cresceva sempre di più. Tre anni in cui i suoi occhi, da azzurro splendente, erano tramutati a blu scuro. Tre anni in cui le rughette vicino agli occhi non spuntavano più per la mancanza del suo sorriso.
Si stava lasciando andare sempre di più, ma solo di notte. Di giorno, alla luce del sole, indossava sempre la sua maschera migliore. Ma si sa che le maschere che indossiamo sono fatte di argilla. Ad ogni colpo, ad ogni piccolo dolore, si forma sempre una crepa e alla fine l'intera maschera cade a pezzi. E la maschera di Louis cadde a pezzi proprio quel giorno. Quel freddo 24 Dicembre, quando Johanna chiuse definitivamente gli occhi, stesa su un lettino dello stesso ospedale in cui lui lavorava. Non poteva davvero aver perso sua madre, non proprio il giorno del suo compleanno, non proprio in quel momento. L'unica ancora di salvezza che gli rimaneva, perché quello che doveva essere suo figlio lo aveva letteralmente trascinato a picco nel fondale più oscuro.
Johanna era fondamentale, lo era sempre stata per Louis. Aveva accolto la sua volontà di portare Harry a casa, aveva cresciuto con lui il riccio, lo aveva visto diventare sempre più grande. Poi l'aveva visto cambiare, mutare in un corpo senza anima, perché l'anima di Harry ormai era scomparsa.
Aveva aiutato Louis a restare forte, lo aveva fatto principalmente per lui, perché non voleva stesse male. E anche Louis l'aveva fatto con lei: l'aveva curata e si era preso cura di lei come se i ruoli si fossero invertiti. Per tre mesi l'aveva assistita come medico, figlio, con amore, affetto, forza. Ma la leucemia aveva vinto. E Louis si sentiva tremendamente in colpa. Era convinto che fosse colpa sua. Si ripeteva che non l'aveva aiutata abbastanza, che doveva combattere con più decisione, credeva davvero fosse colpa sua.
La mano fredda scivolò dalla sua e con passo lento si avviò fuori da quella stanza, sorpassò Mark, Daisy e Phoebe, sorpassò Harry e uscì dall'ospedale, incamminandosi verso il parco abbandonato poco distante dalla struttura.
Scavalcò con fatica, i muscoli indolenziti e rigidi. Si sedette sotto un albero e appoggiò la schiena al suo tronco, chiuse gli occhi e lasciò le lacrime uscire da essi.
Adesso non aveva più nulla, non aveva più nessuno.
Non aveva più sua madre. Non aveva più ne Mark, ne le gemelle perché sapeva che l'avrebbero odiato da quel momento in poi. Sapeva che loro contavano su di lui e lui, cosa aveva fatto? Doveva vincere lui, Johanna, non la malattia.
E aveva perso persino Harry. Era convinto sarebbe stato sempre affianco a lui.
Ma adesso tutto era nero, buio.
Non riceveva neanche un saluto da suo figlio, ne uno sguardo, ne un sorriso, ne un abbraccio, ne alcuna richiesta di coccole.
Harry non lo degnava della minima attenzione. Alcune volte lo aggrediva, altre lo ignorava totalmente. E Louis lo lasciava fare. Di notte piangeva, solo nel suo letto. Harry non dormiva più con lui da ormai tre anni.
Si concedeva qualche carezza sulla sua guancia solo la mattina, prima di andare a lavoro, approfittando del fatto che il riccio dormisse. Si sedeva sul suo letto, gli lasciava qualche carezza e gli baciava la fronte prima di andarsene con il cuore sempre più spezzato.
Era lui ad informarsi sull'andamento scolastico e disciplinare di Harry, andando ogni settimana a parlare con i professori. Ma più di quello, non sapeva nient'altro. Non sapeva più nulla di suo figlio.
Era solo. Si sentiva così solo.
Non aveva bisogno di un compagno, non aveva bisogno di nessuno, solo di sua madre, di Mark, delle gemelle e di Harry. Ma sapeva che ormai tutti lo avevano abbandonato. Voleva sapere per quale motivo Harry lo avesse fatto. Voleva solo saperlo, poi lo avrebbe lasciato in pace, se era quello che voleva.
Un singhiozzo più forte degli altri raschiò la sua gola. Strizzò gli occhi, un'altra marea di lacrime a rigargli il viso. Nessuno lo aveva seguito, nessuno si era preoccupato di assicurarsi che non sarebbe andato a gettarsi giù da un ponte, o sotto una macchina. A nessuno importava di lui.
"Mamma" sussurrò, singhiozzò poi e alzò lo sguardo verso il cielo, quella notte erano poche le stelle "Spero tu non soffra lassù"
Una stella, la più luminosa di tutte, cadde, lasciandosi dietro una scia che, dopo qualche secondo, non c'era più. E quella, quella stella era caduta per far spazio a Jay, perché lei meritava un posto lassù. Lui lo sapeva.
Almeno quello.
"Papà"
Louis si irrigidì. Era davvero da tanto tempo che non sentiva quella voce così dolce, in quel momento spezzata magari da qualche lacrima, chiamarlo in quel modo.
Abbassò piano lo sguardo. Harry era in ginocchio, davanti a lui, le lacrime a segnare le sue guance. E no, Louis non ci riuscì, non riuscì a guardarlo per più di qualche secondo. Quelle lacrime erano a causa sua. Lui non aveva aiutato sua madre a lottare.
Abbassò lo sguardo, scuotendo leggermente la testa "Vi ho deluso" sussurrò e diamine, quella era la prima volta che parlava davvero con suo figlio.
"No" sussurrò Harry, avvicinandosi di più e afferrando dolcemente il suo viso con le sue grandi mani.
Louis sentì i suoi muscoli rilassarsi al contatto e trattenne un singhiozzo quando incontrò lo sguardo del riccio.
"Lo sappiamo che hai fatto tanto per lei, lo so. Io lo so per certo. E se magari mi sbaglio sugli altri, che andassero a fanculo. Io lo so" sussurrò, i suoi pollici a bloccare il percorso di quelle gocce amare.
"Perché sei qui?" singhiozzò il liscio, allungò le mani su quelle di Harry e le tolse dalle sue guance. Fece intrecciare le dita con quelle di suo figlio e fissò insistentemente l'unione delle loro mani.
"Perché ci sei tu" mormorò il riccio, mordendosi il labbro.
"Ti faccio solo pena, non lo avresti mai fatto se non fosse stata...lei" chiuse gli occhi per un momento prima di rialzare lo sguardo contro quello del figlio. Quest'ultimo invece lo abbassò "Sei mio padre"
"E per questi tre anni cosa sono stato? Un sacco da box su cui buttare tutta la merda che avevi dentro? Sai, mi sarebbe piaciuto sapere la merda in cosa consisteva prima di averla addosso" rispose freddo il medico, conscio di non star migliorando la situazione. Ma doveva sfogarsi. Doveva far capire e doveva capire.
Harry trattenne svariati singhiozzi prima di buttarsi a capofitto sul petto di suo padre e stringersi a lui.
Entrambi scoppiarono definitivamente a piangere, come se avessero aspettato solo quel momento per poterlo fare, insieme.
Louis lo abbracciò e lo strinse a lui e fanculo i dolori muscolari e tutto il resto. Aveva bisogno di sentire suo figlio vicino, aveva bisogno di lui.
"Mi dispiace così tanto" sussurrò, ancora convinto che in tutto quello, il colpevole fosse lui.
"A me dispiace di più" singhiozzò il riccio, nascondendo il viso nell'incavo del collo del maggiore "Ti ho lasciato solo e ti ho maltrattato per tutto questo tempo solo perché..." deglutì, non aveva il coraggio di continuare. Non gli sembrava davvero il momento adatto per parlarne.
"Adesso sei qui" Louis tirò su col naso e lo allontanò quel tanto che bastava per poterlo guardare in viso "E lo so che dovrei essere arrabbiato con te per tutto quello che mi hai fatto ma semplicemente non ci riesco" confessò "Ma questo non significa che io non sia arrabbiato" ci tenne a precisare.
Harry annuì, un amaro sorriso sfiorò le sue labbra per la leggera contraddizione delle parole del maggiore. Ma bastò per far sbucare l'accenno di una fossetta. A Louis si strinse lo stomaco e si vergognò perché in quel momento stava invidiando suo figlio. Lo invidiava perché era riuscito a sorridere. Ma non perché non gli fregava nulla di Jay. Diamine, era sua nonna. Certo, non di sangue, ma...Era sua nonna!
Ma sorrise perché, negli occhi del padre, riuscì a vedere una piccola luce accendersi, magari insignificante per chiunque altro, ma non per lui.
"Ne hai il diritto" mormorò.
Louis sentì gli occhi bagnarsi ancora di più "Ti prego, vieni qui" lo tirò a sé e lo strinse forte "Fanculo tutto, ho bisogno di te". Nascose il viso nei suoi ricci e pianse ancora di più quando sentì le braccia di Harry ricambiare la stretta attorno ai suoi fianchi.
Non sapeva se era possibile provare felicità nello stesso momento in cui si prova tristezza, agonia e amarezza. Forse era solo Harry.Non aveva avuto il coraggio di tornare in ospedale, sapeva che non sarebbe riuscito a sostenere la presenza delle sue sorelle e del suo patrigno. Voleva solo tornare a casa. Harry non aveva protestato, lo aveva semplicemente seguito in macchina e mandato di nascosto un messaggio a Mark, avvertendolo che sarebbero tornati a casa e che Louis era enormemente scosso.
Tranquillo tesoro, prenditi cura di lui.
Era stata questa la risposta di suo nonno. E lui lo avrebbe fatto. Aveva davvero intenzione di farlo. Perché, certo, lui stava male. Ci stava male davvero. Aveva perso sua nonna, aveva ferito suo padre. Troppe cose accadute velocemente che lo avevano portato alla destabilizzazione. Ma conosceva Louis e sapeva che ne aveva bisogno.
Così, una volta a casa, lo tirò dolcemente su per le scale fino in camera da letto. Lo spogliò lentamente, esaminando ogni singola parte del suo corpo con sguardo famelico ma cercò di non darlo a vedere e di contenersi.
Louis, dal suo canto, rimase inerme a guardare il più piccolo. Voleva tanto ringraziarlo ma non aveva le forze per farlo. Non aveva le forze per fare niente. Solo... guardarlo.
Dopo avergli tolto anche le scarpe, Harry si tolse le sue e appoggiò entrambe le mani sul petto di suo padre. Lo spinse piano verso il letto fino a farlo stendere così da potersi sistemare su di lui. Il cuore a battere frenetico nella cassa toracica, in entrambi.
Da quanto tempo non stavano così vicini?
Harry lo guardò, gli sorrise leggermente prima di premere un bacio sulla sua fronte e adagiare una guancia sul petto del padre. Da quella posizione, poté sentire il battito irregolare del maggiore.
"Batte forte" sussurrò, socchiudendo gli occhi, cullato da quel suono.
"Ci sei tu qui" fu l'unica cosa che Louis riuscì a dire prima di sentire le mani del minore cercare le sue. Le loro dita si intrecciarono e Harry poté sentire il battito di suo padre accelerare ancora di più.
Una risatina spontanea, dettata da un pizzico di orgoglio, esplose leggera nel suo petto. Louis si beò di quel suono, quasi incantato.
"Grazie" sussurrò poi, nascondendo il naso nei ricci di suo figlio che "Cerca di dormire" si sistemò meglio e strinse la presa delle mani "Ci sono io qui"
"Non andare più via, ti prego" la voce tremante di suo padre gli arrivò alle orecchie piena di dolore.
"Ci sono io qui" ripeté, ma questa volta solo per aggiungere un "Per sempre". E non lo fece per rassicurarlo, lo fece per se stesso, per suo padre. Per loro.
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I love you [Larry Stylinson]
FanfictionNon poteva credere ai suoi occhi... ATTENZIONE: • È presente una gravidanza maschile, se non vi piace il genere, non leggete •Scene di sesso tra due uomini descritte •Differenza d'età di 20 anni • Tops!Louis •Harry toppa una sola volta ;)