Cap. XXII

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Se una cosa la vuoi, una strada la trovi.
Se una cosa non la vuoi, una scusa la trovi.
Cit.

Avevo lo stomaco sottosopra mentre finivo di truccarmi davanti allo specchio, i capelli leggermente mossi e legati ai lati, come aveva suggerito Arianna prima di lasciarmi le sue decolté nero con il pizzo a lato. Le aveva definite le sue bambine e mi aveva detto chiaramente di evitare pozzanghere e qualsiasi cosa potesse rovinarle.

Le avevo fatto un giuramento solenne (molto medioevale e dove ci sarebbero andati di mezzo i miei piedi e un'ascia) e l'avevo ringraziata, iniziando a sentire l'ansia mischiarsi all'eccitazione.

– Tesoro, dieci minuti e usciamo o facciamo tardi. Mangeremo per le dieci, quindi se vuoi puoi fare uno spuntino – suggerì, affacciandosi al bagno e sorridendomi. – Sei identica a lei – commentò, con un accenno di malinconia negli occhi.

Sorrisi e tornai a concentrarmi per non accecarmi con l'y-liner nero, anche questo offerto da Arianna.

Feci respiri profondi, guardando leggermente preoccupata lo scollo sulla schiena. Forse era un po' troppo, non volevo esagerare... ma quel vestito mi piaceva e non volevo togliermelo.

Tornai in stanza, buttando il cellulare nella borsa senza guardare le notifiche e andai a prendere alcune medicine nell'armadio in corridoio. Ne portavo sempre con me, per ogni evenienza: una per il mal di pancia, una per il mal di testa, qualcosa per i crampi da ciclo e uno per rilassarmi i muscoli, più omeopatico. Papà mi aveva insegnato praticamente ogni effetto e controindicazione di ogni farmaco che avevamo in casa, e averli dietro mi faceva sentire più sicura. Soprattutto quello che papà mi aveva prescritto nel caso che avessi uno dei miei attacchi durante il viaggio alle medie: dovevamo andare a visitare un grattacielo e non volevo perdermi la visita. Il risultato che ero praticamente rincoglionita durante tutta la visita, ma almeno non avevo avvertito le vertigini per l'altezza, anche se non mi ero avvicinata al bordo. Non mi ricordavo nulla di quella visita e papà mi aveva proibito di prendere ancora quel calmante, ma ne portavo comunque sempre uno in borsa.

Tolsi la siringa di adrenalina, che avevo sempre dietro per Arianna: era allergica all'arancia e sua madre aveva dato una siringa a chiunque uscisse normalmente per lei. Non si poteva mai sapere, e avere una crisi epilettica non era per nulla bello. L'avevo vista con i miei occhi, alle elementari, e non volevo che le succedesse ancora.

Poi, ripensandoci, la rimisi in borsetta. Non si poteva mai sapere.

– Sofi, è ora di andare – annunciò papà, non dandomi più tempo per riflettere.

Afferrai un pacchetto di fazzoletti e li buttai nella pochette insieme al rossetto rosa acceso che mi ero messa prima. Arianna aveva insistito per il rosso, ma non volevo essere così... fatiscente.

Guardai il Kindle e sospirai. Non ci stava in borsa, ma in caso avevo Wattpad sul cellulare e l'app con qualche libro nel cload.

Afferrai lo scialle argentino, come la pochette, entrambi di mia madre, e indossai anche il giubbotto. Faceva freddo alla sera e non potevo stare fuori solo con quel pezzo di stoffa sopra.

Rimasi in silenzio per tutto il viaggio, facendomi mille film mentali ( probabilmente avrei potuto comporre una serie) su quello che sarebbe successo. Aspettative: Luca mi baciava. Realtà: non sarebbe successo nulla, lui mi avrebbe ignorato e suo fratello Gigi mi avrebbe tempestato di domande come al solito.

Con in cuore a mille scesi dalla macchina, ringrazziando che dopo quel pomeriggio non avesse più piovuto, e anche se era pieno di pozzanghere erano facilmente evitabili.

Papà prese il suo cellulare, mettendosi gli occhiali per leggere i messaggi scritti con una grandezza più grande del normale. – Okay... dicono che ci aspettano all'interno –

Come Neve D'EstateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora