Qualcosa III (R)

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Si sforzò di aprire gli occhi, ma vide solo ombre che vorticavano confondendosi le une con le altre. Fu assalita da una forte nausea, accompagnata da un pulsante dolore alla nuca. Qualcuno l'aveva colpita, ora se lo ricordava.

Le immagini iniziarono a stabilizzarsi, rivelando man mano un quadro più chiaro. Era in una stanza, diversa dal salone d'ingresso, ma non riusciva ancora a distinguerla bene.

La nausea risalì ma, quando cercò di tapparsi la bocca, scoprì di essere legata. Era inchiodata alla gamba di un letto e poteva muovere solo le gambe.

Lasciò cadere il capo: non poteva fare nulla per liberarsi.

La nausea parve assopirsi e la visuale divenne molto più chiara: non era più all'entrata della locanda, ma in una delle stanze. La sua attenzione fu attirata dal disordine che invadeva l'ambiente: i vestiti erano gettati dentro l'armadio, una marea di fogli ricopriva la scrivania e il pavimento, assieme a libri, asciugamani, barattoli di cibo vuoti e strani armamenti che non riusciva a riconoscere.

Quella non era la stanza di una persona qualsiasi, era la stanza di qualcuno che non si curava più di quanto lo circondava. Era una stanza molto simile alla sua, quando se n'era andata di casa.

La porta in legno scricchiolò e sulla soglia apparve l'uomo che l'aveva provocata, inespressivo come prima. I lunghi capelli castani e scompigliati erano rilegati in una coda, mentre la barba era tagliata tanto quanto bastasse a lasciare dei baffi ed un pizzetto. I vestiti gli ricadevano larghi sul suo corpo e il suo volto era affossato e teso. Le rivolse un breve sguardo, prima di entrare.

«Qualcuno si è svegliato», le disse.

Attraversò la stanza, calpestando qualsiasi cosa gli passasse sotto i piedi. Prese la sedia vicino alla scrivania e la girò verso di lei.

«Quando arrivano?», gli chiese, decidendo di arrivare subito al punto.

L'uomo inarcò un sopracciglio, prima di sedersi. Non le rispose, restò a guardarla in silenzio.

«Le guardie celesti, di chi pensi stia parlando?», ribatté, acida.

«Oh, capisco. Effettivamente chiunque le avrebbe già chiamate.»

Lo guardò con occhio torvo: qualsiasi cosa avessero in mente, non avrebbe permesso loro di torcerle nemmeno un capello.

«Ma noi non siamo così poco comprensivi.»

Quella risposta la sorprese, inizialmente, ma poi si ricordò chi avesse di fronte.

« Davvero? Prendete quello che non vi appartiene e vi osate definire comprensivi?» sibilò.

Si ricordò le sue suppliche e come quei Cacciatori di Sogni le avessero ignorate, del dolore che ne era seguito e della loro impassibilità, a tutto. L'avevano lasciata lì a terra, come un sacco di cibo.

Strinse i pugni, conficcando le unghie nella carne, cercando di lenire la rabbia.

«Primo, non siamo stati noi a rubarti il Sogno; secondo...»

«Non m'importa chi sia stato! Se li andate a cercare in giro come tutti gli altri, allora li potete anche prelevate dalle persone!» urlò con tutte le forze che aveva.

L'uomo la osservò, sconsolato, e poi si alzò, iniziando a frugare tra le macerie del pavimento.

«Ehi, sto parlando con te!»

Nessuna risposta, non la guardò nemmeno.

Cercò di alzarsi per aggredirlo, ma quelle corde erano ben strette e rischiò di graffiarsi la pelle. Non le restò altro che insultarlo, sfogando tutta la rabbia che aveva represso, tanta, più di quanta avesse previsto.

Cacciatori di Sogni - VUOTO (I) (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora