Capitolo 31: Ranocchietta azzurra (parte 2)

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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale...
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino...
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.






Clara

"Mamma! Mamma! Dove sei?"

Ennesimo tentativo di fuggire dal sogno bianco in cui ero prigioniera.

Vidi una bambina perduta in un fittissimo bosco, avvolto nella foschia mentre cercava di tornare indietro. Esattamente come me, in questa distorta dimensione dove le ore non passavano e il tempo non scorreva.

Poi nel buio... una sagoma che si stava avvicinando fluttuava come un fantasma.

I fantasmi quindi esistono?

La paura mi bloccò all'istante, mentre alla bambina sbocciava un sorriso di felicità malgrado fosse sola e impaurita. E mentre quella sagoma si interrompeva a metà strada come se ci avesse ripensato, la piccola si sbracciò e le corse incontro.

Il mio "corpo" parve sbiadire. Mi guardai le mani e le braccia quasi trasparenti.
Le sollevai e le sentii leggere come se stessi perdendo spessore e consistenza.

Assottigliai le palpebre concentrandomi sulla sagoma e la bambina. Si osservavano a lungo, si studiavano a vicenda a pochi passi l'uno dall'altra, incapaci di sfiorarsi.

La piccola inginocchiandosi sollevò la manina, e la sagoma iniziò a rivelarsi. Pelle luminosa. Labbra color ciliegia. Una bocca dall'intaglio preciso e delicato.
I capelli cascavano giù dalle spalle, alcuni sul petto.

Era una donna, la strana sagoma. E la bambina non si mostrò intimidita e facendosi coraggio si buttò fra le sue braccia.

La strinse maternamente continuando a sussurrarle di stare calma, mentre le accarezzava la testa.

Non era possibile.

La guardai meglio, ricordavo quel viso consumato dal male, quegli occhi a malapena aperti, il respiro affaticato e l'alzarsi del petto che lo accompagnava. Il cappellino a cloche con le strisce blu che indossava calcato sulla testa. E così era andata via, fragile come la porcellana ridotta in mille pezzi.

"Mamma?"

Cercai di mettere a fuoco i lineamenti della donna.

"Clara, stai calma,
non c'è da avere paura."

Questa volta si rivolse alla me adulta, e la bambina si dissolse.

"Mamma, perché sono qui? Sono morta? C'è anche papà?"

Si avvicinò accarezzandomi la guancia lievemente.

"Siamo qui
ma abbiamo pochissimo tempo per parlare."

Le lacrime premevano per uscire.
Chiusi gli occhi appoggiando la mano sulla sua.

Non volevo che se ne andasse, non avremmo dovuto separarci, ce l'eravamo promesso dopo la morte di papà. Ci saremmo aiutate e confortate a vicenda, per qualsiasi problema.

"Sono così... stanca. Perché non posso restare con voi?"

"Non è ancora il tuo momento." Rispose un'altra sagoma, quella di mio padre, che affiancò la donna sorridendomi.

 PATTO DI SANGUE (Completa) #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora