30. Fratelli

447 66 9
                                    

Se John sapesse cosa sto per fare cercherebbe di fermarmi, ne sono certo. Affermerebbe con sicurezza che debba per forza esserci un'altra soluzione. Secondo lui c'è sempre un'altra strada.

Io, però, l'altra via raramente riesco a vederla senza lui che me la indichi e ora meno che mai credo nella possibilità di uscire pulito da questa storia.

Ma già la mia coscienza è sporca. Sono macchiato e anche se non potrò riscattarmi compiendo un'altra truce azione, sarà una mossa calcolata per far sì che non ce ne debbano essere altre. "Due torti non fanno una ragione" suol dire il detto popolare, ma possono condurre ad una soluzione.

- Ne sei davvero sicuro? – bisbiglia Reina nella notte.

Ci siamo separati ieri sera, senza parlare, consapevoli della gravità delle mie parole. Ho passato un intero giorno fermo immobile, quasi senza respirare, lasciando che la mia consapevolezza si perdesse nei meandri del mio Mind Place, concentrando ogni mio recettore tra le pieghe della mia memoria dove si sono accumulati dati, osservazioni e informazioni talmente rapide che una persona comune non sarebbe mai stata in grado di accedervi.

Ma io non sono una persona comune.

Così ho elaborato un profilo completo del Re, ma a completare i dati psicologici e fisici mancano le sue abitudini, il suo stile di vita e io sono qui da troppo poco tempo per poterle conoscere.

È per questo che ho bisogno di lei.

Reina può essere la mia migliore alleata così come la mia peggior nemica. Conosce ogni vicolo sotterraneo, sa dove evitare orecchie indiscrete o dove raccogliere informazioni, ma soprattutto è insospettabile.

Il Re ripone in lei la più completa fiducia. E io sono riuscito a sottrargliela.

Capisco cosa stia muovendo Reina. L'aspirazione di una vita come non l'ha mai avuta. Come non l'ha mai potuta avere.

Dentro di lei brama un ordine. Una seconda occasione. Una rinascita.

E una rinascita può venire solo dalle ceneri.

- Sì, ne sono sicuro. – rispondo senza ripensamenti.

- Sai cosa perdi? – mi domanda ancora, seria.

Annuisco. – E so cosa trovo. –

***

Nel suo ufficio Mycroft non si è mai sentito a suo agio. Lo sente freddo e asettico.

E ha sempre pensato che ciò fosse strano perché quelli sono gli aggettivi perfetti per descrivere il suo carattere, dovrebbe quindi trovarsi bene.

Eppure, anche se non avrebbe mai il coraggio di ammetterlo, sa che si è sentito accolto quando si è trovato in quel bizzarro luogo che è il 221b di Baker Street, tra gli strani amici di suo fratello.

Suo fratello.

Queste parole gli sono sempre sembrate fuori luogo. A rigor di logica sa bene cosa significhi essere fratelli. I dizionari e le enciclopedie ne forniscono dettagliate descrizioni. Per non parlare di Wikipedia poi; una fonte inesauribile di sproloqui su sentimenti di fratellanza e condivisione.

Eppure lui non si è mai ritrovato in questa definizione. Non ha mai preso in considerazione che la colpa potesse essere sua, ha sempre, anzi, considerato di essere al di sopra di tutto questo, di essere l'unico ad aver davvero capito che la cosiddetta "fratellanza" è mera biologia. Solo metà patrimonio genetico uguale.

Niente di più.

Non ha provato rimorso quando ha sentito gli occhi di Sherlock puntati contro la sua schiena, mentre si allontanava mano nella mano coi suoi nuovi genitori.

Certo, anche sul concetto di genitori Mycroft avrebbe avuto molto su cui discutere, ma in quel momento della sua vita erano necessari ad un fine maggiore.

E Sherlock, in quel momento, era solo un ostacolo. Quel fratello bizzarro che gli era stato assegnato dalla genetica non era che un impedimento alle grandi cose a cui era destinato. Passare la sua vita in un umido orfanatrofio non era nei suoi piani.

Erano così passati anni prima che Mycroft sentisse nuovamente parlare di Sherlock.

Aveva già scalato la gerarchia dei servizi segreti britannici quando, in busta chiusa con codice di massima urgenza, gli era arrivata la comunicazione della morte di suo fratello.

Erano passati dieci anni dall'ultima volta che aveva considerato l'idea di avere un fratello; quando gli avevano comunicato che era fuggito dall'orfanotrofio.

Eppure non credeva ad una sola parola di quella lettera. Oh no, Sherlock era comunque un Holmes e la metà dei suoi gameti del tutto identici a quelli di Mycroft non gli avrebbero permesso di morire in un modo così squallido.

Era più per una questione di principio, per riscattare il proprio DNA, che Mycroft aveva sfruttato i mezzi a sua disposizione per rintracciare suo fratello. Non che ci avesse impiegato molto: un paio d'ore e il software di riconoscimento facciale aveva riconosciuto il viso di suo fratello in un barbone nei pressi della stazione. E così aveva archiviato la questione.

Sherlock era vivo. Il suo orgoglio era salvo.

Era stato lui a presentarsi, un giorno, chiedendogli una nuova identità. E lui gliel'aveva fornita senza batter ciglio. Perché poi l'avesse fatto, ancora lo ignorava, visto che aver riportato suo fratello in vita non aveva fatto che procurargli grattacapi.

Mycroft pensa a tutto questo e molto altro mentre, nel suo ufficio freddo e asettico, fissa la lettera che a sua volta lo fissa dalla scrivania.

Decifrare la scrittura tremolante della Signora Hudson non è stato facile, ma il fatto che fossero brutte notizie lo aveva già intuito dalla presenza di macchie di lacrime sull'inchiostro sbavato.

Si chiede se sia possibile che dopo tanti anni di totale indifferenza stia cominciando a sentire una certa affinità con Sherlock. Non si spiegherebbe altrimenti quella morsa allo stomaco che è cominciata proprio nel momento in cui ha ricevuto la lettera.

Decide di rileggerla una seconda volta, per essere sicuro di non essersi lasciato sfuggire nulla, anche se sa che la sua mente non potrebbe mai lasciarsi sfuggire qualcosa.

"Alla cortese attenzione di Mr. Mycroft Holmes.

Signor Holmes, mi duole disturbarla a questo modo, ma sono appena venuta a conoscenza di informazioni dalla massima urgenza e non posso attendere il nostro incontro per comunicargliele. So che deve essere molto impegnato, ma spero che trattandosi di suo fratello lei si sottragga dai suoi compiti quanto basti a trovare una soluzione. Durante il nostro secondo incontro avvenuto appena una decina di minuti fa, Sherlock si è mostrato molto più risoluto e determinato e ho cominciato a credere che le cose stessero davvero per migliorare. Non avrei potuto essere così fuori strada.

Si da' il caso che Sherlock stia per sacrificare la sua vita al fine di fermare il vostro nemico comune. Un principio nobile, a mio parere, ma che non possiamo permettergli se abbiamo a cuore la sua persona. Ma lasciate che vi spieghi: Sherlock ha scoperto che l'unico modo per sconfiggere il Re è quello di ucciderlo. Ma non è questa la parte peggiore; non solo Sherlock si macchierà dell'immondo reato dell'omicidio, senza, tra l'altro, batter ciglio, ma è deciso a rispettare le leggi di quel mondo malato, forse come a voler fare ammenda per la sua futura azione. Rispettare la legge significherebbe, mi ha spiegato con serenità, prendere il posto del Re a vita, conducendo e guidando il popolo degli Esclusi. Sherlock era così coinvolto che sembra averne fatto la sua missione. Mi è chiaro che ormai non ragiona più e credo che nostro compito sia quello di salvarlo non solo da quel mondo di ombre, ma da se stesso, perché altrimenti si condannerà da solo come giudice imparziale e severo.

È stato lei, Mr. Mycroft ha dirci che c'è ancora qualcosa che possiamo fare per suo fratello. Ha detto che è nostro compito assicurarci che Sherlock abbia ancora qualcosa per cui lottare e tornare indietro.

Forse non siamo abbastanza o forse non siamo stati all'altezza del compito, o di Sherlock, ma ora non è più il tempo di giocare con le belle parole, mi permetta, ma è tempo di agire.

Mrs. Hudson

221b di Baker Street

Remember | BBC Sherlock Fanfic #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora