26. Ombre e Luci

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Quando emergiamo nella piazza del Mercato vengo sommerso dai suoni e dagli odori che già mi avevao stordito la prima volta. Ma questa volta c'è un fattore in più che contribuisce al mio disagio: nella gabbia al centro del piazzale sotterraneo vedo gli sguardi terrorizzati dei due gemelli. Scott e Joshua.

Deglutisco cercando di non far trapelare alcuna emozione. Devo mostrarmi indifferente, anche se sono responsabile della vita dei due bambini.

Stringono le dita sottili attorno ai tubi di ferro, ma non si muovono. Ormai sono rassegnati. Quanto tempo è passato da quando ho eseguito gli ordini del re?

Una settimana, un giorno, quattro ore e sedici minuti.

Non passa istante senza che il mio cervello non mi riporti all'istante in cui ho gettato l'ombra nelle loro vite. Usciranno vivi da qui. L'ho giurato sulla mia stessa vita.

Ma a quale prezzo?

Niente sarà mai come prima, ho rubato loro la fanciullezza.

Mycroft e io siamo uguali.

Due mostri.

Due mostri dalla parte dei buoni, però. A volte bisogna essere in grado di giustificare il mezzo, per giungere al fine.

Con questa consapevolezza continuo a muovere passi sicuri tra le pozzanghere scure seguendo i passi dondolanti di Reina che ogni tanto si volta con sorrisi maliziosi a controllare che io ci sia ancora.

La sua figura sinuosa e attraente mi riporta alla mente una delle indagini vissute ai tempi di Cambridge [1], prima che cominciassero gli omicidi collaterali. Prima di Magnussen, prima di tutto questo, quando ancora la vita sembrava più facile. John era appena letteralmente inciampato nella mia vita portando una gamma cromatica di sfumature che prima non avevo mai osservato.

Prima esistevano solo le indagini, una dopo l'altra, per sopravvivere alla noia della giornata.

Uno dopo l'altro, tutti uguali, un crimine e una soluzione.

Ma con John questo schema ha assunto qualcosa in più; ho cominciato a scorgere i colori del caso, le cromie di adrenalina e mistero che distinguono ogni indagine dall'altra, ho smesso di vedere ogni avvenimento come fine a se stesso, ma ho cominciato ad accorgermi di come una morte segni irrimediabilemente chi rimane. Come la vita di chi resta si colori di grigio.

Come il crimine sia rosso scarlatto e come la risoluzione brilli di un verde speranza. Di come la confusione, il senso di impotenza siano blu. Blu petrolio, come la sensazione di annegare. [2]

La vita è piena di colori, basta solo saperli cogliere.

E in questo meraviglioso quadro dobbiamo solo cancellare la macchia di ombra nera che è la Londra di Sotto.

Eppure secondo Sant'Agostino il male, proprio perchè è un'ombra in un quadro, è necessario alla resa generale dell'immagine. Senza le ombre non risalterebbe la luce.

E se fosse impossibile estirpare il regno del Re perchè l'uomo ha bisogno del male?

E' un ragionamento logico, plausibile ed è proprio questo che mi spaventa.

So bene di come la mia mente tenda a ponderare solo ciò che trascende dall'impossibile, vale a dire ciò che può davvero essere.

Magnussen è il male necessario secondo la legge razionale dell'universo.

Come possiamo essere così presuntuosi da credere di poterlo annullare.

Il miglior modo per chiarirsi le idee è quelle di spiegarle ad un'altra persona [3] e mi trovo a desiderare che John sia qui. Posso immaginare come risponderebbe alle mie teorie. Con il suo inguaribile ottimismo e la completa fiducia nelle mie capacità mi obbligherebbe a guardare il lato positivo, quello che solo i sognatori riescono a scorgere nella nebbia. Anche qui, tra le cupe tonalità di nero, lui riuscirebbe ad indicarmi la luce.

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