13. La cosa giusta

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Quando arriva l'alba non ci faccio molto caso. La zona è da tempo illuminata dalle torce dei poliziotti e dalle luci psichedeliche delle sirene. Non posso fare a meno di pensarci.
Pensare a quel corpo.
Un bambino.
Mi vengono i brividi e non per il freddo.
La mia testa è come spenta. Il pensiero si è arrestato non appena ho osservato la tragedia. Gli avvenimenti sono andati avanti attorno a me. Un me impotente.
Sherlock deve aver chiamato l'ispettore Lestrade. Ricordo vagamente la sua voce, ma è distante. Lontana.
La volante della polizia è arrivata sgommando nel parco. Deve esserci stato rumore: le sirene, i freni, le voci della squadra. Ma io non ho sentito nulla.
Nulla.
Anche Sherlock non sente nulla. Ma è un'apatia differente. Lui non sente nulla dentro. Nel cuore. Nell'anima.
Sherlock Holmes ha un'anima?
Sono quasi convinto di no. Altrimenti come potrebbe comportarsi così?
Si muove indifferente tra gli uomini di Lestrade. Fa deduzioni, sgrida un agente che non ha messo i guanti. 
Ma per un attimo anche lui aveva tribolato. Gli hanno tremato gli occhi, per un istante.
L'ho visto davvero o lo sto solo immaginando per convincermi che Sherlock sia umano?
No...è un ricordo più lontano.
Sto ripensando a qualcosa, qualcosa che credevo di aver dimenticato è qui nella mia testa. Io e Sherlock stiamo correndo in uno dei dormitori dell'università. Il killer ci aveva lasciato un indizio.
Ma Sherlock lo aveva frainteso.
Io...io sto ricordando.

Dimentica John.

E tutto diventa nero.

***

- John! John! -
Quando mi sono voltato per cercarlo l'ho visto cadere a terra, svenuto. Volevo domandargli come si sentisse. Se fosse tutto a posto.
E non è tutto a posto.
John riapre gli occhi dopo un minuto e dodici secondi.
- Come fai? - mi domanda.
Non riesco a decifrare il suo sguardo. Sembra ferito, ma allo stesso tempo interdetto, curioso, confuso.
Non capisco a cosa alluda.
- Come fai a rimanere così indifferente? -
Capisco.
Devo sembrare un mostro ai suoi occhi.
- Non posso vivere se non faccio lavorare il cervello. Quale altro scopo c'è nella vita?[1]-
È la risposta che ci si aspetta da me. Tutti mi vedono come la fredda macchina priva di sentimenti.
Ma il suo sguardo non si sposta. Non gli basta questa risposta.
- C'è altro, vero? - la sua non è una domanda.
Si che c'è altro. Come potrebbe essere tutto qui?
-Andiamo a casa- ora quella di John è una richiesta di aiuto. Vuole che gli si lanci una cima per risalire.
Lo aiuto ad alzarsi e insieme ci incamminiamo verso Baker Street.

Sono le cinque del mattino. L'aria comincerà a breve ad assorbire il calore del sole. Un calore poco elevato. Le massime di oggi saranno attorno ai diciannove gradi.
-A cosa servirebbe struggersi? - voglio finire il nostro discorso. Voglio che ci sia almeno una persona al mondo che sappia che quello che faccio lo faccio per un motivo.
-Ogni vittima è una vita che si ferma. Non c'è più niente da fare. Non si possono far resuscitare i morti e lo sai bene. Quindi perché stare a piangere quando non risolve nulla? Perché rimuginare e essere in balia dei sentimenti? Per ogni vittima c'è un assassino e ogni secondo passato ad asciugarsi le lacrime è un secondo in più che l'assassino sfrutta per cancellare le sue tracce. Oggi abbiamo ritrovato il corpo di Thomas. È stata una tragedia. Anch'io ne sono consapevole. Non trovo motivo per sentirmi lo stomaco sottosopra. È disgustoso sapere che ci sia qualcuno che fa del male a dei ragazzi, e allora cosa dobbiamo fare? Ho le capacità per fermare tutto questo. È per questo che voi mi vedete come una persona senza cuore; perché tenermi impegnato, focalizzare la mia mente sull'omicidio, pensare come l'assassino, è l'unico modo che ho per sentirmi bene. Per fermare un po' del male che c'è al mondo. -

***

Le parole di Sherlock mi scivolano dentro. Mi sento in colpa per averlo giudicato male, per averlo odiato.
In fondo lui ha più consapevolezza di tutti noi.
Vuole fare la cosa giusta.

***

John ha dormito un sonno tormentato giusto per un paio d'ore. Sono entrato in camera sua per portargli un caffè e l'ho trovato rannicchiato sul letto ancora vestito e con le scarpe ai piedi. Gli occhi sotto le palpebre si muovevano agitati, sintomo del sogno.
Ogni tanto il corpo era attraversato da uno spasimo. L'ho osservato per un attimo e sono uscito portando via con me la tazza di caffè.

Quando mi chiudo alle spalle la porta della sua stanza mi trovo Kim davanti. È difficile cogliermi di sorpresa e la cosa non mi fa piacere.
Dal suo atteggiamento capisco subito che è qui per me. Per parlare con me.
Mi odia, ma questo mi è stato chiaro fin dal principio. Mi vuole chiedere di stare lontano da John, lo deduco dal fatto che...
-Che cosa c'entri tu con John!? -
Arriva subito al dunque. Diretta, senza girarci attorno.
Cosa devo rispondere?
-Da quando sei comparso tu lui è cambiato. Non sta bene. E non ne parla con nessuno. È sempre perso dietro qualche pensiero che mi è inaccessibile. Si sta chiudendo in se stesso. Sta soffrendo. E non so perché, non so come, ma la causa sei tu. Quindi voglio sapete chi sei. Voglio la verità. -
Il suo tono è basso, sa che John sta riposando, ma allo stesso tempo è autoritario e freddo. Anche se sullo sfondo percepisco una nota di magone.
Ha paura di perdere John.
Lo ama?
Ma certo, avrei dovuto notarlo subito. Da come lo guarda, da come lo ascolta, da come si muove nella casa.
Io ho rovinato questo equilibrio.
Cosa c'entro io con John?

Note:
[1] ''Il segno dei quattro''

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