27. Verità

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L'una di notte. Mi rigiro nel letto osservando il soffitto bianco. Queste ore stanno scorrendo lente, esasperanti, a stillicidio. I secondi durano ore e le ore sono infinite. Nessuna notizia di Sherlock, mancano ancora quattordici ore all'incontro con l'informatore. Ho chiesto a Mycroft di essere io a contattare Sherlock al punto d'incontro, ma lui è stato irremovibile. Sono troppo coinvolto, serve qualcuno che non dia nell'occhio.

- Chi? - ho chiesto, ma lui è stato vago e ha evitato di rispondere.

Ancora permane il senso di inutilità che mi accompagna in questa avventura. Mi sento così distante da Sherlock.

Lui, con il peso del mondo sulle spalle, io qui, al caldo sotto le coperte.

Cosa gli starà accadendo?

E' una domanda fissa, instancabile, che mi martella nel cervello e alla quale la consapevolezza di non poter avere risposta non è di alcun beneficio.

***

La ricompensa. È da quando mi sono trovato faccia a faccia con Reina che viene nominata la mia "ricompensa". Cerco di ignorare i pensieri devastanti che affiorano al pensiero del perché io stia per venire ricompensato e mi lascio andare alla più semplice curiosità.

Il Re intanto sta mantenendo il suo stato di confusione mentale che lo porta a dialogare silenziosamente, sempre più spesso, con l'orsacchiotto di pezza dagli occhi storti.

- Conducilo Reina! - gioisce il Re, per poi rivolgersi al suo amico immaginario: - Hai visto Gibbs? Alla fine è tornato! Sì, ho in serbo grandi progetti per lui. –

È con la sua risata alle spalle che Reina mi spinge più a fondo nella tenda del Re. In questa oscurità non avevo notato che un altro pesante drappo divide l'ambiente in due stanze e la donna mi conduce al di là di questo divisorio lasciandomi da solo dall'altra parte.

Da questo lato il buio è ancora più opprimente, lontano dalla candela flebile del Re e temo che i miei occhi non riusciranno mai ad abituarsi e resterò per sempre cieco.

Ma gli altri sensi sono tutti in allerta e dopo un istante di immobilità il mio udito capta qualcosa.

È un respiro. Lieve, ma affannato.

Paura.

Densa, pura, vischiosa.

È ovunque. La sento scivolare sulle pareti come petrolio nero che ingloba tutto ciò che di vivo incontra.

Vorrei un appiglio, un barlume di luce a cui aggrapparmi, ma sento che anch'io sto venendo assorbito in questa macchia scura.

È il respiro di un bambino.

Finalmente i miei occhi incontrano due scintille. I suoi occhi.

Sono lo specchio del terrore. Una muta attesa.

Ormai i rumori del Mercato sono spariti al mio udito, teso solo al sentire quel suono spaventato.

C'è altro, in questo suono.

Rassegnazione e consapevolezza.

Sa cosa lo aspetta.

Ma io lo so?

In fondo so di averlo sempre saputo.

Tutti noi lo abbiamo sempre, inconsciamente, saputo.

Ma era una consapevolezza così terribile da essere repressa nei nostri animi, evitando così sempre di parlarne, di lasciare che affiorasse.

In questo luogo bambini come Morgan, Thomas, Joshua, Scott...sono destinati a divenire preda delle volgari passioni di uomini e donne senza morale, che sfogano su di loro i propri bisogni insoddisfatti, che ne fanno un mezzo per giungere ad un estatico quanto malato piacere.

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