XXV. Emanazioni e Déi del Cielo

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“Puoi salire sulla cupola, se vuoi” sussurrò Kasday, ancora in forma femminile.

Stava distesa sul pavimento della stanza degli specchi. Luciherus le stava accanto, guardando il soffitto.

“Che cosa c’è sulla cupola? Perché non volevi che ci andassi?” domandò il demone, respirando piano e parlando dolcemente, come in un sogno.

“Ci sono delle cose che non sono sicura che tu voglia vedere…” rispose lei.

Presentava il suo aspetto da donna, con i lunghissimi capelli neri che si espandevano lungo la superficie lucida su cui stava distesa. Si alzò, lentamente, mentre il Principe ruotava gli occhi per osservarne le forme. Gradatamente, tutte le sette braccia dell’Alto ricomparvero e riprese il suo vero aspetto. I fiori sulle sue spalle erano del tutto fioriti. Fece una smorfia, quasi divertita.

“Mi hai fatto fiorire, Luciherus” sussurrò.

Con le due braccia blu si legò i capelli, con l'arto di vetro e quello di metallo si allacciò in vita dei lunghi veli variopinti, la mano di fuoco accese la sigaretta che reggeva con la mano d’acqua. Con il braccio lasciato libero si protese verso Luciherus, per aiutarlo ad alzarsi.

Ma il demone era già in piedi. “Cosa c’è di così terribile lassù?” chiese.

E Kasday rise. “Mi mancava la tua Esse sibilante…” scherzò l’Alto, guardando fuori dalla finestra e dandogli le spalle “Comunque…sali sulla cupola e vedilo con i tuoi occhi. Mi scuso fin da ora”.

Il Principe continuò a non capire ma sorrise.

“Tieni” gli disse l’Alto, porgendogli la sigaretta che aveva acceso “Finiscila tu!”.

Il demone la prese fra le mani: “É così strano vederti in questo modo…” commentò.

“Ma ti sei visto allo specchio?!” rise Kasday.

Luciherus si specchiò e rabbrividì. Il suo viso era di nuovo dolce e sognante, come quando era al tempio degli Angeli. Scuotendosi, tornò alle sue normali sembianze. Riprese ad osservare l’Alto, sbirciandone le gambe che si intravedevano fra i veli semitrasparenti, allacciati alla sottilissima vita. Si chiese cosa fossero quegli strani spuntoni che aveva sulla schiena, che ogni tanto si scopriva dato che il vento gli muoveva i capelli.

“Carine…” disse, riferendosi alle gambe.

“Sono due tronchi d’albero…” le descrisse Kasday “…e germogliano se me ne sto troppo fermo in un posto”.

“E quei due piedini che mi è sembrato di scorgere prima…?”.

L’Alto scansò la gonna, mostrando un altro paio di gambe, una bianca e l’altra nera, legate assieme da un nastro rosso e sollevate da terra.

“Perché le tieni legate?”.

“Sono scomode e le slaccio solo quando devo ballare, dato che queste…erano le gambe che avevo prima…” mormorò il padrone di casa, toccandole.

“Le riconosco…” disse Luciherus “Hai tre code…” continuò.

“Lo so!” esclamò Kasday.

“Cosa sono quegli affari che hai sulla schiena?”.

L’Alto non rispose, si limitò a coprirli definitivamente, aprendo la coda da uccello blu e azzurra a ventaglio, che gli formò una corolla dietro il capo. Poi celò le altre due code, una rossa e pelosa simile a quella di un gatto e l’altra verde e squamosa da coccodrillo, sotto i veli della gonna.

“Sei così…” iniziò il demone.

“Strano? Mostruoso?” gli suggerì l’Alto.

“Non sto pensando a questo. Ricorda che ho un cane a tre teste e l’ho scelto proprio per questa sua caratteristica. Credi che non  mi piaccia una donna con sette braccia?”.

La città degli Dei 2- La Luce Dei CelestiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora