12

280 53 77
                                    

Avery attese per un'ora sugli scogli appiattiti dall'erosione

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Avery attese per un'ora sugli scogli appiattiti dall'erosione. Lusia non venne. Infastidito dal ritardo – come molti ufficiali era zelante sulla questione della puntualità – decise di fare irruzione in casa della ragazza.

Percorse la distanza di corsa; circumnavigò l'edificio coloniale dei King evitando l'entrata principale. Se fosse stato visto dalla giovane padrona non si sarebbe potuto sottrarre ad un interrogatorio di stampo amoroso. In quei frangenti, si rendeva conto di aver giocato troppo al gentiluomo con la bionda Lenore. L'aveva conosciuta al Forte in una giornata di vento tre anni addietro, quando era il primo ufficiale sulla nave che poi sarebbe divenuta sua. Una raffica curiosa aveva strappato dalle mani della giovane il parasole, e con galanteria lui l'aveva raccolto.

Lusia gli aveva detto dove abitava, mostrandogli una stanza nella quale avevano consumato un rapporto orale mentre i famigliari di lei erano fuori nei campi di canna da zucchero.

Avery bussò alla porta della baracca; passarono diversi istanti prima che la sorella più giovane aprisse. Dulcina capì la ragione della presenza del capitano: Lusia le aveva confessato che sarebbe partita per sposarsi in un'isola lontana. Lei e la madre avevano preparato un piccolo bagaglio di legno con i vestiti e l'occorrente prima che arrivasse il padre con il fiore di ibisco.

Fu Dulcina a raccontare ad Avery gli accadimenti della sera precedente. Citò lo stregone, le lacrime che avevano versato per la loro adorata congiunta, lo sgomento del padre.

«Siete usciti di senno! Avreste dovuto chiamarmi, avrei trovato il modo di farla fuggire» gridò il capitano con la voce da coffa, e fece scappare la giovane dietro il tavolo. La madre, udito il chiasso, arrivò da una stanza laterale, seguita dal figlio.

«Dove abita questo stregone?»

I tre lo guardarono come se non comprendessero la sua lingua. Il capitano inghiottì una bestemmia e avanzò verso la madre, un'anfora dalla pelle del colore del coccio, una cuffia sui capelli.

«In nome di Dio, è vostra figlia! Avrete un qualche sentimento che vi permette di desiderare di sottrarla alla tortura! Me ne incaricherò io, se agire vi spaventa. Stamani salperò per Londra e la porterò con me. Ditemi solamente dove è stata condotta.»

«Capitano Avery.» Lenore comparve dalla stessa stanza laterale dove era uscita la madre di Lusia. Stava partecipando a una veglia senza il cadavere da vegliare. «Cosa state facendo? Perché siete qui?»

Il viso di lui, pallido e alterato, la impressionò. Non l'aveva mai visto in quelle condizioni. Nel salotto della casa dei King, Avery si era sempre mostrato padrone di sé, sorridente, galante. Chiacchierava e la corteggiava.

«Scusatemi, Lenore, ma non ho tempo per voi. Non oggi.»

«Ma avete appena detto di essere in partenza. È per l'uragano?»

«Ho detto che non ho tempo per voi!» Il grido fece disperdere i fratelli di Lusia.

«Il tempo l'avete trovato per venire qui» sibilò lei, che era una giovane sveglia. «Cosa volete dalla mia cameriera?»

«Volete proprio che ve lo si dica in faccia? Non avete ascoltato, prima?»

Lenore strinse le labbra. Gli occhi chiari divennero vacui e le mani tremarono.

«Lusia deve compiere dovere per tutta la comunità» scandì la madre della sacrificata con fierezza, come se l'avvento della padrona l'avesse dotata di coraggio. «Nessuno può fuggire.»

«Se voi non mi direte dove si trova, chiamerò i soldati del Forte che aberrano questo genere di rituali. Saranno loro a far smettere con la forza quest'assurdità.»

«Come osate insultare la loro religione?» s'alterò Lenore, quasi felice che la sua cameriera facesse una fine del genere. «Abbiamo lottato per ottenere la loro fiducia», e indicò gli indigeni, «perché la comunità stesse in pace senza ribellioni. Chi siete voi per venire qui a spargere la zizzania?»

«Sono un cristiano protestante, come voi. Vergognatevi di aver perso l'arbitrio per una questione di mera gelosia. Sono stato corretto, non vi ho mai promesso nulla. Vi avevo detto che eravate una cara amica, non ho mai profanato il vostro letto!»

Il viso di Lenore s'arrossò in modo da evidenziare il contrasto con il collo bianco. Serrò i pugni.

La madre di Lusia temette che le venisse una sincope.

«Lei morirà, e non ci saranno eserciti né pastori né infami della marina che potranno impedirlo. Volete sapere dove l'ha condotta lo stregone? Ve lo dirò io, capitano Avery. Al Forte George! I vostri alleati, ai quali volevate chiedere aiuto, rispettano gli usi degli abitanti dell'isola al punto che hanno una cella a disposizione per la sacrificata. Starà laggiù fino a che non la porteranno alla grotta. Vergognatevi» lo vilipese con la smorfia della vendetta, «venite qui da tre anni e non sapete nulla. Nulla!»

Avery desiderò di prenderla e schiaffeggiarla fino a farle sanguinare il naso. Il lume fioco del controllo che gli era stato inculcato in marina glielo impedì. Osservò Lenore e la considerò una poveraccia, una prostituta vestita di sifilide che lo pregava.

«Non ho più niente che mi trattiene qui. Grazie a voi, adesso so dove andare.»

Uscì di nuovo dalla porta.

«Spero che vi faranno assistere! Vedrete la vostra puttana colare a picco come un'incudine! Ah, sirena! Sirena! Prendila prima che puoi!»

La madre di Lusia la guardava come se fosse impazzita.

«Non guardatemi!» gridò la giovane all'indigena. «È per colpa vostra, dei vostri costumi liberali se succedono queste cose! Dovrebbero asportarvi le vergogne, fornicatori, schiavi di Satana!»

Il Blues della Sirena (Un paio di gambe)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora