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La Sirena viveva in un luogo che lei stessa aveva costruito utilizzando i relitti delle navi e il materiale che contenevano

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La Sirena viveva in un luogo che lei stessa aveva costruito utilizzando i relitti delle navi e il materiale che contenevano. Le piacevano gli uccelli – gabbiani e fregate –, ma siccome non era possibile portarli dove abitava perché sarebbero morti annegati, aveva fatto quel che poteva con una piccola razza. Non volendola ingabbiare, le aveva edificato un'imitazione di chiosco da giardino, struttura architettonica vista su un quadro francese settecentesco. Era una costruzione che sarebbe piaciuta a Maria Antonietta, con la differenza che le colonne bianche erano state sostituite da pennoni di navi e i coralli rossi avevano preso il posto delle rose rampicanti. L'edera era scampoli di diverse stoffe verdi che la Sirena aveva tagliato con delle forbici: voleva che assumessero l'aspetto di foglie.

Possedeva alcune gabbie incrostate dove organismi senza corpo visibile, ma con molta vita, s'inerpicavano, giacendo. Nelle gabbie, con lo sportellino aperto per permettere il passaggio costante e scongiurare la prigionia, la Sirena teneva pesci di diverse dimensioni, in una similitudine con ciò che facevano gli esseri umani con i canarini e i pappagalli.

Dormiva su un letto a baldacchino che aveva corallo per impalcatura e un rivestimento di organza, una stoffa trovata nel baule di una vecchia goletta affondata. Le mante erano i suoi animali da compagnia. Sostituivano gatti e cani.

Proprio una delle mante tornò quella mattina a ragguagliare la Sirena del ritorno del capitano inglese.

«È tornato?» esclamò la Sirena, lasciando la scatola del cucito aperta. Non era capace di rattoppare nemmeno un calzino, ma le piaceva passare in rassegna aghi e bottoni, nastri ed elastici quasi fossero piccole meraviglie.

La manta nera annuì e le raccontò con il pensiero che aveva visto il capitano presso l'allevamento più importante della costa. Le descrisse la camicia che indossava, i calzoni e le scarpe. La Sirena s'incuriosiva sempre quando si accennava alle calzature.

«Lo sentivo» disse la Sirena, e si issò sulla coda osservando in alto il ventre dell'acqua. Sul fondo era spessa, quasi come un muro, da non lasciar filtrare la luce.

Si mosse per cercare uno specchio. Non trovò l'oggetto che voleva e allora si contentò della specchiera con un ampio cassetto sfondato, trasportata da una nave olandese. L'aveva posata sopra alcune cianfrusaglie, fra cui un cannone usato da appoggio.

Si ravviò i capelli, tolse la retina per la quale era famosa, giudicò il suo aspetto, la rimise. Andò, preda di un'agitazione incontrollabile, ad un mucchietto di scatole variopinte, di cui alcune completamente coperte di ruggine. Ne aprì una, ne trasse dei braccialetti. Li indossò, li tolse, li rimise, ne tenne solo uno d'oro con una pietra verde opaca che le stava largo ma le piaceva molto.

«Vuoi accompagnarmi nel luogo in cui l'hai visto?» domandò alla manta.

Il pesce si sollevò dal fondale su cui era rimasto adagiato mentre la Sirena si preparava. Batté le pinne che sembravano ali e compì un'elegante curva semicircolare.

La Sirena diede un'ultima occhiata al suo covo e seguì docile la guida.

Il Blues della Sirena (Un paio di gambe)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora