capitolo 12

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Erano passati tre giorni da quando avevo conosciuto davvero Giulia, Fabio mi aveva chiesto se per caso non mi fossi invaghito di lei. Ovviamente avevo detto di no. E che era tutto un equivoco della sua mente contorta, che ovunque ci fosse una ragazza vedeva subito una scopata. Io non ero cosi, non era questo il mio interesse.

Certo non che Giulia non accendesse in me certi pensieri, ma dovevo scacciarli, era la figlia del direttore. Non avrei messo a rischio tutta la mia vita, nemmeno per una ragazza che solo quando mi sorrideva smuoveva in me sentimenti mai provati.

Quindici giorni prima avevo anche fatto 19 anni, già ne avevo fatti 18 appena qualche giorno prima della morte di Davide. Nessuno lo aveva saputo, tantomeno io lo avevo detto a qualcuno. Avevo deciso di fare un tatuaggio, ancora non sapevo cosa, ma sicuramente doveva essere qualcosa di significativo e importante. Cosi mi misi a fare qualche ricerca, dopo poco mi ero soffermato sul significato del simbolo dei serpenti nei tatuaggi, e avevo letto che per i Maya e gli Aztechi significa che il corpo non invecchiasse mai per via della muta della pelle, e quindi non moriva. Ecco avevo trovato il mio simbolo, Davide non sarebbe mai morto, sarebbe sempre stato una grande parte di me. Avrei fatto due serpenti, uno avrebbe rappresentato me, l'altro lui. Mentre facevo queste ricerche alla radio trasmettevano la canzone live and let die dei Guns N' Roses e lì ebbi l'illuminazione. Avrei fatto scrivere tra i due serpenti proprio quella frase "live and let die", perché io dovevo riprendermi la mia vita, dovevo vivere e dovevo lasciare morire o meglio riposare in pace Davide, non dovevo ancora incolparlo di avermi lasciato solo.

Sarei andato a fare il tatuaggio nei prossimi giorni, prima però avrei chiesto a Checco il permesso per uscire e gli avrei spiegato cosa volevo fare. Non sia mai che c'era qualche divieto, visto che si trattava comunque di avere a che fare con aghi ed altro, che entravano nella cute lasciandoti un segno indelebile.

Usci dalla mia stanza e percorsi il corridoio per andare da Checco, ma sentì delle voci che provenivano dalla stanza del direttore. Vidi una piccola folla di ragazzi che si erano radunati là davanti, per capire cosa stava succedendo. All'improvviso vidi la porta spalancarsi e Giulia correre via piangendo.

Restai fermo, Fabio mi guardava, all'improvviso non so che mi prese dissi tra me e me: fanculo tutti. Corsi dietro a lei e la fermai fuori trattenendola per un polso. Quando mi ha guardato con quegli occhi pieni di lacrime non seppi trattenermi, la abbracciai e gli dissi che era tutto ok che non era successo nulla. Lei mi ha guardato e ha messo il viso nell'incavo del mio collo iniziando a singhiozzare, dio aveva un profumo che sapeva di buono, sapeva di lei. Appena si riprese un po' le chiesi:

- Va meglio?

- Si grazie, e scusami ti ho bagnato tutta la maglietta

Le sorrisi, per quanto era dolce. Non avevo ancora avuto l'opportunità di capirla, mostrava dolcezza e innocenza ma io pensavo ci fosse di più. Iniziammo a parlare del più e del meno, e quando mi accorsi che era più rilassata le chiesi perché aveva discusso con suo padre tanto da farla fuggire piangendo. La sentii irrigidirsi, cosi le dissi che se non ne voleva parlare non c'erano problemi. Mi guardò e abbasso la testa iniziando a guardare per terra, poi la sentii prendere un grosso respiro e all'improvviso disse:

- Sai io non sono sempre stata come tu mi vedi, voglio dire...(prese un altro respiro) ero una ragazza difficile, mi ubriacavo, fumavo, non le classiche sigarette. Facevo tardi la sera, e molto spesso frequentavo compagnie non proprio raccomandabili.

Le sorrisi perché era un paradosso che la figlia del direttore non fosse candida e pura come sembrava.

Poi la senti continuare

- Vedi questo fino ai miei 16 anni, poi mio padre mi spedì in un college inglese per cercare di farmi ristabilire la retta via. Devo dire che è stato un bene. Altrimenti non so dove sarei ora.

Continuavo a guardarla perché pensavo a come avevamo fatto la vita inversa, io da bravo e diligente ero diventato un senzatetto drogato e lei da scapestrata era diventata una brava ragazza. Lei si accorse che avevo un sorriso sghembo sulle labbra, e mi guardava con perplessità.

La guardai, le presi la mano e la vidi arrossire a quel contatto, poi dissi:

- Sorridevo perché abbiamo la stessa situazione ma al contrario

Le raccontai di me e di cosa mi era successo, a poche persone avevo raccontato tutto e stranamente con lei non mi sentivo in difficoltà. Le raccontai di Davide, e di come ero arrivato lì al centro. Poi pensai che mi aveva raccontato di lei e di cosa le era successo ma non mi aveva detto perché piangeva. Sembrò leggermi nel pensiero perché disse:

- Vuole rispedirmi a Londra ma io non voglio andare

A quella frase il mio cuore perse un battito. Ma non capivo perché. Ad un certo punto sentimmo una voce che la chiamava, cosi ci misimo in piedi e ci accorgemmo di avere ancora le mani unite. Ci guardammo in faccia e lei arrossì, cosi lasciai la sua mano e facendole un sorriso le feci segno di andare. Mi sorrise e si incamminò verso l'entrata, la guardavo allontanarsi e mi chiedevo se davvero fosse partita. Forse era pure un bene, per me e per lei. Chiamarono anche me, era Chicco, non so perché ma sentivo odore di guai.

eccomi con un'altro capitolo, spero vi piaccia. chissà che farà marco adesso, se si troverà in qualchè guaio...chissà. Ah volevo dire che per il momento sto scrivendo la storia, ma che devo correggerla tutta perchè sò che ci sono tanti errori, scusatemi.

baci Caty

E POI...RINASCERE SI PUÒDove le storie prendono vita. Scoprilo ora