Cantami, o Musa, del Pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Zeus
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' Prodi Atride e il divo Achille.Omero
Erano passati sei mesi circa dall'inizio della guerra e la peste continuava a dilagare contrastata solamente dai tentativi di Macaone e Podalirio, figli di Asclepio. Salvavano più di venti persone al giorno dalle grinfie della peste, riuscendo a circoscrivere l'epidemia solo in parte.
Erano state numerose le conquiste degli Achei e la prima battaglia diretta contro l'esercito troiano sarebbe scoppiata nei giorni a venire. Fino a quel momento le truppe troiane erano intervenute per difendere le città della Troade, senza attaccare mai direttamente il nemico, così come gli Achei fino a quel momento non attaccarono mai direttamente Ilio.
Altrettanti mesi erano passati dal sequestro di Criseide, rapita da Agamennone, e lo sventurato sacerdote Crise da allora, molte notti insonni passò a pregare il divo Apollo di riportargliela. Ignorato dal Radioso, decise di prendere l'iniziativa, utilizzando le varie ricchezze raccolte in quei mesi come riscatto da pagare all'atride. Discese quindi al campo Acheo, consegnandosi spontaneamente alle guardie del muro greco, con la richiesta di essere condotto da Agamennone.
Nelle tende del Re dei Re, gli Atridi in consiglio di guerra con Nestore e Ulisse pianificavano l'attacco diretto a Troia.
Due soldati entrarono portando, legato e tenuto stretto, Crise avente in mano lo scettro e le bende del Dio.
«Mio signore» – uno dei soldati invocò le attenzioni di Agamennone.
«Vi avevo detto di non disturbarci!» – urlò il Re guardando ancora il tavolo su cui stavano pianificando l'attacco. Poi alzando lo sguardo vide i due portare un prigioniero. – «Ah! Chi è costui?»
«Sono Crise, di Astinome sventurato padre»
«Ah! Sei venuto a farmi da schiavo anche tu? O per caso vuoi infilarti anche tu nel mio letto? Guarda che sono di tutt'altri gusti io!»
Commentò sarcastico l'Atride, suscitando il riso di tutti nella tenda tranne ovviamente quello di Crise, che saggiamente ignorò la provocazione di Agamennone. Il sacerdote implorò l'atride in nome del divo Apollo affinché restituisse la figlia.
«O Atridi e voi coturnati Achei... che gli Dei del cielo vi concedano di espugnare Ilio e di far salvi, ritorno in patria... Vi prego! Liberate mia figlia rispettando il saettante figlio di Zeus e di ricchezze sarete ricoperti e la peste da queste terre sparirà!»
«Mi sembra una proposta ragionevole!» – sussurrò Ulisse all'orecchio dell'Atride.
«Silenzio!» – intimò l'Atride
Anche se ben consigliato, Agamennone non era incline a piegarsi davanti a nessuno e malamente cacciò il sacerdote.
«Fa in modo, vecchio, che io non ti trovi mai vicino alle concave navi, non aspettare adesso e non tornare in futuro, che non ti debbano più servire a niente lo scettro e la benda del dio. Io non libererò tua figlia: prima la raggiungerà la vecchiaia, nella mia casa ad Argo, lontano dalla sua patria, mentre va e viene dal telaio e accorre al mio letto quando io faccio un cenno. Adesso vattene, non irritarmi, se sano e salvo vuoi partire»
Il vecchio sacerdote intimorito dalle minacce di Agamennone si avviò lungo la riva del mare pregando ancora il Radioso di far qualcosa per liberare la figlia.
"O Divino Apollo, se mai ti onorato come si deve agli Dei, ti prego esaudisci questa mia preghiera: che i Greci paghino le mie lacrime con la tua ira!"
Crise continuava a camminare fin quando Apollo in persona non gli apparve. I capelli rossi, fiammeggianti sulle punte, al vento sembravano come un fuoco alimentato. La regale postura era proprio quella di un Dio. Egli levitava davanti al sacerdote, protetto da una dorata Armatura che alle sue spalle raffigurava una stella da cui migliaia di raggi si dipartivano. Tra una punta e l'altra della stella, c'era una sfera di luce, per un totale di sei, disposte in cerchio.
«Mio nobile sacerdote, le tue preghiere non sono state ignorate! I greci già subiscono per mio volere, anche se non per mia mano, le sofferenze della peste, ma oggi, recandoti ulteriore offesa, pagheranno direttamente con le fiamme dei Soli! Ora va, torna alla città dalle possenti mura che io, Poseidon ed Eaco abbiamo eretto generazioni orsono e lì resta, guardando bruciare i tuoi nemici!»
Apollo allora si portò su di un'altura vicino al campo Acheo dopo aver teletrasportato Crise a Troia. Levò il braccio verso l'alto con la mano aperta e le sfere alle sue spalle iniziarono a roteare, ingrandendosi a turno. Quando una s'ingrandiva, veniva scagliata sul campo, e un'altra alle spalle del Dio si generava. Così devastazione e morte scesero sugli Achei bruciando tutto ai piedi del Radioso.
Achille riposava nella sua tenda, nudo in compagnia della dolce Briseide, quando i tumulti all'esterno li svegliarono.
Il pelìde di colpo si rivestì.
«Resta qui!» – disse alla fanciulla poco prima di uscire dalla tenda.
Appena fuori vide le sfere di luce provenire da quell'altura sulla quale era solito riflettere da solo, e qualche volta in compagnia dell'amico Patroclo.
«Achille!» – urlò Patroclo da lontano – «È Apollo!»
«Lo vedo!»
Achille e Patroclo in quel momento usarono il loro Cosmo per bloccare gli attacchi di Apollo, facendo esplodere quelle sfere di luce prima che toccassero terra.
«Per fortuna che mi hai insegnato il Lightning Bolt!» – commentò Patroclo, mentre i due si davano da fare per respingere gli attacchi del Dio – «Né il puro Cosmo né le rose avrebbero funzionato contro queste sfere di luce!»
Anche Aiace e Ulisse si unirono ai due valorosi amici. Tutti gli attacchi di Apollo venivano respinti prontamente dai quattro greci, così Apollo decise di far loro una visita.
Gli apparve proprio difronte raggiante come ci si aspetterebbe dal Dio del Sole.
«Osate opporvi al mio volere ancora una volta? Si mi ricordo di voi due! Siete i due protetti di Athena!»
«Tre!» – esclamò Ulisse – «Ora Achille!»
Aiace da dietro con la sua gigantesca mole afferrò il Dio, cercando di stritolarlo con tutta la forza che avesse in corpo, tuttavia Apollo non sembrava per niente turbato.
Achille era andato dietro Patroclo e Ulisse accumulando Cosmo.
«Come ad Atlantide!» – spiegò Ulisse
«L'avevo immaginato! Anche se adesso siamo senza Armature e non abbiamo né Polluce né Amida!»
«Sì, però ci sono Patroclo e Aiace, anche se ti do ragione! Non so che darei per un Kān in questo momento!»
Achille e Patroclo si misero a ridere, mentre Aiace venne scaraventato ad una decina di metri da Apollo, senza neanche muovere un dito rimanendo imperturbabile.
«Io sono pronto ma senza un contenitore mi sarà difficile mantenerlo separato quindi sbrigati» – urlò Ulisse all'amico Achille.
«Perfetto ci sono!» – urlò Achille, in quel momento Ulisse si apprestò a lanciare la sua mossa più potente.
«Sekishiki Tamashī fūin-sha! (積尸気 魂封印者) (Sigillante di anime dello Tsei She ke)
Una freccia di fuoco trafisse Ulisse prima che l'attacco fosse completato. L'eroe cadde al suolo ferito.
«Ulisse!» – urlano i tre in piedi
«Sto bene!»
«Stolti! Pensavate che non sapessi come avete sconfitto Poseidon? E che anch'io potessi cadere in un simile tranello? Non riuscirete mai a sconfiggermi!»
«Non importa! Ormai è pronto! Cosmos Open!» –molte stelle luminose apparvero intorno al Pelìde
«Photon Drive!»
Le stelle luminose appena comparse si diressero verso Apollo, che levando in avanti il braccio creò una barriera, tuttavia le stelle la trapassarono come se non esistesse.
«Cosa?» – si chiese Apollo stupefatto poi sorrise
«Capisco»
«Photon Burst!» – urlò il Pelìde, e un'esplosione gigantesca colpì il Dio. Una fitta nube di polvere si levò in cielo, oscurando tutto intorno ai quattro eroi.
Achille visibilmente provato per lo sforzo si sedette a terra. Aveva messo tutto sé stesso in quell'attacco, tuttavia non appena la nube si schiarì, videro Apollo ancora in piedi seppur lievemente ferito alla mano.
«Come hai osato, mortale?» – urlò adirato il Radioso
Puntò proprio la mano ferita contro il gruppo – «Morite!»
«Solar super Flare!»
Un'onda di luce e fiamme stava per investire i quattro eroi quando qualcuno s'interpose, facendo ai quattro da scudo con il suo Cosmo. L'esplosione che ne seguì diede vita ad uno spettacolo di luci stupendo, se non fosse per il fatto che una vita si stava spegnendo. Un Cosmo gentile e incredibilmente puro li aveva protetti, scarificando la propria vita. Dopo l'esplosione si chiesero chi avesse avuto tanto coraggio da sacrificarsi per proteggerli. Achille lo sapeva e già piangeva. Si avvicinò al corpo carbonizzato mentre la fanciulla di belle gote esalava gli ultimi respiri. Apollo rimase confuso dall'accaduto.
«Come ha potuto fermare il mio attacco?» – si chiese. Poi, percependo il suo Cosmo residuo, capì.
«Ma certo è chiaro! Era una delle mie sacerdotesse!» – esclamò il Dio – «Conosceva il mio attacco ed è riuscita a fermarlo sacrificando la sua vita! Ecco il perché di quelle meravigliose luci. Erano i Cosmi in risonanza!» – commentò Apollo, venendo ignorato dai Greci.
«Perché?» – chiese ripetutamente, con voce tremante il Pelìde al capezzale di Briseide.
«Perché ti amo!» – rispose a fatica la fanciulla.
«Anch'io! Ti amo!» – le ripeteva, ma ormai era troppo tardi.
Achille piangeva sul corpo dell'amata, mentre il divo Apollo restò fermo fissando l'eroe struggersi per la perdita subita.
«Perché, O Radioso? Perché aggiungere alle sofferenze della peste, la tua furia divina su di noi? Cosa ti ha spinto?» – si rivolse al divino, Achille in lacrime.
«Il vostro Re si è rifiutato di restituire la figlia di Crise in cambio di un cospicuo riscatto! Per quanto riguarda la peste, anche se è per mio volere che si sia abbattuta sul campo, non è per quel rapimento che è arrivata!»
«O divino se tu ora risparmierai i Greci dalla tua ira, giuro su quanto ho di più caro che la figlia al sacerdote venga restituita!» – affermò Achille
«Dalla peste non posso liberavi. Tuttavia non era mia intenzione prendere una così pura e giovane vita! Liberate la figlia del sacerdote e nessun altro dovrà sopportare il fuoco della mia ira!» – disse scomparendo in un lampo di luce.
Achille ancora in lacrime, prese tra le braccia il corpo esanime della fanciulla e lo portò alle sue tende, insieme ai tre amici. Arrivati lì prese un velo bianco nel quale avvolse i resti dell'amata.
«Ora che facciamo?» – chiese Aiace
«Andiamo da Agamennone!» – esclamò il piè veloce, asciugandosi il viso dalle lacrime.
Il Pelìde agguerrito si diresse alle tende dell'Atride seguito dai compagni. Entrarono, ignorando le guardie all'entrata che invano tentarono di fermarlo.
«Achille che ci fai qui?» – chiese Agamennone – «Ah ci siete pure voi!» – disse vedendo entrare anche Patroclo, Ulisse e Aiace.
«Sai perché i Greci soffrono le pene dell'inferno? Per te, O valoroso, Atride! Solo per la tua avidità, per la quale al sacerdote del Radioso Apollo, non hai voluto restituire l'amata figlia!» – gli urlò contro Achille – «Ora restituiscila prima che la mia ira si abbatta su di te!» – lo minacciò il Pelìde, mentre Aiace cercava di tenerlo dal braccio, evitando che trucidasse il Re dei Re.
«Come sai che solo perché non ho voluto restituire la ragazza, Apollo scagli la sua punizione sugli Achei!»
«Perché lui in persona l'ha detto a noi!»
«Davvero? E guarda caso son io che dovrò concedere il mio premio per far salvo il campo! Non fraintendete! Son disponibile a restituirla se ciò può placare l'ira del Radioso, ma preparatemi subito un premio, affinché non io solo, senza premi, abbia da perdere fra gli Argivi, ché non conviene! Su, stabilite voi tutti che premio in compenso mi tocchi!»
«La tua avidità è senza limiti! Sento la puzza della tua anima putrefatta provenire dalla tua carne!» – esclamò sconcertato Achille.
«Come Osi?» – urlò l'Atride – «Se tanta è la tua impudenza, forse la tua dolce Briseide potrà essere la mia ricompensa!»
«Otre di vino!» – urlò il Pelìde portandosi indietro i lunghi capelli biondi – «Lasciateci!» – urlò più volte a tutti nella tenda, compreso Nestore e Menelao che erano con Agamennone.
Aiace guardò il Pelìde titubante, poi Patroclo gli prese il braccio e disse: – «Su, andiamo Aiace, puoi star tranquillo!»
Tutti nella tenda compresa le guardie, uscirono, intimoriti dall'ira funesta del Pelìde.
Achille guardò Agamennone negli occhi, sguainò la spada puntandola alla gola dell'Atride.
«Non osare mai più pronunciare il suo nome! Già la tua avidità l'ha raggiunta! Già me l'hai strappata! Solo questo può essere il tuo premio!» – disse infine riponendo la spada nel fodero.
«Che vuoi dire?» – chiese l'Atride confuso.
«È morta! A causa tua... della tua ingordigia! Perciò sì, già me l'hai strappata! E che tu altre pretese non abbia!»
«D'accordo! Restituirò Criseide al vecchio!» – annuì Agamennone – «Ma tu non osare puntare mai più la spada contro di me o te né pentirai!»
«Tranquillo, la mia spada, in queste spiagge, contro più su nessuno verrà puntata! Né su di te né sui Troiani!»
Achille poi uscì dalle tende e se ne andò.
Era già calata la sera quando si svolsero i funerali. Il corpo della fanciulla era coperto da un velo bianco, che lasciava trasparire appena, la pelle bruciata e più lui la guardava, più la sua ira cresceva, mentre Eudoro e Patroclo l'adagiavano sul piccolo palco in legno, rialzato, che poi sarebbe stato bruciato.
«Addio, amor mio!» – disse baciando la propria mano e poggiandola sulla fronte coperta dal velo.
Achille piangeva mentre mise una torcia accesa alla base di quel funebre altare, aspettando che il fuoco si propagasse.
«Non combatteremo più!» – confidò il Pelìde all'amico Patroclo
«Lo immaginavo!»
Il fuoco alto divampava restituendo alla terra che l'aveva generata e nutrita, in forma di cenere, Briseide.
La pioggia tempestosa iniziò a cadere sulla spiaggia, mentre Achille osservava ancora il fuoco bruciare ed estinguersi lentamente soffocato dal temporale. Tutti se ne andarono lasciando Achille al proprio dolore. Il Pelìde vi rimase finché il fuoco non si spense, poi sotto la pioggia battente, camminò lungo la spiaggia, fino a risalire quell'altura da dove il Radioso Apollo scagliava le sue stelle ardenti sul campo Acheo. Seduto lì rimase per ore sotto il temporale. I tuoni e saette squarciavano il cielo, mentre i suoi fulmini, che un tempo avevano suggellato il suo amore per Briseide, si erano esauriti nel dolore della perdita. Così la sua mente tornava agli insegnamenti del maestro Fenice, che anni prima gli spiegò uno dei significati più profondi del suo potere. "Che cos'è un fulmine, Achille? ... Il fulmine è una connessione... una connessione di due punti! Per poter esistere un punto deve essere in grado di cedere energia... e un altro deve essere in grado di accettarla... quando un fulmine si crea, si instaura una connessione tra quei due punti finché non sono in equilibrio, finché non risuonano insieme allo stesso modo!"
Come poteva adesso il cuore del Pelìde privato della sua metà battere ancora, quando parte della sua vita si era spenta con la giovane fanciulla? Quella parte, che nella notte più bella della sua vita, aveva donato alla fanciulla, usando le connessioni che meglio conoscesse! I fulmini!
«Finché morte non ci separi» – pensò Achille ad alta voce.
«Ma la morte non è la fine, amor mio» – la voce di una ragazza sembrava provenire da dietro al Pelìde.
Achille subito si girò e la vide. Come poteva essere lei? Era morta quello stesso giorno! Eppure era lì, difronte all'eroe, bagnata come lui, dalla pioggia interminabile.
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Saint Seiya - Origins
FanficAi tempi dell'antica Grecia, era di grandi eroi e di epiche battaglie, l'equilibrio tra le divinità iniziò ad incrinarsi quando la custodia della Terra e della sorte degli esseri umani venne affidata ad Athena. Da sempre quel dominio allettava molt...