1 L'arrivo

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Arrivai nel paese di San Colombano alle 19, 30 di venerdì sera. Il sole stava calando e la notte sopraggiungeva con molta velocità quasi fosse un animale feroce pronto ad azzannarmi. Ero riuscito a prendere l'ultimo pullman alla stazione centrale di Brescia, il biglietto lo avevo acquistato con quei pochi euro che avevo trovato in tasca.
Stavo scappando di casa, ancora una volta la mia vita era sprofondata in una depressione asfissiante. Non era andata come avevo previsto e il mio unico amore mi aveva lasciato per rimettersi con il suo ex. Piantato in asso di punto in bianco, proprio come succede nei romanzetti rosa dal finale tragico.
Mi sono sentito male, come se mi avesse trafitto il cuore con una lama incandescente. In fin dei conti ha sempre avuto lui il coltello dalla parte del manico, se si può dire così. E non ha avuto nessuno scrupolo ad usarlo contro di me.
Volevo morire...
Sapevo che fuggire non era la soluzione migliore, ma cosa potevo fare? Il mio mondo era andato in pezzi e tutto a iniziato a crollare davanti ai miei occhi.

Mentre il pullman proseguiva la sua marcia, notai il mio riflesso sul finestrino e non mi ero nemmeno reso conto di aver pianto. Avevo la faccia stravolta, non mi riconoscevo neanche più. Ero pallido, quasi malaticcio, i capelli scompigliati dopo aver corso come un pazzo per non perdere il pullman.

Pregai con tutte le mie forze che il viaggio non fosse eterno. mi serviva un posto dove passare almeno un paio di giorni per riprendermi e... stare solo, lontano dal caos.

Giunto nella piazza che dava le spalle alla chiesa mi incamminai per la strada che fiancheggiava il cimitero; le luci delle lapidi, viste di notte, erano inquietanti, ma non dovrei pensare a cose del genere in fondo in quel cimitero sono sepolti i miei parenti.
La casa dei miei prozii si trovava in fondo alla strada subito dopo aver superato il bar della signora Concettina. La struttura della loro dimora era rudimentale, di pietra grigia e con il tetto di mattonelle scure; una volta aveva anche un giardino spazioso, ma la pioggia lo fece franare un paio di anni prima.
Bussai alla porta di legno e attesi una risposta.
"Sono in casa" pensai. "Le luci sono accese".

Mio prozio Pasquale venne ad aprire. Era un uomo di corporatura robusta, stempiato e dagli occhi socchiusi. A prima vista potrebbe sembrare spaventoso, ma l'apparenza inganna e appena lo si conosce meglio ci si rende conto che è una brava persona.

-Cosa ci fai qui?- mi chiese guardandomi da capo a piedi.

-Ecco io...- Balbettai e prima di dire una parola di più mi misi a piangere. Non ero più in grado di contenere le emozioni. Ci mancò poco che mi accasciassi al suolo sulla soglia di casa, ma Pasquale mi prese per un braccio e mi sostenne.

-Ti senti bene?- Si voltò verso l'interno della casa. -Caterina, Paolo! Venite qui!-

-Che succede?- La prozia Caterina fu la prima a raggiungerlo. -Oh Santo Dio! Portalo dentro.-

- Raffaele! Stai bene?- Paolo venne accanto a me mentre il prozio mi faceva stendere sul divano davanti al camino acceso.

Cercai di respirare profondamente, ma era come se mi mancasse l'aria, stavo soffocando nel mio stesso dolore. Nessuno poteva salvarmi, volevo morire. Il mio cuore si era lacerato e faceva molto male. Portai una mano al petto e provai a contenere il dolore che mi sembrava diventasse via via sempre più forte, ma non servì a nulla. Tutto intorno a me si fece confuso e mi parve che la stanza stesse girando in tondo. Ero sprofondato in uno stato di catalessi.

Volevo solo morire...

-Raffaele. Tesoro mio che ti succede?- Caterina si inginocchiò accanto a me. E con il dorso della mano mi accarezzò la fronte, potevo sentire la sua mano calda e delicata sfiorare la mia pelle con tanta dolcezza, quasi avesse paura di farmi del male. In un attimo di lucidità riuscii a scrutarla meglio: era una donna minuta, dai capelli corti color biondo cenere e il suo viso era ben curato nonostante avesse superato i settant'anni.

-Lui mi ha lasciato... mi ha lasciato per andare con un altro....- Piansi e singhiozzai. Portai le mani agli occhi per evitare di guardarli in faccia, sapevo fin dal principio come avrebbero potuto prendere una notizia del genere.

-Raffaele...- Pasquale cercò di dire qualcosa, ma Caterina lo fermò prima che potesse dire qualcosa di più.

-Lascialo stare per stasera e fallo riposare. Ne ha bisogno- Caterina restò accanto a me ancora per un po', poi con fare affettuoso mi chiese: -vuoi mangiare qualcosa?-

Scossi la testa per dire di "no".

La zia non fece obiezioni. -Ma i tuoi genitori sanno che sei qui?-

Scossi ancora la testa. Tirai fuori il cellulare dalla tasca della giacca e lo guardai, avevo una decina di chiamate perse e altrettanti messaggi da parte di mia madre e di mio padre. Non ci feci caso e spensi il telefono.

-Sarà meglio avvertirli.- propose Paolo con la sua voce acuta.

-Li chiamo io- sentii lo zio che si alzava dalla sedia .

-Non voglio andare a casa.- dissi con le poche forze che avevo. Mi alzai dal divano per poterlo vedere meglio. -Preferirei restare qui con voi, non me la sento di tornare indietro.- i miei occhi ancora carichi di lacrime lo stavano supplicando.

Mi guardò perplesso come se avessi detto la cosa più strana del mondo. Poi con voce dolce mi spiegò: - per farli stare tranquilli, sarebbe meglio dirgli dove ti trovi.- prese in mano il suo cellulare "datato". -Stai tranquillo gli diremo che resterai qui con noi per qualche giorno.-

In quel momento ringraziai il cielo. Non me la sentivo proprio di affrontare i miei genitori. Loro non erano esattamente delle persone comprensive; gli volevo bene, ma a volte erano troppo giudiziosi.

Mi sdraiai ancora sul divano e attesi che Pasquale finisse di parlare con mio padre. Senza rendermene conto mi addormentai.

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