CAPITOLO 11

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-dai ancora!!!-
Sentivo le persone incitarmi urlando.
Oramai la sfida tra me e Thomas era diventata di dominio pubblico ed io ero arrivato al nono bicchierino, tenendomi a stento seduto.
La testa girava come non faceva da tempo e lo stomaco, per quanto ne sapevo, stava prendendo fuoco tanto forte era il bruciore.
Thomas parve accorgersene e mentre stavo per mandare giù il decimo bicchiere mi fermò il braccio, una presa salda quasi rassicurante.
-hei! Se non ce la fai fermati ok?-
Ora la sua voce sembrava preoccupata, ma probabilmente era solo un effetto dell’alcol.
I suoi occhi azzurri come il mare erano puntati su di me, dandomi quasi fastidio.
Non sopportavo che mi guardasse come fossi un bambino, indifeso ed ingenuo.
Mi scrollai il suo braccio di dosso
-e dartela vinta così facilmente stronzo!-
Biascicai reggendo la testa, ormai divenuta pesante, con la mano sinistra.
Buttai giù tutto, seguito da urla generali delle persone attorno.
Thomas rise divertito.
-sei proprio cocciuto!-
Commentò ed io annuii.
Sentii qualcosa affermarmi da dietro, ma l’unica cosa che vedevo bene erano due occhi verdi e dei capelli biondi.
-Elijah eccoti! Dov’eri finito? Ti ha costretto Thomas a bere tanto?-
Guardai il ragazzo in questione abbastanza tranquillamente, il quale fece spallucce come a giustificarsi.
-vieni ti riaccompagno-
Ma lo zittai mettendogli una mano sulle labbra, ancora non avevo capito chi fosse non riuscii a mettere a fuoco, ma speravo vivamente fosse Richard.
-no! devo vincere questa…qualsiasi cosa sia, e farla pagare a questo stronzo...E poi sei tu che sei scomparso all’improvviso!-
Obbiettai fingendo un tono infastidito.
Presi l’undicesimo shots ma non riuscii a berlo, perché mi scivolò dalle mani frantumandosi al suolo.
La stanza parve fermarsi mentre io mi sentivo sempre più leggero, la sensazione era davvero piacevole.
Finché un forte dolore alla testa ed il pavimento freddo a contatto con la pelle,  mi fecero risvegliare da quell’ euforia e confusione che mi si erano create in testa. Mi guardai pigramente intorno.
Dovevo essere caduto dallo sgabello...ma sembrava quasi non me ne rendessi conto.
Sentii la gente urlare, ed il caos dilagò per tutta la sala.
Mi sentivo enormemente stanco, respirando piano, e sentendo i rumori farsi sempre più flebili.
Chiusi gli occhi.
Quando li riaprii ero disteso sui sedili posteriori di un auto.
-Richard…?-
Domandai alla figura che stava al posto del guidatore, nonostante la macchina non pareva la sua.
Ancora mi era difficile mettere a fuoco le immagini.
La mia voce sembrava rotta, non usciva niente se non un sussurro.
L’uomo però non rispose continuando a guidare.
Probabilmente non mi aveva sentito.
Mi voltai e richiusi gli occhi, ormai muovere qualsiasi muscolo era divenuta un impresa.
Sentii qualcuno sussurrare furori da una porta, o almeno credo fossero sussurri dato che a stento sentivo.
Ero disteso su di un letto, probabilmente non il mio, ma non riuscivo a vedere niente, la stanza era immersa nel buio.
C’era solo uno spiraglio di luce che entrava dalle tapparelle, bianco come la luna, che mi fece capire fosse ancora notte.
In quel momento i sussurri divennero più forti, trasformandosi in urla, di cui però non capivo ancora le parole.
Mi sembrava di avere le cuffie nelle orecchie, senti le voci delle persone che ti passano accanto ma non capisci cosa dicano.
Improvvisamente riiniziai a sentire alcuni suoni.
Motori di auto e Klacson provenivano da fuori l’abitazione, e le urla erano quasi insopportabili, tanto che iniziarono a farmi male le orecchie.
Vidi poi la porta aprirsi lentamente, facendo entrare della flebile luce nella stanza, che mi permise di notare fosse interamente sui toni del verde e del blu e facendomi tirare un sospiro di sollievo, dato che riuscivo di nuovo a vedere bene.
Dalla porta sbucò fuori una figura minuta con il capo chino.
-sei sveglio ragazzo?-
Una dolce voce femminile si propagò nella stanza.
Annuii leggermente, ma la donna non si smosse tenendo gli occhi fissi sul pavimento.
-s…si sono sveglio…-
Dissi sforzandomi di trattenere i conati di vomito e sentendo la gola bruciare intensamente.
La donna a quelle parole si avvicinò a me, ma sempre con il capo chino.
Camminava lentamente facendo tastoni con  le mani su ogni superficie, nonostante la luce della porta permettesse di vedere abbastanza per poter camminare.
Giunta al letto si sedette lentamente.
-allora...come ti chiami?-
Chiese in tono gentile ma calmo, quasi sussurrasse per paura di svegliarmi, nonostante lo fossi già.
La guardai confuso.
-Elijah-
Risposi rapido rimandando giù l’alcol che stava tentando di uscire, e che mi bruciò la gola, che adesso sembrava ardere come il fuoco.
-Elijah? Che bel nome!-
Un lieve sorriso apparve sulle labbra screpolate e sottili della donna.
-e dimmi Elijah, da dove vieni?-
Chiese curiosa.
Cercasi di risponderle ma diveniva sempre più difficile.
-M…Mi…Miami!-
Quasi urlai sentendo la testa girare nuovamente.
La donna inspiro profondamente.
-Miami…-
Disse in tono malinconico.
Alzò la testa ed il pallido bagliore del flebile raggio lunare le illuminò il viso, che mostrò una carnagione pallida, dei capelli sul biondo ed un paio di grandi occhi…bianchi!
Aveva gli occhi di un bianco lattiginoso, questo voleva dire che era…Ceca?.
Tutto ciò avrebbe spiegato perché guardasse sempre verso il basso, ed avesse difficoltà a camminare.
Abbassò nuovamente lo sguardo catturando la mia attenzione.
-anche io vengo da li sai?!-
Disse stavolta in modo triste ma allo stesso tempo dolce.
Le sue parole erano un misto di dolce amaro, come se quasi potessi sentire ciò che provava.
Si alzò dal letto a fatica e lentamente ritornò alla porta.
-scusa per il comportamento di mio figlio...-
Disse per poi scomparire, chiudendosi la porta della stanza alle spalle, senza lasciarmi il tempo di controbattere.
Sprofondai nel cuscino, confuso sul comportamento della sconosciuta.
Mi accorsi in quel momento che le voci erano cessate.
La porta si riaprì, questa volta rivelando un volto maschile che mi spinse d’istinto a chiudere gli occhi fingendo di dormire.
Sentii la porta cigolare lentamente, mentre l’uomo si avvicinò a me rimanendo in pedi.
Pronunciò qualcosa ma non capii cosa, e non riuscii a riconoscere la voce.
La figura fece il giro del letto per poi avvicinarsi a me.
Con grande delicatezza spostò il lenzuolo che mi ricopriva.
Infilò le mani sotto la mia schiena, facendomi correre un brivido lungo tutto il corpo, per poi sollevarmi.
Potevo quasi sentirle, due braccia forti e morbide che mi sostenevano la vita, ed il respiro caldo sul mio viso, con un lieve sentore di alcool.
Per quanto stessi male, le braccia del uomo sembravano farmi passare ogni malanno.
Non mi bastò molto per farmi addormentare, mentre lui ancora mi trasportava...chissà dove.

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