Capitolo 22

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Nhoa

Non mi sorpresi più di tanto, immaginai sarebbe finita così, solo che, le ragazze le mollo io quindi mi sentii strano.

«Qui ci vuole una bella serata tra amici, una birra e forse una ripassata a qualche ragazza...»Disse il mio migliore amico. Mi limitai ad annuire e fingermi attento.
«Tra meno di cinque giorni sarà Natale, spero passi al più presto e, non vedo l'ora che arrivi capodanno, serata da sballo» aggiunse ridendo come un deficente Martin.

Forse Greta ha ragione, solo delle stupide senza cervello avrebbe piena fiducia in me, lei no, non è stupida.
Forse un po' ci tenevo a lei, forse ne ero attratto, forse me ne innamorai realmente di quella nana, buffa che mi fa perdere la testa ogni volta che cammina per i corridoi di una comune scuola. Pensai tra me e me.

Ma ti senti, dov'è quel Nhoa?
Quello che dice "se lei non ci sta, cambiamo bersaglio?"

Non lo so, non so trovare una stupida risposta, non so perché quando le sue labbra rosa e carnose si posano sulle mie mi sento libero e sento una bellissima sensazione nello stomaco.
Forse sono troppo sicuro di me agli occhi suoi ma, non è così, ero vulnerabile tutte le volte che mi metteva le dita tra i capelli, ero vulnerabile quando mi chiamava "Nhoa" con quella sua voce dolce e passionale, ero vulnerabile quando mi sfiorava.
Sarà la solita frase presa da internet ma, io in quel paio di occhi marroni ci ho visto l'oceano, un oceano profondo, magnifico.
Me ne spaventai, devo essere sincero, forse non volevo dar ascolto ai miei così detti sentimenti.

Forse coscienza, sono un po' stufo di essere considerato il cattivo di turno, quello poco serio e che non sa prendersi le sue responsabilità.
Io sono tutt'altro che questo, forse il mio orgoglio è troppo grande per cambiare.
Ero disposto a cambiare per lei? Mettere il mio orgoglio da parte per lei?

Devo uscire, distrarmi, bere dell'alcol.

* * *

Ora: 01:10am.

«Hahahaha!» Rise una ragazza vicino a me.
«Cosa ti fa ridere?» Dissi.
«Nulla, ti va se andiamo da un altra parte?» Si morse il labbro la bionda di fronte ormai a me.
«Dov'è che vuoi andare?» Chiesi con tono scocciato.
«Non so, mi sento arrapata.» Disse ridendo in modo fastidioso.
Dio mio, tutte a me capitano? Anche una ragazza ubriaca e arrapata. Pensai.
«Senti, sei ubriaca, tornatene a casa» distolsi lo sguardo e cambiai posto.

Non sentii più quella voce fastidiosa ronzarmi intorno.
E feci un sospiro di sollievo, ci manchi solo che devo far da babysitter a Delle ubriache e accompagnarle a casa.

Persi di vista quel drogato del mio migliore amico.

'vado a farmi uno spinello' disse.
'torno subito' aggiunse.
'non è che vuoi unirti a noi?' domandò.
'no, non sono in vena, la prenderei troppo male' mi giustificai.
Annuì e sparì.

Me ne tornai a casa, ero stufo di tutto quel caos e poi avevo bevuto, ma abbastanza lucido da poter guidare.
Arrivai a casa, entrai in cucina e presi una birra, uscì fuori nel portico e mi stesi sulla sedia a sdraio sorseggiando la birra.

Fissai il vuoto per ore ed ore, perdendo la cognizione del tempo.
Finita la birra, buttai la bottiglia e andai in bagno.
Mi osservai allo specchio ed avevo delle occhiaie orrende e gli occhi rossi.
Abbassai lo sguardo e notai una lama.
La presi tra le mani e chiusi gli occhi, tornando ai ricordi di anni fa.

Tremai, ero seduto sull'uscio della porta del bagno, fui picchiato da mio padre, umiliato e fatto sentire non accettato dalla propria famiglia, non che fosse la prima volta e non sarebbe stata l'ultima.
Mi chiusi in bagno a chiave, mi specchiai ed avevo degli occhi rossissimi per il pianto e un labbro spaccato.
'ti odio, sei la vergogna della famiglia' le sue parole rimbombavano nella mia testa.
Vidi una lama, quella che usa mio padre per tagliarsi la barba e mi ricordai quel depresso del mio compagno di classe.
'gli errori si eliminano con una linea rossa' un giorno mi disse ed io gli risposi che erano tutte stronzate.
Ci pensai, io sono un errore, devo essere cancellato.
Appoggiai quella lama e iniziai con dei semplici graffi.
Fino a trasformarsi in veri e propri tagli. Volevo farla finita.
Piansi e poi caddi a terra, terrorizzato da tutto quel sangue.
Ero ingenuo, però decisi di nascondere tutto.
Per settimane camminai con le solite felpe, non rimanendo mai in maglietta a maniche corte, questa della felpa l'aveva detta lo stesso compagno dei tagli.
Per me resta sempre un depresso.

Scossi la testa e tornai alla realtà, odiai mio padre per anni, poi imparai a lasciarlo fottere.
Smisi dopo due anni di usare una lama sui miei polsi.
Dopo che il mio compagno depresso si suicidò ed ebbi paura.

Osservai ancora la lama e la gettai subito, ero cresciuto, non dovevo far cazzate.

Mi pulì la faccia con dell'acqua fredda e mi buttai come un sacco di patate sul letto e rimasi a guardare il soffitto, finché i miei occhi non si fecero pesanti e mi addormentai.

* * *

La scuola, la mia tortura.
Un luogo dove mettere a dura prova la mia pazienza.
La prima ora nemmeno la sentì, la prof di geografia ha fatto una semplice spiegazione sulla teoria della tettonica a zolle, 'un approfondimento' così disse lei.
La seconda ora fu letteratura, due banchi avanti c'era Greta, mi diede solo due sguardi, un po' mi diete fastidio, perché in quelle due volte che entrambi ci guardammo vidi 'indifferenza', ma io so che non è così, credo che abbia solo paura di essere ferita.

Strinsi i pugni per la frustrazione ma, decisi di essere il solito orgoglioso, forse ci ho messo anni per essere ciò che sono adesso e non voglio buttare il muro che ho creato.

«Signor Price, continui lei.» attirò la mia attenzione il professore.
«Scusi prof, mi sento poco bene, potrei andare al bagno?» mi giustificai aspettando una risposta.
«è urgente? Siamo a terza ora, lo sa che non può andarci...»
Sbuffai.
«Sì, è urgente.» dissi a denti stretti.
«Vada. Due minuti, non di più.»

Mi alzai e uscì dall'aula, mi toccai la fronte e costatai che era sudata.
Che mi prendeva, ero nervoso, fin troppo.

Un secondo dopo dalla porta della classe ne uscì proprio lei. Greta.
La guardai e lei fece un sospiro profondo.
«Nhoa, come stai?» chiese.
«Sto benissimo» dissi in modo freddo.
«Mh...» si passò una mano fra i capelli e poi mi sorpassò.
«Bene, vado a restituire il libro al professore Giolì»

D'un tratto le bloccai il polso, lei mi guardò in modo sorpreso.
«Senti...» iniziai.
«Io... Che cazzo, al diavolo!»
Mi avvicinai in modo brusco e le misi una mano dietro la testa, la baciai.
Chiesi l'accesso con la lingua e lei mi diede via libera.
Ero felice perché ricambiò il bacio.

Fece un lamento e mi spinse leggermente sussurrando un 'no'.
Mi sentì più confuso, ed ero più sicuro che avesse solo paura di star con me.

Restai fermo imbambolato nel ben mezzo del corridoio e guardai quella ragazza camminare e allontanarsi da me.
Mi sentì un mostro, per la prima volta mi sentì come mi fece sentire mio padre anni fa, non voluto.
Automaticamente al pensiero mi passai una mano sul polso, mi tornò in mente l'unica cosa che mi aveva fatto sentire voluto e vivo, la lama.

~•~•~•~
Che dire, non è il meglio del meglio... Lo so!

Vi starete chiedendo perché di questo capitolo cosi triste.
Volevo far conoscere anche un lato debole di Nhoa.
Il perché ha questo muro e qual è la cosa che lo ha reso così stronzo e così libertino?
Beh, penso avete capito no?
Beh, spero abbiate afferrato il concetto.
Alla prossima...

PS: scrivo ancora con il telefono, quindi scusate per gli errori.

I hate you, i love youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora