55. Filo da torcere

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Rimango pietrificata quando, dietro alla mia porta di casa, vedo il ragazzo che un tempo mi aveva intrappolato nel suo amore malato, e con cui adesso non voglio più averci a che fare.

Il suo tipo di "relazioni" non fa per me... forse un tempo ero anche disposta ad accettare il tipo di rapporto che voleva da me, ma adesso non più.

Jarred mi guarda con un sorrisetto malizioso sulle labbra. Quel sorrisetto che fino a qualche anno fa mi piaceva da impazzire, adesso mi provoca solo ribrezzo...

Lo fulmino con lo sguardo e lui percepisce il mio ribrezzo nei suoi confronti.
«Ehi! Una volta non mi accoglievi in questo modo...» dice riflessivo. Starà pensando a qualcosa in particolare...

«Che cosa vuoi?» chiedo esasperata da tutta questa situazione scomoda che si è creata tra noi.

«Voglio solo darti filo da torcere, mia cara Astrid!» dice con noncuranza, come se fosse una cosa ovvia, scontata.

«Sparisci.» dico in un tono che non ammette repliche e faccio per chiudere la porta, ma lui la blocca con la punta del suo anfibio prima che io la chiuda del tutto.

«Posso entrare?» chiede in un tono più basso rispetto a quello che utilizzava qualche minuto fa.

Dovrei farlo entrare? No, assolutamente.

Apro la bocca, pronta a negare la sua richiesta, ma subito dopo la richiudo perché dentro di me nasce una curiosità fortissima, che non riesco a contenere.

So per certo che non è venuto fin qui, a casa mia, per fare quattro passi o per sgranchirsi le gambe. Vuole dirmi qualcosa ed io in tal caso sono pronta ad ascoltare ciò che ha da dirmi.

Apro lentamente la porta e mi sposto sul lato destro per farlo entrare.
Sto davvero facendo entrare questo elemento in casa mia?? Ditemi che è un brutto sogno!

Lui è visibilmente sorpreso dal mio gesto, ma poi sfodera un sorriso sinistro ed io mi pento all'istante di quello che ho appena fatto.

Merda.

«Non è cambiata per niente questa casa!» esclama osservandosi intorno come un leone in una gabbia di cristallo.

«Credevi che dopo la morte dei miei avrei ristrutturato casa?» chiedo con falsa cortesia.

Lui ridacchia ma non risponde. Gli faccio strada e lo conduco in cucina, anche se la strada per arrivarci la sapeva già...

«Vuoi qualcosa da bere?» chiedo esitante.

Lui annuisce sorridendo appena. Quel sorriso appena accennato che prima mi provocava mille emozioni diverse e per il quale adesso non sento più niente.
Assolutamente nulla. Il vuoto più totale. E la cosa non mi dispiace per niente.
«Acqua» dice tranquillamente.

Inizialmente non capisco cosa intenda poi sintonizzo il mio cervello e comprendo quello che intendeva dirmi.

Prendo un bicchiere e lo metto sotto il getto d'acqua del lavandino, lo riempio per metà e glielo porgo. Nel frattempo lui si siede su una sedia delle sei presenti intorno al tavolo.

Lui lo afferra e mi rivolge un cenno del capo a mo di ringraziamento.
Sorseggia l'acqua contenuta nel bicchiere molto lentamente. Troppo lentamente.

«Che cosa vuoi?» ripeto in tono meno cortese rispetto a quello che ho utilizzato quando era sulla soglia di casa mia.

Lui mi guarda e in questo preciso istante non riesco a capire a cosa stia pensando. «Mi basta l'acqua, grazie!» dice alzando a mezz'aria il suo bicchiere.

Questione di scelteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora