26. Io e te siamo simili

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«Intendi andare a scuola?» mi chiede David.
«Si certo.» vedendo la smorfia che si disegna sul suo volto aggiungo: «Prima però mi faccio una doccia.» sorrido.
Lui alza gli occhi al cielo rimanendo ancora addossato alla parete con le braccia conserte al petto.
«E come credi di nascondere la stanchezza e quelle occhiaie allucinanti?» chiede sfidandomi.
«Semplice! Caffè e correttore!» mi alzo dalla sedia e sento la stanchezza delle ultime ore abbattersi su di me.
Mi avvicino a lui e gli assesto un buffetto sulla guancia mentre dico: «Me la caverò... vedrai.» mi precipito nel mio bagno e giro le manopole della doccia per far scorrere un po' l'acqua aspettando che si scaldi.
Nel mentre mi preparo la borsa mettendoci dentro ogni libro e quaderno di cui avrò bisogno durante la mattinata.
La vedo dura. Molto dura... Dovrò diventare una "caffeinomane" per riuscire a rimanere sveglia.
Mi dirigo nuovamente in bagno e mi spoglio, mi guardo allo specchio e non posso fare a meno di ridere per il mio aspetto.
Sembro una scappata di casa. Se ci penso bene lo sono realmente. Sono scappata innumerevoli volte di casa, ma poi sono sempre tornata. É questo che conta, no?
Mi butto sotto il getto dell'acqua beandomi della temperatura che ha assunto. Mi insapono e mi sfrego con forza per fare andare via ogni traccia di pittura. Mi risciacquo con cura e, una volta finito, esco dalla doccia.
Cosa mi metto?
Mi asciugo i capelli biondi e li lascio mossi al naturale. Non ho né il tempo né la voglia di lisciarmeli.
Indosso una felpa nera con qualche scritta sopra, dei jeans grigi e i miei adorati anfibi neri.
Mi trucco velocemente applicando parecchio correttore sotto i miei occhi azzurri, in modo tale da mascherare le occhiaie e rendermi un po' più presentabile.
Finito di prepararmi, prendo la borsa e mi precipito di sotto. Trovo David che ha già preparato la colazione e ne approfitto per favorire. Bevo due caffè e mangio una barretta energetica.
Insieme ci dirigiamo a scuola. Quando David spegne il motore della macchina, ormai parcheggiata vicino all'edificio, lo saluto e gli auguro una buona giornata.
Mi fiondo su per le scale. Quando sono nell'atrio mi blocco sentendomi chiamare: «Astrid!» voce femminile. Mi volto e vedo Julia venire verso di me.
«Ehi!» le sorrido allegramente. Lei contraccambia con una smorfia confusa.
«Cos'hai? Ti senti bene?» chiede subito appena mi raggiunge.
«Si, certo. Sto benissimo!» dico a disagio.
«Spiegami queste occhiaie, allora?!»
«Oh, si vedono tanto?» mi lascio prendere dallo sconforto.
«Un po'...» dice in tono cauto. Dopo qualche secondo mi rivolge uno sguardo di aspettativa.
«Non ho dormito per niente bene.» dico con noncuranza.
«A causa di?» chiede lei maliziosa come sempre.
«Di un brutto sogno, Julia!» tronco così l'argomento, tralasciando il mio incontro con Nathan.
Saliamo velocemente le scale per arrivare in classe, e solo in questo momento mi accorgo di quanto sono attillati questi jeans. Dovrò ricordarmelo in futuro.
Entriamo in classe e mi fiondo al mio posto. Il mio vicino di banco mi guarda male, evidentemente sembro uno zombie.
«Cosa ti è successo?» chiede Oliver allarmato
«Non ho dormito bene... Ho fatto un brutto sogno che mi ha tenuta sveglia tutta la notte.» neanche a lui racconto del mio incontro con Nathan. Non perché non voglia rendere partecipe lui e Julia della mia vita, ma semplicemente perché non voglio che loro pensino che io sia una poco di buono che gira per le strade di Londra in piena notte.
Suona la campanella appena in tempo per impedire ad Oliver di farmi altre domande a cui non voglio rispondere.
La professoressa entra in classe ed inizia a spiegare la lezione. Passando tra i banchi mi lancia un occhiataccia. Mi incenerisce con lo sguardo come mai nessuno prima d'ora aveva fatto.
Cosa vuole adesso? Sono un ottima studentessa, cosa vuole di più da me? Lei è solo una professoressa e in quanto tale dovrebbe interessarsi solo del mio rendimento scolastico...
Perché tutta questa severità nei miei confronti?

***

Finalmente un altro giorno di scuola è finito. Ora come ora devo solo depositare i miei libri nell'armadietto e tornare a casa con David per perdermi in un sonno lunghissimo e profondissimo. Non desidero altro in questo momento.
Prima o poi, però, dovrò imparare la strada per tornare a casa a piedi... mi perdo in queste strade, orientarsi qui è impossibile ed io ancora non ci ho preso per niente la mano. Per tornare a piedi fino a casa ci vorrà un po' di tempo immagino... poco importa, se tutto va bene tra un mese e mezzo o due sarò patentata. Non vedo l'ora. La patente è il simbolo di libertà più ambito da chiunque abbia la mia età!
Arrivo agli armadietti senza neanche accorgermene. Cerco le chiavi nella borsa, ma non le trovo. Rovisto meglio nel astuccio, in mezzo a tutte le penne colorate che possiedo. Ne ho davvero tante. Che irritazione!
Sfortunatamente vengo distratta da qualcosa che mi irrita ancor di più. Heden. Lo sento arrivare con passi pesanti e capisco subito che è lui.
«Ti prego, anche tu no! Per favore!» imploro senza neanche guardarlo in faccia.
«Cosa pretendi? Dopo quello che è successo pensavi che non ti avrei cercata E?» Ad essere sincera una piccola parte di me sperava che non mi avrebbe cercata. Continuo a cercare le chiavi invano senza neanche degnarlo di uno sguardo.
«Possiamo parlarne in un altro momento?» chiedo ancora intenta a trovare quelle maledette chiavi e come se non bastasse ho un male alla testa pazzesco.
Dove le ho messe quelle benedette chiavi? E se le ho perse? Nah, impossibile. Non è da me.
«No! Ne parliamo ora!» ordina in tono deciso.
Trovate! Sapevo che non le avevo perse!
Alzo lo sguardo su di lui e mi perdo nei suoi occhi stupendi. Lui mi guarda confuso. Mi fissa con quei suoi occhi penetranti e sono costretta a distogliere lo sguardo, e così inizio a riporre tutti i libri che non mi serviranno più per il resto della giornata e prendo quelli che dovrò utilizzare per portarmi avanti con il programma.
«Cosa ti è successo, Astrid?» chiede in tono molto più dolce rispetto a quello che utilizzava secondi prima. Io continuo a fare quello che stavo facendo come se il mio cuore non avesse perso un battito con quella domanda così dolce.
«Niente.» taglio corto e richiudo la porticina dell'armadietto riponendo le chiavi nella borsa.
«Non è vero.» esclama lui.
«Di quella cosa ne riparliamo domani, adesso devo andare.» mi giro e faccio qualche passo prima che lui mi afferri il polso con la sua mano calda e morbida. Un brivido percorre la mia spina dorsale a quel contatto.
Cosa mi sta succedendo?
Mi trascina con se fin davanti una porta, si guarda intorno prima di farmici entrare, praticamente, conto la mia volontà.
Si ferma davanti a me e mi molla finalmente il polso.
«Dimmi cosa ti è successo!» ordina. Quel tono non mi piace per niente e non racconterò di certo la mia vita privata a lui. Non ho intenzione di raccontargli il mio sogno né tantomeno il mio incontro con Nathan. Neanche morta... non gli leggerei neanche la lista della spesa a questo tizio.
«Allora?» chiede nuovamente lui.
«Niente di cui tu ti debba preoccupare. Non ho passato una bella nottata, tutto qui!» esclamo alterata.
«Mi preoccupo invece!» appoggia la schiena alla parete e incrocia le gambe.
«Non dovresti. So badare a me stessa...» dico decisa per sembrare sicura delle mie esclamazioni.
So badare a me stessa? Alcune volte si e altre no...
Okay. Molto spesso non so badare a me stessa.
Mi sto irritando non poco.
«Non è vero. Non sai badare a te stessa. Lo so con certezza...» a questo punto incrocia anche le braccia al petto. Mi sta facendo infuriare. «Perché anche se non lo ammetterai mai, io e te siamo simili. L'ho capito il primo giorno che ti ho vista nel boschetto mentre piangevi.» fa un respiro profondo, poi continua e io lo lascio fare: «L'unica differenza è che tu sei circondata da persone che ti vogliono bene e vogliono aiutarti. Io non ho nessuno, al massimo un gruppo di "amici" a cui non frega un cazzo di me.» Ha gli occhi lucidi. Mi ammorbidisco e faccio qualche passo verso di lui che continua a guardare un punto fisso nel vuoto.
«Lasciati aiutare, Astrid.» dice. Fa per andarsene senza neanche guardarmi negli occhi. Eh no, non gli permetto di andarsene così dopo tutte queste belle parole!
Lo afferro per un braccio e lo faccio girare. I nostri visi sono a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra.
«Ti aiuto io.» gli dico in tono amorevole e lo abbraccio. Lui non oppone resistenza e si lascia abbracciare.
Lo ammetto: forse un pochino mi piace questo strano ragazzo bipolare.

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