Chapter Five: Confusion.

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DRACO'S POV:

Dovevo essere impazzito sul serio, per dirle quella frase. Da quando ero così disgustosamente smielato? Da quando ero diventato gentile? Io ero Draco Malfoy, uno dei ragazzi più temuti e odiati di Hogwarts. Non che la cosa, in quei giorni, mi facesse star bene, ma era sempre meglio che essere stupidamente gentili, altruisti e sdolcinati. Non per altro ero finito in Serpeverde.

Era successo tutto così, improvvisamente, come un colpo di fulmine. Il giorno prima non mi fregava niente di essere tornato in quella maledetta scuola, volevo solo prendere i M.A.G.O e andarmene. Poi bastò incontrare i suoi occhi, quei suoi enormi occhi scuri, per dimenticarmi anche chi fossi io. Come avevano potuto due semplici iridi verde scuro portarmi tanta confusione?

Mi pentii di ciò che le avevo detto, le mie barriere di ghiaccio erano sciolte, e ora ero scoperto, vulnerabile.

<<Che intendi dire?>> chiese Jane. La sua voce dolce e sottile mi invase l'udito e l'anima. Quella domanda mi provocò un brivido lungo tutta la spina dorsale. Cosa avrei dovuto risponderle? Come facevo ad uscire da quella situazione di merda nella quale mi ero cacciato? Non doveva vedermi debole, non avrei permesso alla mezzosangue di irrompere così nella mia vita, come se niente fosse, e cambiare ciò che ero.

<<Che non ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome.>> affermai, lo sguardo freddo e la mascella contratta.

Jane aggrottò le sopracciglia. Non capiva. Come biasimarla: un attimo prima le prendevo il viso e le dicevo che pensavo sempre a lei, e quello dopo alzavo muri di ghiaccio intorno a me.

<<Lascia stare.>> continuai, gli occhi di lei ancora fissi nei miei. <<Fa finta io non ti abbia detto nulla.>> terminai, per poi allontanarmi velocemente a malincuore.

Sentii la mano calda ed esile di Jane stringersi con dolcezza e contemporaneamente fermezza attorno al mio polso destro, voleva farsi valere sebbene il suo portamento non sempre glie lo permettesse.

<<Hai tu il mio disegno?>> mi chiese, imitando la freddezza sfoggiata da me un attimo prima.

<<Non so di cosa tu stia parlando.>> le risposi, non voltandomi neanche. Non avrei potuto mentirle guardandola negli occhi.

Jane lasciò il mio polso e fui libero di andarmene. Mi avviai verso la sala grande quando mi posi una domanda: Come aveva fatto a dedurre che cel'avevo io?

Non ci misi molto a capire la risposta: lei era di Corvonero.

Arrivato in sala grande mi sedetti accanto a Blaise.

Il pranzo era servito, ma non avevo fame. Cominciai a giocare col cibo che avevo nel piatto, lo sguardo perso nel vuoto.

<<Si può sapere cos'hai oggi? Non mi parli da stamattina e non stai toccando cibo.>> mi disse Blaise, con i suoi soliti toni arroganti.

<<Non mi va di parlarne, Blaise.>> gli risposi, non smuovendomi minimamente.

<<Deve essere successo qualcosa di grave. Solitamente non lasci mai niente sfiorarti.>> insistette.

<<Ti tappi quella bocca o no?>> gli chiesi, in risposta, voltandomi di scatto verso di lui e guardandolo con aria di sfida.

Blaise alzo le mani, un leggero sorriso sulle sue labbra.

Non volevo parlarne, non avrei ammesso nulla. Sarebbe finita entro poco tempo, ne ero sicuro.

Dopo pranzo mi recai nell'aula di Storia della Magia, dove avevamo lezione con i Grifondoro.

Non fui molto in grado di ascoltare Ruf, come sempre, del resto. Non facevo altro che pensare a quello che mi era successo. Non volevo ammettere a me stesso che, forse, i colpi di fulmine esistevano.

Ci venne assegnato un saggio sulla separazione tra il mondo babbano e q uello magico a seguito dei roghi medioevali. Fortunatamente era richiesto un solo rotolo di pergamena, così, appena uscito dall'aula, mi recai con Blaise in biblioteca per fare in fretta e furia quel noioso compito. Ero sempre stato così. Non amavo lo studio, amavo la pratica, mettermi in gioco, sebbene nella mia vita non avessi mai avuto tante occasioni per farlo..ero stato così stupido.

Presi il mio volume di Storia della magia, poggiandolo su un tavolo della biblioteca, Blaise fece lo stesso. Ci accomodammo e cominciammo i nostri saggi. Il silenzio regnò tra di noi per un'ora, circa.

A romperlo fu solo la voce di Blaise, il quale, finito il saggio, mi salutò e si recò in sala comune.

Erano circa le 16 quando terminai il mio lavoro. Raccolsi le mie cose e raggiunsi Blaise nei sotterranei. Una volta entrato nella sala comune, notai che tutti si erano ammutoliti, fissandomi. Mi prese un groppo in gola, al rendermi conto che quel silenzio era simbolo di un tale disprezzo da farmi sentir male. Certo, molti genitori dei miei compagni Serpeverde erano stati Mangiamorte, ma nessuno di loro aveva coinvolto i propri figli. Quel marchio, che era ancora vivido, nero, sul mio braccio, era l'unica, grande differenza che avevo con loro. Probabilmente mi vedevano come un mostro, non lo so. So solo che tutto ciò che volevo in quel momento era stare solo.

Blaise mi lanciò uno sguardo comprensivo, mentre mi vide avviarmi velocemente verso la nostra camera.

Sbattei la porta in maniera così violenta che sentii l'eco di essa rieccheggiare nei sotterranei per circa 5 secondi. Allentai la mia cravatta verde-argento, per poi togliermi il grande mantello nero e gettarlo sul letto. Avrei potuto tranquillamente lasciarmi scivolare addosso quegli sguardi insensatamente disprezzanti. Avrei potuto rispondergli, accusandoli del fatto che loro in prima persona erano stati complici di Voldemort, ma non ne ebbi la forza. Avevo solo voglia di star solo, di pensare a quanto avrei voluto essermi comportato in maniera diversa, scegliere.

Ma non avevo potuto. Avrei dovuto veder morire mia madre e mio padre, per scegliere ciò che volevo. Avrei dovuto morire forse io stesso. E, da codardo qual ero stato, non ne ebbi il coraggio. Avevo le mie giustificazioni, ma ero stato una pessima persona ugualmente. Forse quegli sguardi li meritavo.

Avevo bisogno di calmarmi. Mi fermai avanti alla mia scrivania, presi la bacchetta e trasfigurai in un bicchiere di vetro la prima cosa che ebbi tra le mani: una piuma d'oca. Vi versai dell'acqua con l'incantesimo "Aguamenti" e mi sedetti sulla sedia dinanzi alla scrivania. Il mio respiro non rallentò, quelle azioni non miglioravano la mia situazione.

Il mio sguardo cadde sul cassetto della scrivania, nel quale ricordai di aver nascosto il disegno di Jane. Lo aprii e lo presi, con fare delicato, mentre cominciavo ad osservare quei bellissimi colori caldi, che si fondevano con il blu del mare e l'azzurro del cielo, colori decisamente più freddi. Mi chiesi se, allora, caldo e freddo in un certo senso si completassero. Così come il fuoco e l'acqua, il sole e il ghiaccio, il bene e il male. Ricordai ancora i capelli castani di Jane, dalle sfumature color caramello, tremendamente simili ai raggi del sole crepuscolare. Mi resi conto che quel calore stava mano a mano sciogliendo la mia anima ghiacciata.

Alzai gli occhi verso il vetro dinanzi a me, che mostrava parte del fondale del lago nero, rendendomi conto che il mio cuore aveva ristabilito un battito regolare.

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