Botte da orbi

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Avevo lasciato che Travis e Cameron continuassero a parlare, avevo bevuto il mio Jin Lemon e i due rum e pera, ma non avrei preso altro per un po’ di tempo. Il mio corpo aveva bisogno di bere ancora, ma non avevo il tempo per lasciare che il mio borsellino si svuotasse e la mia mente si affollasse di domande irrisolte e dilemmi.

Quindi avevo lasciato tutto e mi ero buttata in pista, non facendo caso a niente e nessuno. Lasciai che la musica scorresse e che il mio corpo iniziasse a muoversi insieme a tutti gli altri, non badando più a nessuno e isolandomi da tutti e tutto.

Grazie a Dio non avevo messo i tacchi!

Risi apertamente quando notai due o tre carte da parati impalate in un angolo, troppo doloranti per buttarsi in pista e troppo strette nei loro vestiti per riuscire perfino a respirare correttamente.

Sospirai e buttai la testa all’indietro alzando le mani.

Era così bello, così liberatorio, così rilassante che non mi accorsi delle mani che si poggiarono sui miei fianchi.

Non mi accorsi che salivano e scendevano con una lentezza disarmante, come a voler godere di qualsiasi centimetro di pelle coperta dal top.

Mi voltai e non mi sorpresi quando incontrai Cameron, stava ballando e i suoi occhi erano puntati su di me.

Poi si chinò e il calore del suo corpo mi riscaldò per qualche istante. Che ci faceva lì?

«Ti ho ordinato una vodka alla pesca, ci vediamo qui tra qualche ora...» poi lasciò un bacio sulla mia guancia e si allontanò.

Probabilmente lo spettacolo stava per iniziare.

Mi guardai intorno per qualche secondo e poi decisi di andare a trangugiare quel dolce regalo che mi aveva appena fatto.

No, non ero stupida, sapevo perfettamente che stava cercando di farmi ubriacare ma diciamocelo, avevo bisogno di più di quello per sbarellare completamente.

Quando arrivai al tavolo Travis stava parlando tranquillamente con una ragazza, una ragazza a me familiare. Troppo.

Sorrisi.

«Ciao Sienna!» salutai allegramente. La mia faccia sembrava fatta di bronzo.

La biondina mi guardò per qualche istante e poi sorrise incerta, doveva essersi accorta della mia espressione finta quanto la faccia di Donatella Versace.

«In realtà mi chiamo Sierra» precisò inutilmente.

Mi sarei dimenticata il suo nome nell’arco di uno… due… tre…

Ecco, dimenticato. Che peccato.

Lasciai che la mia faccia restasse imbalsamata in quel modo e poi notai la vodka che aveva portato la cameriera.

«Che ci fai ancora qui?» chiesi senza curarmi di essere più o meno scortese.

Era quello che avevo pensato: che diavolo ci faceva lei ancora lì?

Io ero stata licenziata e lei no?

La ragazza mi guardò e cambiò improvvisamente espressione, assottigliando gli occhi e sibilando come una vipera.

«Kat ha deciso di tenermi per qualche altro giorno, dice che sono valida almeno molto più di te, Samara» rispose con un’affilata sfumatura della voce.

Sperava tanto di intimidirmi?

Oh, avrei onorato quel nome, i suoi incubi stavano per iniziare.

Bevvi lo shot e poi fissai per qualche secondo il tavolo. C’era un altro bicchierino uguale e abbastanza vicino da capire che entrambi fossero per me.

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