Tazze e altri rimedi

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Avevo bussato alla sua porta un migliaio di volte.

Avevo battuto le mie nocche su quella superficie finché non avevano iniziato a farmi male.

L'avevo chiamato finché una donna dal piano di sotto non si era affacciata per capire cos'avessi che non andava. Mi aveva guardata con l'aria di una in procinto di chiamare il 911 e io mi ero dovuta scusare, sorridendole mestamente e assumendo una faccia da persona completamente sana di testa.

Probabilmente non se l'era bevuta, ma aveva deciso di non fare domande e aveva preferito tornarsene al sicuro tra le pareti di casa sua.

Rimasta sola, nuovamente davanti al numero 5 di quel pianerottolo, mi ritrovai a chiedermi se fosse il caso di continuare a bussare.

Il silenzio e la desolazione della plafoniera accesa sopra la mia testa, mi suggerì di lasciar perdere.

Destan non era uscito. Mi aveva sentito e aveva deciso di non aprire quella porta.

Continuare non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose e rendermi ridicola.

Quando mi allontanai dal suo appartamento per andare a rinchiudermi nel mio, qualcosa all'altezza del petto, si incrinò e iniziò a sanguinare.

Forse ero stata stupida a pensare che lui potesse essere diverso dagli altri.

Mi aveva riempita di belle parole come si riempie un palloncino, ma poi aveva lasciato che mi sgonfiassi e tornassi a non essere nulla per lui.

Se ci avesse tenuto veramente sarebbe tornato dopo avermi sentita urlare contro Cameron, invece era svanito nel nulla come se appena dieci minuti prima non fosse stato in procinto di baciarmi.

Come se dieci minuti prima non fossi stata in procinto di sciogliermi tra le sue braccia come burro al sole.

Quando mi lanciai sul letto la delusione era tanta che riempiva tutta l'aria che immettevo nei polmoni. Mi ero fatta troppe aspettative.

Magari era solo arrabbiato con me?

Era colpa mia?

Forse avrei dovuto cacciare Cameron e tenere Destan, ma non ero stata io a mandarlo via, l'aveva fatto di sua spontanea volontà.

Il mio respiro si abbatté contro il materasso e la stanza rimase in silenzio mentre io tentavo in tutti i modi di non piangere per una cosa così banale.

Non si piange per un ragazzo.

E quindi mantenni fede al mio tacito accordo con me stessa e mi sfilai maldestramente le scarpe, decidendo di non prendermi neanche la briga di mettere il pigiama e sperando che la stanchezza accumulata durante la giornata si facesse così pesante sulle mie spalle da spingermi violentemente tra le braccia di Morfeo.

Avevo bisogno di dormire, non di quei sentimenti.

Quando la luce del mattino inoltrato riscaldò la mia stanza e mi costrinse a svegliarmi il primo pensiero che mi saltò in mente fu:"Perché sono ai piedi del mio letto e non sotto le coperte?"

Poi, però, la mia mente iniziò a prendere coscienza di quello che era successo la sera prima e quasi non volli alzarmi dal letto.

Era sabato e fuori la giornata sembrava perfetta per una passeggiata al parco o per una semplice visita in città e io avevo bisogno di uscire da quella prigione.

Tuttavia le mie membra sembravano ancora assopite o stordite dalla delusione del giorno prima, quindi rimasi ancora a crogiolarmi nella sicurezza delle mie coperte e a fissare con sguardo da pesce lesso la finestra chiedendomi se sarei morta se mi fossi buttata dal terzo piano.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 21, 2019 ⏰

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