Mela segno

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Mi fiondai verso l’uscio e passai sotto il braccio di Destan, che teneva ancora la porta aperta con la mano.

Ma perché succedevano tutte a me?

I due rimasero in assoluto silenzio e l’aria divenne solida e difficile da respirare, così tanto che temetti che uno dei due avrebbe provato a picchiare l’altro.

Diedi una botta all’addome di Destan e quello mi guardò come se non fosse colpa sua se l’espressione che aveva appena assunto fosse simile a quella di un soldato sul piede di guerra e pronto a sventolare la propria bandiera sul territorio.

Gli feci un cenno secco con la testa e lui riprese a fissare Cameron, tentando di mantenere una certa compostezza.

«Ehi, che ci fai qui?» chiesi all’ospite inaspettato, sperando avrebbe risposto con qualcosa di innocente e se ne sarebbe tornato con il culo a casa sua.

Il ragazzo, però, non era della mia stessa idea e, probabilmente, non vedeva l’ora di vedere il sangue di uno dei due colare tra le piastrelle del pavimento sul pianerottolo.

«Ti ho mandato due messaggi e ti ho avvertita che sarei venuto a casa tua. Avevo bisogno di parlarti di una cosa.»

Quelle parole mi gettarono in un frigo ghiacciato e lasciarono che il mio sangue si bloccasse del tutto. I suoi occhi erano deserti di alcuna emozione e il suo sguardo non mi aveva toccata neanche per un secondo, troppo impegnato a vincere una battaglia silenziosa contro Destan.

Di cosa doveva parlarmi?

Aveva scoperto di avere qualche malattia?

«Possiamo parlarne domani?» Tentai speranzosa, pregando con tutto il mio cuore e la mia anima che avrebbe almeno tentato di navigare sulla mia stessa onda e salvarci entrambi da quella situazione troppo imbarazzante per essere reale.

Ma, in quel momento, l’unica persona con un pizzico di cervello, ero proprio io e Cameron decise di sorridere leggermente e rispondere.

«Preferirei farlo subito, se non ti dispiace.»

Oh, ma andiamo! Mi stai prendendo per il culo?

Destan sbuffò una risata irritata e il soffio caldo che ne fuoriuscì si gelò sulla pelle delle mie spalle e mi preannunciò la tempesta che stava per incombere sulla mia povera testa.

Provai a sorridere, ma dubitai che la mia smorfia potesse essere effettivamente chiamata tale, sicuramente dovevo sembrare un pomodoro stitico.

Poi, prima che iniziassi a parlare, la mano di Destan, quella che teneva la porta aperta, strisciò via dalla sua posizione e si poggiò sul mio fianco, liberando in me una scarica di fulmini che bruciarono qualsiasi pensiero sano potesse essermi venuto in mente fino a quel momento.

E, mentre il mio corpo cercava di raccogliere le parole che avevo perso in quell’involucro confuso che era il mio corpo, come se fossero state gettate in un pozzo infinito, Cameron si accorse della mossa e strinse la mascella così forte che sperai non si spaccasse i denti.

«Ascolta, in questo momento sono molto stanca e preferirei lasciare le questioni complicate a domani, in più stavo finendo di spiegare una ricetta di cucina a Destan e penso tu stia rompendo la concentrazione che era riuscito a raggiungere in due ore di meditazione intensa.»

Quando dissi quelle parole mi chiesi quale dei miei neuroni avesse deciso di spegnersi proprio in quel momento e poi mi domandai se qualcuno, lì intorno, fosse effettivamente riuscito a bersi quella gran cazzata.

Cameron poteva ben vedere lo stato in cui ero: guance in fiamme, respiro irregolare e capelli impazziti.

Non ci volevano un genio e due lauree per capire che la cucina la stavamo usando per fare altro e non per infornare biscotti al burro.

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