Ti prego non ti sposare

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«Come sarebbe a dire che non puoi? – urlò furioso il ragazzo – Ho aspettato dieci maledettissimi anni che arrivasse questo momento, e ora mi dici che non puoi?»

«Te l'ho spiegato! È impossibile: è passato troppo tempo dall'assunzione della pillola, non farebbe alcun effetto, non quello che ho fatto finora.» rispose la ragazza di fronte a lui con aria dispiaciuta.

«Ma domani Ran si sposa! Non posso lasciarglielo fare!» urlò ancora.

«Shinichi mi dispiace...» cercò di dire, mentre il ragazzo sospirava rumorosamente.

«È inutile che mi chiami Shinichi... Rimarrò Conan a vita, no? Tanto vale che me ne faccia una ragione...» disse, la sua voce all'improvviso era diventata triste.

Senza rivolgere neanche un saluto alla ragazza si voltò e uscì da casa del dottor Agasa, lasciandola da sola. Era inutile sperare che si rassegnasse all'idea di perdere Ran, quella donna dai capelli bruni e gli occhi color del cielo mattutino era ormai nel cuore di quel ragazzo da anni e lei non avrebbe mai potuto sostituirla.

Eppure non poteva vederlo in quel modo: non avrebbe sopportato di vedere il suo Shinichi in quello stato per tutta la vita, nel vedere la donna della sua vita con un altro. Lei avrebbe potuto vivere con quel dolore, l'aveva sempre fatto, ma lui no. Cosa poteva fare per non farlo più soffrire?


Entrò in casa sua, non sapeva perché l'aveva fatto, forse per far finta che quei dieci anni non fossero passati, che lui aveva diciassette anni per la prima volta. Si buttò sul divano e vide la spia rossa della segreteria lampeggiare. Premette il tasto per sentire la registrazione e subito il suo cuore si fermò nel sentire quella voce: singhiozzava, stava singhiozzando mentre diceva quelle parole.

«Shinichi... è la tua ultima occasione... Ti prego maledizione rispondi... Io domani mi sposo... Se quello che mi hai detto a Londra dieci anni fa vale ancora qualcosa allora chiamami...»

Il ragazzo si schiaffò il cuscino sulla faccia infuriato e lanciò un urlo, che risultò ovattato dalla stoffa del cuscino.

Come poteva chiamarla? Era già da qualche anno che non la poteva più chiamare, la voce dello Shinichi adulto doveva essere diversa da quella dello Shinichi diciassettenne e, non sapendo in che modo sarebbe cambiata la voce, non poteva usare il farfallino. Oltretutto il giorno prima aveva fatto l'errore più grande della sua vita, mandandole un messaggio di congratulazioni per il suo matrimonio. Ma cos'altro avrebbe potuto fare? Dirle di non sposarsi? Dirle che per dieci anni le aveva mentito su tutto? Cinque anni prima, quando l'organizzazione fu sconfitta era stato sul punto di dirglielo, ma la paura di perderla per sempre l'aveva bloccato, ma ora la stava perdendo lo stesso. Cosa doveva fare?

Ad un tratto il cellulare nella sua tasca squillò, lesse il nome sul display e di nuovo tornò quella sensazione di disagio. Premette il tasto verde e rispose:
«Ran-neechan hai bisogno di qualcosa?»

«Conan-kun sei in ritardo!» sbraitò invece Sonoko dall'altro capo del telefono.

«Oh cavolo! Arrivo subito!» esclamò, per poi chiudere la chiamata e uscire di corsa da villa Kudo, per poi fiondarsi a casa di Sonoko.

Arrivò lì col fiato corto, suonando il campanello, subito dopo una bella donna con i lunghi capelli biondi che le cadevano sulla spalla gli andò ad aprire. Era assurdo quanto Sonoko fosse diventata davvero bella crescendo, niente però al confronto della sua migliore amica.

Il ragazzo ebbe appena il tempo di entrare all'ingresso di casa che la vide. Era splendida: quel vestito di raso bianco aderente al corpo perfetto che si allargava sui fianchi, le spalline di pizzo stavano in orizzontale coprendole l'avambraccio, le scarpe col tacco la rendevano leggermente più alta. Il viso stupendo e ormai maturo da donna perfettamente truccato era semi nascosto dal velo, retto sulla testa da una coroncina in argento.

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