Little Nekomata

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Nessuno poteva immaginarlo, nemmeno quegli sciocchi dei suoi finti genitori o la ragazza che per molti anni aveva considerato davvero come una sorella avevano mai sospettato nulla.

Era riuscita a vivere la sua vita come una normale ragazza umana, per quanto il ruolo che le era stato assegnato le permetteva; era sicura che nessuna ragazza di sedici o diciassette anni passava le ore in laboratorio a fare stupidi esperimenti per creare e testare veleni, d'altro canto però se c'era una cosa che gli yokai sapevano fare meglio era creare maledizioni e veleni, senza considerare la possibilità di avere una fornitura infinita di topi come cavie che soddisfano il suo istinto felino.

Quella sua vita che ai suoi occhi appariva perfetta, però, fu sconvolta dalla cruda realtà. Aveva vissuto troppo tempo sotto quelle mentite spoglie, quasi umanizzandosi, e quando l'unica persona che la legava alla razza umana le fu strappata, uccisa da quelle stesse persone che l'avevano accolta nei loro ranghi, la sua vena demoniaca tornò a galla.

Nessuno le aveva dato la notizia, fu un caso fortuito scoprirlo; mentre passava per il corridoio principale del covo dell'organizzazione, diretta al suo laboratorio, udì alcuni uomini parlarne, dicendo che visto che non avevano più bisogno di lei, era stata uccisa da uno dei loro uomini migliori. Presa da un moto di rabbia strinse i pungi, percependo subito le sue unghie feline, graffiarle i palmi di quelle deboli mani umani, mentre passava la lingua sulle sue zanne.

Si diresse al laboratorio, come prestabilito, progettando già la sua vendetta. Ognuno di loro l'avrebbe pagata, li avrebbe uccisi uno per uno e dopo di loro si sarebbe accanita su ogni essere umano che avrebbe incontrato. Nessuno di loro meritava di sopravvivere: erano tutti dei vili ratti che pensavano solo a se stessi e ai loro beni.

Il primo uomo lo uccise proprio lì, nel suo laboratorio, non appena mise piede nella stanza, quando però la portarono in una cella dell'edificio, una specie di sgabuzzino puzzolente e vuoto, sentì la sua vena demoniaca riemergere completamente.

Nel buio quasi assoluto di quella stanzetta, il suo aspetto mutò completamente: la folta bicoda spuntò nella parte più bassa della schiena, muovendosi subito frenetica e tra i capelli ramati un paio di orecchie triangolari da gatto fecero capolino. Il suo corpo sinuoso e l'aspetto felino la rendevano quasi attraente, non fosse stato per gli affilati artigli che le erano comparsi al posto delle unghie e le zanne affilate su cui passò la lingua, come se già assaporasse l'idea di affondarle nelle carni di ogni membro di quell'organizzazione. Tutto questo, mentre un solo pensiero inondava la sua testa: vendetta!

Solo dopo parecchie ore, qualcuno venne ad aprirle, forse per portarle qualcosa da mangiare. Cibo da umani, no, lei voleva carne, carne fresca. Attraverso il suo udito sviluppato percepì i passi da parecchio lontano, assieme al tintinnio delle chiavi che sarebbero servite all'uomo per aprire lo sgabuzzino. Poco dopo lo schioccare della serratura che si apriva, la avvisò che stava per entrare e si nascose in un'angolo all'ombra, proprio come quando un predatore si acquatta per sorprendere la preda.

L'ignara vittima, infatti, entrò titubante dentro la stanzetta, cercando con lo sguardo la prigioniera, senza però trovandola. Si inoltrò ancor di più nell'oscurità, in fin dei conti la stanza era alquanto piccola e chiusa a chiave, non poteva certo scappare in alcun modo.

Fu un attimo, non appena fu abbasta vicino, la nekomata si lanciò verso il suo collo azzannandolo. Il vassoio, che l'uomo aveva tra le mani, con sopra il pasto, cadde a terra con un clangore, spargendo quello che sembrava un passato di verdure e un tozzo di pane per terra.

L'uomo cercò di liberarsi, mentre le sue urla strazianti risuonavano in tutto il piano; ma lei con un gesto veloce, mise fine alla sua vita, trapassandolo da parte a parte con gli artigli affilati e la stessa mano, mentre lui spirava in un'ultimo rantolo.

Non passò molto, che qualcun altro, probabilmente attirato dalle urla del collega, raggiunse la stanza. Ebbe appena il tempo di vedere le folte code che si muovevano e il volto della ramata che si alzava dal corpo esanime dell'uomo, la sua bocca coperta di sangue rosso e vivido. Si voltò, tentando di scappare, ma la giovane yasha fu più veloce e dopo essergli saltata letteralmente sulle spalle, lo azzannò sulla spalla: alla luce a neon del corridoio il rosso del sangue sembrava ancora più vivido, risvegliando l'animale che era in lei.

Più ne uccideva, più provava soddisfazione e in poco tempo, decimò i membri di quell'organizzazione che aveva osato intrappolarla con false promesse.

Si lasciò lui per ultimo, voleva assaporare l'idea di ucciderlo dopo tutti gli altri, voleva vedere la paura nei suoi occhi, sapendo che sarebbe toccato a lui. Ma quando aprì la porta del suo ufficio lui era tranquillamente seduto sulla sedia girevole, fumando una sigaretta ed osservandola serio con in suoi occhi di ghiaccio.

Si leccò le zanne, pensando a come non vedeva l'ora di vedere i suoi lunghi capelli argentei tingersi del rosso del suo stesso sangue. Dopodiché avanzò lentamente verso di lui, le code che frustavano l'aria, sinuose e ormai mezze rosse di liquido ematico seccato.

«A quanto pare la micetta si è arrabbiata.» commentò divertito lui, mostrandole un leggero ghigno. Per tutta risposta, dalla sua bocca uscì solamente un verso soffuso, come un gatto che soffia il suo disappunto.

L'uomo spostò la mano libera dalla sigaretta sotto la giacca, pronto ad afferrare la pistola, ma lei fu più veloce e con un perfetto colpo di artigli, che grazie alla sua capacità di mutare si erano allungati per un attimo, gliela taglio di netto.

Emise un gemito, ma si trattenne dall'urlare o dire qualsiasi altra cosa, mentre l'arma cadeva a terra assieme al suo arto. Lasciò la cicca, portandosi l'unica mano sana verso il moncherino sanguinante.

Con un'altro scatto lei lo blocco alla sedia, tenendogli un piede, munito ancora di tacchi, sul petto e ficcandogli le unghie proprio sotto il mento, dove il suo pomo d'adamo sporgeva sulla gola.

«Non credere che ti ucciderò così in fretta. – sibilò carica di rabbia, la voce completamente diversa da quella della ragazza che era stata costretta a impersonare per anni – Patirai le pene dell'inferno.»

Angolo dell'autore:22/10/20

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Angolo dell'autore:
22/10/20

Io ho passato le pene dell'inferno per scrivere questa one-shot, tra una specie di blocco e il fatto che non sapevo come descrivere il massacro (che alla fine ho pure accorciato perché stavo finendo le idee) sono impazzita.
Comunque sia, questa storia partecipa alla #trickortreatchallenge indetta dalla pagina facebook "Detective Conan fanfic (italian fan)" a cui dovreste fare una statua, visto che è grazie a loro se ho ripreso a scrivere su Detective Conan XD
Spero comunque che vi sia piaciuta.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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