III

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Vittorio smette di dormire non a causa della sveglia, quella suonerà tra due ore.

Urla, sono fottutissime urla a ridestarlo dal sonno. Scatta in piedi cercando di individuarne la provenienza, poi spalanca la porta della sua camera ed irrompe in sala da pranzo. Sua madre è appoggiata con le spalle al muro e urla qualcosa contro il marito che, dall'altro capo della stanza, non ha una bella cera. Non ce l'ha mai. Entrambi si voltano a guardarlo, ma non smettono di gridare.

"T'ho detto che non ci hai il diritto", sbotta Silvano muovendo qualche passo in avanti.
"Io non ce la faccio più Silvà", dice Marta.
"Non lo firmo il divorzio".

Vittorio non si muove, aspettando solo il momento per colpire quel mostro che è diventato suo padre.

"Io-io chiamo un avvocato", singhiozza la donna, esausta.
"Non c'hai i soldi", ghigna Silvano. Non sembra molto in sé, forse ha bevuto.

"Chieditelo perché non c'avemo più soldi, chieditelo", s'intromette Vittorio. È più alto di qualche centimetro di suo padre, dunque lo riesce facilmente a sovrastare ponendosi di fronte a lui.

"Levati, tu non ti devi intromettere", tenta di spostarlo Silvano, ma non ci riesce.
"Io c'entro come c'entra mamma e pure Silvia, la devi smettere, basta, se vuoi morì ammazzato dagli strozzini perché non riesci a dargli i soldi che ti sei fatto prestà so' cazzi tua, m'hai stufato", sibila. Serra la mascella e socchiude gli occhi azzurri.

Sua madre urla qualcosa quando il palmo della mano di Silvano va ad infrangersi contro lo zigomo del figlio e Vittorio non ci vede più. Gli dà uno spintone, facendolo sbattere contro la parete. Sua madre lo tira per la maglietta del pigiama, ma lui si dimena dalla presa tornando faccia a faccia con l'uomo che l'ha generato e che da anni non riconosce più.

"Non ce devi provà", dice ad alta voce, "vattene".
Ma Silvano rimane immobile al suo posto, bloccato dal corpo del figlio e dalla testardaggine.
"Vattene!", urla il ragazzo, dando un pugno con forza contro la parete, a pochi centimetri dalla testa del padre. Avrebbe potuto colpirlo, ma non lo fa.

Si sposta per farlo passare, poi torna in camera sua lasciando la porta aperta. Si veste, prende lo zaino di scuola vuoto ed abbandona anche lui quella casa che lo sta soffocando.
Sono le cinque e ventitré quando mette piede fuori dal palazzo in cui abita da diciotto anni. Piazza Vittorio è vuota, fatta eccezione per alcuni senzatetto sparsi nel prato e addormentati sotto quintali di coperte sporche ed umide. Vittorio ci passa in mezzo con indifferenza per dirigersi verso l'entrata della metro. La prima corsa parte alle cinque e mezza, mancano appena cinque minuti e li passa guardando i binari scuri. Gli ha sempre messo ansia pensare di poter cadere lì dentro.

Abbassa lo sguardo sulla sua mano sporca di sangue a causa del pugno dato poco prima contro il muro; si accorge di aver imbrattato anche la maglietta, quindi alza la zip della felpa e il problema si risolve.

Sale come sempre sul penultimo vagone e si accascia su un sedile, tirandosi su il cappuccio della felpa e sfilando il cellulare dalla tasca dei jeans. Fa partire una canzone non curandosi dei pochi passeggeri che lo guardano male, poi chiude gli occhi e si lascia cullare dall'andamento della metro. Anche oggi salterà scuola, non è in grado di sostenere una lezione in quello stato, non gli importa nulla. Non chiama Giorgio, anche se sa che sarebbe corso da lui seduta stante. Ha bisogno di passare un po' di tempo in solitudine.

Le sue gambe lo portano di loro spontanea volontà al Parco degli Aranci, dov'era stato appena tre giorni fa con Marco. Butta lo zaino sulla prima panchina che trova e ci appoggia la testa sopra, sdraiandosi sul legno duro . Non ne può più, è esausto della sua vita. Non ha neanche avuto il coraggio di alzare le mani contro suo padre, quando questo lo ha fatto con lui per anni, ripetutamente. Sfila una sigaretta dal pacchetto e se la avvicina alle labbra, poi fruga nelle tasche dei jeans per trovare l'accendino. Dove l'ha messo?

Sotto il cielo di RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora