XIII

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Passano la mattinata in una bolla di incredulità e timore

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Passano la mattinata in una bolla di incredulità e timore. Marco trascina Vittorio per le vie caotiche di Roma. Sa benissimo che sia ancora un po' scosso dall'incontro, ma cerca di nasconderlo come meglio può.

Tuttavia, Marco riesce a definire il suo sguardo sfuggente, le risposte spezzate ed i modi bruschi, per questo decide di portarlo nella cantina in cui sono stati appena poche ore prima. In quel momento stare in mezzo ai turisti e sedersi su una panchina circondati da persone non sembra essere di suo gradimento, lancia occhiate infastidite a chiunque osi sfiorarlo anche solo per sbaglio.

Prendono l'autobus per comodità, perché ha iniziato a piovere in modo fitto e sottile e ciò non farebbe che peggiorare il pessimo umore di Vittorio.

In cantina, ovviamente, non c'è nessuno; Marco ha pensato anche a quello, ed è sicuro che né Antonio, Dario o Gabriele vi si recheranno prima di quella sera: hanno tutti e tre delle faccende da svolgere, Antonio è occupato con il nuovo lavoretto che si è trovato, lo pagano una schifezza ma è sempre meglio di nulla.

Chiude a chiave la porta solo per premura, poi abbandona lo zaino sul tavolo e si spaparanza sul divano, seguito a ruota da Vittorio. Quest'ultimo abbassa le palpebre e le massaggia col pollice e l'indice.

"Che giornata demmerda", commenta a mezza voce. Appoggia la nuca contro lo schienale del divano, poi apre gli occhi azzurri. "Non vedo l'ora de finì 'sta storia, ci ho un'ansia".
"È 'na cosa seria, Vittò", afferma Marco. Si alza per recuperare qualcosa dallo zaino, delle cartine lunghe, una bustina di tabacco e filtri.

"Nun se scherza col Messicano", decreta lapidariamente, ripetendo inconsciamente le stesse parole pronunciate da Giorgio.

Vittorio annuisce, chiude di nuovo gli occhi, è esausto.

"Tuo fratello...", dice solo. Non gli è sfuggita l'affermazione fatta poche ore prima.
Marco rimane un po' in silenzio, si prende del tempo per rispondere, apre la bustina dei filtri e ne estrae uno, sistemandoselo tra le labbra.

"Ha fatto una finaccia, cinque anni fa. È morto all'età nostra...certe volte quando si è così disperati, si fanno cose fuori dall'immaginabile. Alessandro ha iniziato a spaccià come quasi tutti i pischelli, ma ha scelto la persona sbagliata, tutto qui".

Apre anche la bustina del tabacco, rivelando però qualche grammo di marijuana già tagliata. Ne sistema un po' nella cartina, assieme al tabacco. Vittorio può solo immaginare il suo dolore, ma la morte è all'ordine del giorno, nei bassifondi romani come in ogni città del mondo.

Si nascondono così tante insidie, così tanti segreti, è una strada senza via d'uscita, dalla quale spesso non riesci ad uscirne vivo. Vittorio lo sa bene, ci vive per strada assieme ai suoi amici, al suo gruppo di ragazzi senza speranza, schiavi alcuni del fumo, molti delle droghe, tutti del destino malvagio.

"Un giorno è partito per Budapest, doveva concludere un lavoro per il Messicano. Me lo ricordo, era un po' preoccupato, m'ha salutato con un mezzo sorriso e m'ha detto regazzì, fai il bravo, poi non l'ho più visto vivo. Aveva un po' allentato i rapporti con mamma e papà, avevano scoperto che lavorava in quel modo e non gli andava bene, ovviamente. Ci ha chiamato il Messicano du' giorni dopo: è morto, ha detto, gli sono esplosi du' ovuli de' coca nello stomaco, overdose. Ale era un bravo pischello, dopotutto, non era peggio di nessuno dei miei e dei tuoi amici, aveva solo pensato de potesse riscattà", dice amaramente, lecca il bordo della cartina e chiude la canna che ha appena finito di rollare.

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