XXIII

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"Okay vado a vedé", decreta Vittorio, infilandosi il cellulare in tasca

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"Okay vado a vedé", decreta Vittorio, infilandosi il cellulare in tasca. Sta per entrare nell'androne, ma la mano di Giorgio lo afferra saldamente per la spalla e lo tira verso di sé, facendo collidere la sua schiena con il suo petto.

"So' passati a malapena dieci minuti, smettila de' fa la mammina apprensiva ciclata perché ce metto poco a datte un calcio nei cojoni che poi puoi andà ar coro delle voci bianche", gli sussurra nell'orecchio. Vittorio oppone debolmente resistenza, poi si lascia strattonare lontano dal portone, in mezzo al marciapiede.

"Eccolo, sta a scende", prosegue er Duca. Vittorio rimane in silenzio ed aguzza l'udito. In effetti, qualcuno sta scendendo velocemente i gradini.
Pochi istanti dopo, Marco è uscito dal palazzo e si è avviato a passo veloce lungo il marciapiede.

Vittorio è sollevato nel vederlo sano e salvo.
"Andiamo a casa mia", decreta. Giorgio riesce a stento a stargli dietro, si blocca in mezzo alla strada e si tira su i pantaloni calati.

"Regà, tanto vale che torno indietro, tra quaranta minuti devo stare da zio", dice. Marco e Vittorio si voltano a guardarlo ed annuiscono.

"Vai, vai, poi ti spieghiamo". Marco gli fa cenno di andare, poi gli si avvicina e lo saluta battendogli il cinque. Vittorio fa lo stesso, in seguito tornano a camminare con passo veloce verso la fermata dell'autobus.

"Ci stava mio padre?", gli chiede Vittorio, dal momento che Marco non accenna a parlare. Vuole raccontargli tutto nella tranquillità di casa sua, ma il ragazzo dagli occhi azzurri non ce la fa proprio a resistere.

"L'altra sera non l'ho visto bene, ma non me pare...ci stavano cinque uomini, un bordello assurdo, Vittò".
Vittorio lo incoraggia a proseguire con un cenno. Marco esita per un momento e guarda altrove, sull'asfalto crepato.

"Sì, okay...", riflette ad alta voce, come per convincersi a parlare. "Ho fatto finta di essere il tecnico della caldaia venuto per un sopralluogo e gli ho dato appuntamento a dopodomani, sempre che si ricordino di me, erano uno più fatto ed ubriaco dell'altro. Nella casa c'è un casino, è pieno di schedine, di bottiglie di vetro e di materassi. Appena so' arrivato pensavano fossi un carabiniere in borghese, poi sono tornati a parlare di un tipo che cerca uno di loro per soldi. No, non era tuo padre, aveva un nome romeno", si ferma un istante per organizzare i pensieri.

"Nell'appartamento ci sono solo due camere da letto, un bagno e una sala con angolo cottura, ma non ho avuto tempo di controllare meglio. Quando ci andiamo tutti e tre assieme troveremo il modo di distrarli".

Vittorio s'incupisce. "Come facciamo ad essere sicuri di non beccare mio padre?", chiede.
Marco sembra essersi aspettato questa domanda, perché ha già la risposta pronta. "Semplice: veniamo la mattina presto, aspettiamo che se ne vada, poi entriamo".

"Se hai detto che so' più de cinque a vivere lì dentro, forse ci conviene che esca pure qualcun altro, così poi sarà più facile cercare quello che devo trovà", constata Vittorio. Si bloccano sotto il cartello che segnala la fermata dell'autobus, già consapevoli che sarà una lunga attesa.

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