IX

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Il primo posto in cui vanno a cercare è nel bar di Armando, un locale piccolo dotato di due stanze: la prima con dei normali tavolini su cui bere un caffè o mangiare quei cornetti secchi ed insipidi, l'altra adibita alle slot machines

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Il primo posto in cui vanno a cercare è nel bar di Armando, un locale piccolo dotato di due stanze: la prima con dei normali tavolini su cui bere un caffè o mangiare quei cornetti secchi ed insipidi, l'altra adibita alle slot machines. Armando è un uomo sulla sessantina con due grandi occhiali da vista ed una pancia voluminosa. Ha aperto il suo bar vicino a Villa Wolkonsky, la residenza dell'ambascistore britannico, da almeno trent'anni. Vittorio si ricorda che prima ci andava ogni tanto con suo padre, comprava un bel po' di goleador mentre Silvano giocava la schedina.

Entrano nel bar facendo tintinnare la porta a vetri. Qualcuno è seduto ai tavolini, altri stanno in piedi vicino al bancone e discorrono riguardo a vari argomenti.
Armando è dietro la cassa e vede i due ragazzi entrare spediti nel bar.
"C'avete diciotto anni, sì?", chiede quando li vede aprire la porta che conduce alla seconda area del bar, quella scarsamente illuminata e piena di slot machines.
"Si, tanto non dobbiamo giocà", lo informa Giorgio. Armando gli fa cenno di avvicinarsi. Si sporge oltre il bancone che li divide.

"Chi state a cercà, regazzì?", dice quasi in un sussurro e senza troppi giri di parole. Vittorio e Giorgio si guardano brevemente, poi a parlare è il primo.
"Silvano Fanti", rivela. Armando solleva le sopracciglia incolte e scuote la testa.
"Non ce viene più qua da quando abbiamo discusso.'Na cazzata, ha iniziato a dà botte alle macchinette, ha proprio sbroccato". Lo guarda sottecchi. "Mica sei il figlio, mh?! V'assomigliate".

Vittorio è costretto ad annuire. "Sai dove lo possiamo trovare?".
L'uomo alza i palmi delle mani e scuote la testa per diversi istanti.
"Sinceramente parlando, regazzí", dice facendosi nuovamente più vicino "quelli come tu' padre è meglio perderli che trovarli, senza offesa".
Il diciottenne incassa il colpo ed annuisce. Armando viene distratto da un cliente che ha bisogno di ordinare un caffé, quindi lui e Giorgio si avviano verso l'uscita.

"Regazzí, aspetta", lo richiama a gran voce l'uomo "prova da Molinari, quello a Pigneto", dice. Vittorio esita un momento, vorrebbe chiedergli se ne sia sicuro, poi ci ripensa e gli fa un cenno col pollice.
"Lo conosci?", chiede Vittorio. L'altro ragazzo annuisce.
"Sta vicino alla ferrovia, prendiamo l'autobus così ci mettiamo di meno".
L'autobus traballa in mezzo alle buche che costellano l'asfalto. L'autista si lamenta della scarsa manutenzione delle strade da parte del sindaco e qualche anziano signore concorda con lui.

Vittorio e Giorgio se ne stanno seduti in silenzio nei posti in fondo al veicolo e osservano i palazzi sfilare lentamente ai loro lati: quella mattina c'è traffico. I muri sono pieni di scritte confuse, forse insulti, bestemmie o dichiarazioni d'amore.
"Se non sta nemmeno qui?", domanda Giorgio quando si trovano finalmente davanti al bar. L'insegna è scolorita ed i vetri della porta sono oscurati.
"Sta qua, me lo sento", ribatte Vittorio, poi tira verso di sé la maniglia ed entra.
Se aveva considerato il bar di Armando squallido, è costretto a ricredersi quando entra lì dentro: disordine, puzza di candeggina e ragnatele agli angoli dei soffitti incorniciano un locale mezzo vuoto, con panini secchi ed all'apparenza insipidi in bella mostra sul bancone.
Alla cassa c'è una donna sulla quarantina, porta i capelli raccolti con un mollettone ed ha una spessa linea scura di matita che le contorna gli occhi. Nemmeno li saluta quando li vede entrare, troppo impegnata a seguire una telenovela trasmessa sul televisore piccolo e datato appeso alla parete opposta.
Vittorio si guarda un po' intorno, alla ricerca di una porta che conduca all'area gioco del bar, poi scorge una scala stretta che scende, proprio a destra del bancone, e fa un cenno a Giorgio di seguirlo. Passano indisturbati davanti alla donna e scendono senza fare rumore i gradini che li portano in una stanza scarsamente illuminata. Non c'è neanche una finestra che fa defluire il fumo concentrato lì dentro, frutto di una decina di uomini silenziosi e seduti ognuno davanti ad una macchina mangiasoldi. Vittorio vede suo padre seduto in fondo alla stanza ed esita un momento. Giorgio gli mette una mano sulla spalla e stringe appena la presa, come per incoraggiarlo a muoversi.

Sotto il cielo di RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora