Capitolo 1

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La foresta era tinta di bianco e di nero. Il pungente odore di bruciato aveva ormai quasi del tutto coperto quello freddo delle conifere, sferzate dalla neve e dal vento. Il fuoco divampava tra i fusti mentre in lontananza si levavano occasionali urla di panico e disperazione. Era uno spettacolo insolito per un luogo tanto a nord, uno di quelli che per ripetersi attendono lo scorrere di molte generazioni. Colonne di un fumo grigio e scuro si alzavano dagli incendi più vigorosi, minacciando i dintorni con una malsana coltre di cenere.

Il principe Sveigdir osservava soddisfatto la sua opera, mostrando i denti giallastri nel suo abituale e inquietante ghigno. In sella al suo giovane cavallo dal manto più candido della neve, stava guidando i suoi uomini lungo la strada nel bosco e avanzava lentamente in testa alla colonna. Cento guerrieri lo seguivano, dai cuori resi di pietra dalle imboscate sofferte nei giorni addietro, per colpa delle quali numerose vite erano state strappate dal mondo terreno. Avevano causato più perdite di quelle che avevano subito, ma stavano perdendo la guerra.

Almeno fino a quella mattina.

Nella sua tenda il principe Sveigdir si era infatti alzato di soprassalto, avvolto nella pelliccia del grande orso. Aveva ricevuto una visione. Odino, diceva, gli aveva parlato nel sonno portando consiglio, indicandogli lo strumento della vittoria. Così i suoi sogni si erano dipinti di un rosso acceso, vivo, vorticoso. Odino gli aveva suggerito il fuoco. Quei selvaggi dalle armi rudimentali, di pietra, di legno o, se andava loro bene, di metallo arrugginito e scadente, non avrebbero più potuto usare la loro tattica codarda, apparendo e attaccando dalla foresta all'improvviso. Il principe dai lunghi capelli biondi che sfumavano nell'argento, appena ventenne, avrebbe ottenuto il suo trionfo. Quella mattina aveva mosso l'esercito, assicurandosi che ogni uomo portasse una torcia, e si era addentrato nella selva percorrendone la vecchia via che l'attraversava. Giunto nei pressi del Monte degli Antichi, all'ombra del quale ora stavano marciando, aveva ordinato di accendere i tizzoni. Si diceva che i selvaggi dimorassero al riparo dell'innevato rilievo e Sveigdir non desiderava subire l'ennesima imboscata prima della battaglia finale. Voleva affrontarli faccia a faccia, dove la superiorità di armi e addestramento dei suoi guerrieri avrebbe facilmente avuto la meglio. Quel tratto di foresta era stato dato alle fiamme, non senza fatica, poiché il freddo e la neve sembravano combattergli contro. La loro ostinazione, però, era stata premiata e il fuoco aveva iniziato a propagarsi. Non ci volle molto per udire le urla di paura dei nemici nascosti tra gli alberi.

Il cavallo nitrì e Sveigdir guardò avanti lungo la strada. Presto sarebbero arrivati all'insediamento nemico. Gli Urlatori, così venivano chiamati, o, con disprezzo, Bastardi della neve, avrebbero pagato con la vita il loro affronto a Stursholt. Avrebbero pagato per ogni colono, ogni agricoltore e ogni cacciatore di pellicce brutalmente scannato dalla loro malvagità. Da qualche mese i ritrovamenti di cadaveri straziati avevano cominciato a preoccupare re Brogest, il padre di Sveigdir, che vedeva l'espansione del suo regno verso settentrione minacciata da popolazioni crudeli che si erano dimostrate indegne di vivere. Le genti al di là del mare meridionale erano ingorde di pelli e il canuto re Brogest aveva deciso di saziare la loro fame. A nord quelle risorse sembravano essere illimitate, così ne aveva promosso l'espansione, scontrandosi con genti dimenticate. Con tutta la sicurezza e la boria di cui quella folta schiera di guerrieri poteva dotarlo, il principe Sveigdir aveva lasciato la reggia del padre per risolvere la situazione in modo definitivo. Gli Urlatori sarebbero morti e la sua gloria accresciuta grazie al loro sangue, mentre le casse del padre si sarebbero riempite dell'oro delle popolazioni del sud, quegli stolti che adoravano uno strano dio cadavere.

Il principe si voltò verso i suoi compagni e ordinò loro di cantare. -La morte! La morte! Stursholt porta la furia!- intonò con vigore un guerriero. In un attimo un coro bellicoso risuonò nella foresta, accompagnato dal violento scoppiettare del fuoco e dallo scricchiolio della legna che cedeva. In alto, sul fianco della montagna, la vecchia torre si rivelò tra le nubi di fumo, scomparendo dietro ad esse un attimo dopo. Sveigdir trasalì al grido lontano di un uomo. "Presto." pensò "Stiamo arrivando." Con una mano toccò nervosamente l'elsa della spada. Era eccitato al pensiero di bagnarla col sangue dei barbari.

Bog, un uomo dal sorriso tagliente e dal pizzetto folto e incolto, gli si accostò guardandolo dal basso -Questa mattina i presagi erano buoni; gli dei ci arridono.- indicò avanti, lungo la strada -Tra poco dovremmo esserci. Il loro accampamento è poco distante.-

-Lo senti questo odore?- gli domandò Sveigdir.

-Il fumo?-

-Sì, ti ricorda qualcosa?-

Bog piegò la bocca, riflettendo. Erano amici di infanzia e avevano combattuto le stesse battaglie, e crescendo insieme avevano imparato a conoscere i rispettivi pensieri. -Il villaggio... due estati passate?-

-Sì. Ti ricordi come bruciava? L'odore è diverso...-

Bog percepì l'agitazione del principe e prese ad accarezzare il cavallo come per cercare di quietare il suo padrone. -Questo sa di resina e, è strano, sa di freddo.-

Sveigdir annuì. Era nervoso. Sebbene non fosse il suo primo combattimento, era il suo primo comando. Suo padre si era fidato, contro il parere di molti consiglieri, a dargli un gran numero di guerrieri per intraprendere una campagna che forse avrebbe richiesto un condottiero più consumato. All'inizio si era sentito onorato ma per nulla fuori luogo, nutrendo per la propria persona la massima stima; tuttavia, all'avvicinarsi del momento fatidico, il timore di non essere all'altezza si era fatto sentire.

-Urlatori, li chiamano.- continuò Bog -Spero che ci siano delle donne. Mi piacerebbe avere qualche selvaggia come schiava; allora sì che urlerebbero.-

I due uomini scoppiarono a ridere come facevano da bambini e Sveigdir fu grato di avere quell'amico al suo fianco. Bog riusciva spesso a metterlo di buon umore. Tra voci di canti e colpi di tosse causati dal fumo, la colonna avanzava nel mezzo della foresta infuocata.

Crogiolandosi in quel baccano di distruzione imminente, Sveigdir attese di vedere le misere capanne apparire da un momento all'altro. Fortunatamente quel giorno la neve non era così alta da bloccare la loro avanzata, anche se aveva avuto la sua parte nel rallentarli. Diede un colpo di redini per aumentare l'andatura ma l'animale non ne volle sapere. L'attesa lo stava spazientendo.

Il vento si fece per un istante più forte e gli sembrò che l'ombra della montagna si fosse fatta per un momento più scura. Si unì al macabro canto dei suoi uomini, prima sottovoce, poi sempre più forte fino ad urlarlo. Erano ad un passo dalla battaglia. Uno strano rumore si mescolò al fracasso per poi scomparire subito dopo. Sveigdir si guardò attorno e sorrise; un albero doveva essere caduto da qualche parte. Riprese a cantare. Inspirò a fondo, gustandosi l'aria fredda che si faceva improvvisamente calda quando il vento trasportava l'odore delle vampate. Di nuovo quel rumore, questa volta più forte. Si voltò verso i suoi uomini, - ... i corni di sangue riempirò!- nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Abbassò istintivamente la testa quando nell'aria eruppe un forte rombo. Alcuni guerrieri allora si zittirono scrutando in ogni direzione. Bog si assicurò lo scudo al braccio.

-Cosa succede?- domandò una voce. Il principe osservò attentamente ai due lati della strada. Quei bastardi stavano preparando qualche altra diavoleria? Avrebbe dovuto schierare i suoi uomini in direzione della foresta? Aguzzò la vista ma non distinse altro che alberi e fiamme. Una figura si mosse d'un tratto tra i tronchi e svanì un attimo dopo. Sveigdir sguainò la spada e fermò la colonna. I guerrieri si acquietarono poco a poco cercando di capire il motivo di quella sosta. Sveigdir rifletté tra sé e sé. Aveva davvero visto qualcosa o la sua immaginazione gli aveva giocato un brutto scherzo? Il rombo tuonò più forte ed echeggiò sopra le loro teste. La schiera venne scossa da esclamazioni di stupore e paura e le mani scattarono verso le armi. Il principe alzò lo sguardo e incontrò la montagna che si ergeva immacolata davanti a loro. Un'ombra li ricoprì in un poderoso frastuono e i guerrieri urlarono di terrore. Sveigdir si voltò e strabuzzò gli occhi, cadendo rovinosamente a terra nell'istante in cui il cavallo si imbizzarrì emettendo un acuto nitrito. Colpendo il suolo con la schiena, buttò fuori l'aria dai polmoni e perse la presa sulla spada. Si girò su un fianco e nascose la faccia nella neve, alzando le braccia per proteggersi. Un grido mostruoso proruppe in cielo e lungo tutta la foresta, e il fuoco piovve dall'alto, bruciando uomini e animali senza pietà. Con le orecchie che gli dolevano, Sveigdir chiuse gli occhi e gridò per l'orrore quando percepì il calore infernale avvicinarsi. Poi il fuoco lo investì e il corpo si contorse nell'urlo finale della morte.

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