Capitolo 3

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All'ora di pranzo lo jarl Treyr non si era ancora deciso ad uscire dalla camera da letto. I suoi quattro figli lo stavano attendendo da quella mattina nella grande sala, sopportando pazientemente che l'ira paterna si placasse. Dovevano parlargli, ma la sola idea di affrontarlo li scoraggiava e li spingeva a temporeggiare. Proprio per questo avevano mandato un ragazzo a chiamare loro zio Kongyr, ma il vecchio stava probabilmente smaltendo la sbornia perduto da qualche parte, assopito con la sfortunata schiava di turno. Egli non era fratello di sangue dello jarl, essendo nato da una donna diversa, ma la sua fedeltà non poteva essere messa in discussione. Privo di alte o quantomeno solide ambizioni, aveva giurato di servire il suo signore e fratellastro con devozione, e sempre più spesso la sua posizione lo portava a fungere da mediatore tra lui e la sua ruggente progenie.

Alemund stava gironzolando tra i tavoli con una ciotola tra le mani, raccogliendo i pezzi di carne che erano avanzati dalla sera prima e gettando quelli più ossuti ai cani che lo seguivano festosi. Seduto al desco del signore, Rögnvald trangugiava una zuppa dall'aspetto e dall'odore cattivi, e scambiava sguardi affettuosi con la moglie che, all'ombra di una trave, cullava loro figlio. Quando Alemund gli si avvicinò e gli offrì una coscia di pollo mezza rosicchiata, declinò con un gesto del capo.

-Dov'è nostro zio?- chiese Eirik sbuffando, mostrandosi partecipe della loro attesa. Voleva che i fratelli lo includessero nei loro piani e nelle loro avventure, e cercò quindi di far riconoscere la sua presenza in quel momento tra loro come una cosa perfettamente naturale. I suoi fratelli però lo ignorarono e attesero il loro parente in silenzio.

Gudfred non aveva dormito molto quella notte. L'arrivo del cantastorie con quella proposta era stata una completa sorpresa che aveva acceso in lui nuovi sogni e inquietudini. L'idea di poter sposare la principessa e un giorno divenire il re gli assillava la mente, come la possibilità di perdere tale occasione se non fosse stato il primo a sconfiggere il nemico. Agli Urlatori non ci pensava, ma la figura di Guttorm di Feugland gli si stagliava nella testa come una montagna, ben conoscendo la sua fama di guerriero. Sapeva di rimuginarci troppo e decise quindi di distrarsi. Cercò del cibo e tagliò una grossa fetta di formaggio di capra, gustandola con del pane. Rögnvald ruttò e scansò la ciotola –Sapeva di piscio.- disse.

-Perché l'hai mangiata?- gli chiese Eirik.

-Perché era qua davanti.-

Alemund gli si sedette accanto e constatò che non c'era quasi più birra. Si guardò attorno e fece una smorfia di stizza –Dove sono gli schiavi...-

In quell'istante un uomo tagliò i raggi del sole che entravano dalla porta principale. –Zio!- chiamò Eirik.

Il vecchio li raggiunse e guardò uno ad uno i suoi nipoti, tranne il più piccolo –Eccomi. Siete pronti?-

Gudfred annuì e i tre giovani si alzarono. Come Rögnvald passò accanto ad Eirik, sollevò la mano e lo fermò –Tu no.- gli disse, e il ragazzino si rimise a sedere, arrabbiato e triste. Si era aspettato che alla fine non sarebbe stato dei loro.


Gudfred, Rögnvald, Alemund e Kongyr entrarono nella camera in silenzio, insieme, sotto lo sguardo rabbioso che minacciava fulmini del loro signore. Egli era seduto sulle calde pellicce che coprivano il letto, vestito a festa, per così dire, dalla sera prima, con il suo brutto mantello segnato dalle pieghe. Alemund, il terzogenito, finì di scolarsi il bicchiere che si era portato dalla grande sala, mentre Rögnvald prese posto ad un piccolo tavolo in un angolo della stanza e si mise a giocherellare con un anello. Treyr li osservò attentamente, poi si volse verso il fratellastro che si fingeva occupato a sistemarsi la camicia, e infine verso Gudfred, il primogenito, che per un istante sfidò il suo sguardo per poi fissare la pesante spada appesa al muro sopra il grande letto.

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