Capitolo 4

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Un vento leggero soffiava dalle montagne e dolcemente scendeva nella baia disperdendosi nel mare. Le cime dei monti erano coronate da grosse nuvole bianche che, lentamente, si stavano avvicinando sotto il lieve tepore del sole di metà primavera. Era un buon momento per salpare. Con il vento a favore a gonfiare le vele ci sarebbero voluti solo due giorni per raggiungere il porto di Stursholt, la sede del re. Il viaggio non era però certo privo di insidie in quanto la navigazione, nel suo ultimo tratto, poteva rivelarsi alquanto perigliosa. La fitta nebbia che sovente copriva quelle rive nascondeva scogli colpevoli di tanti tragici naufragi.

Urgil, appoggiato al parapetto di una delle due navi che a momenti avrebbero preso il largo, si stava augurando che Odino preferisse prendere la sua vita e quella dei suoi quarantatré compagni in battaglia, piuttosto che gettarli ai mostri del mare.

Il molo cigolava per i numerosi passi che battevano indaffarati le assi di legno, sotto un'aria che risuonava di grida e puzzava di sudore. Qualche donna stava salutando con i figli i propri mariti, mentre gli uomini più duri o quelli privi di persone care caricavano sulle barche gli ultimi bagagli. Al centro del pontile sostavano Rögnvald e Alemund con le rispettive mogli, a poca distanza da Gudfred e Haraldr. Urgil li stava osservando da un po' di tempo e si chiedeva se quegli uomini sarebbero stati capaci di affrontare e sconfiggere gli Urlatori. Si erano già creati una certa fama di prodi guerrieri, ma con quaranta uomini difficilmente la vittoria si stagliava all'orizzonte dei loro destini. Per quanto lo skald tentasse di convincersi e di restare ottimista, il suo istinto pragmatico dissentiva tristemente. Neanche gli auspici erano loro favorevoli: lo jarl Treyr aveva vietato qualsiasi sacrificio agli dei utile alla promozione della buona riuscita dell'impresa. Urgil conosceva gli dei; era convinto che quest'atto li avesse offesi e che ben presto gli uomini ne avrebbero pagata l'insoddisfazione. Pregando fra sé la sua guida e ispirazione, non poté reprimere il gusto acre del disprezzo suscitatogli dalla vista dello jarl, apparso tra la folla coperto da cupe pelli di lupo e seguito dal suo altrettanto ripugnante fratellastro.

Gudfred, Rögnvald e Alemund si appartarono su un piccolo attracco laterale, pronti ad accogliere loro padre. Restarono un po' a guardarsi, finché Kongyr si avvicinò e abbracciò uno ad uno i suoi nipoti, augurandogli buon viaggio. Lo jarl restò fermo dov'era a fissarli, impassibile. Alla fine, Alemund annuì e disse: -Salute, padre.-

-I miei tre figli maggiori- mormorò Treyr -pronti a combattere e morire per un re che non lo merita.-

Rögnvald guardò i suoi fratelli torreggiando sul gruppo -Abbiamo l'età già da un pezzo, padre. È tempo della nostra gloria.-

-Gloria?- lo schernì il vecchio con voce rauca -Volete che il vostro nome risuoni nella storia e nella ballate? Saranno scolpiti solo sulle vostre pietre tombali...-

-Può essere, padre,- ribatté solennemente Gudfred -ma questa eventualità non farà vacillare la nostra fermezza. Il nostro destino è già segnato.-

Lo jarl distolse lo sguardo da quelli che considerava solo tre ragazzi stolti e avventati, e lo posò sul giovane Eirik che, poco lontano nei pressi delle due navi, si stava gustando lo spettacolo dei guerrieri che si imbarcavano, immaginando chissà quale avventura. -Lo vedete? Sogna già di venire con voi. Aspetta con impazienza il suo momento.- I tre guerrieri sorrisero alla vista del loro amato fratellino. -Non fallirò con lui. Andate, uccidete, morite... la mia stirpe non finirà con voi.-

Stanchi di tanta durezza, i tre giovani raggiunsero i loro uomini con l'animo pieno di amarezza. Erano davvero quelle le parole con cui loro padre voleva lasciarli? Abbracciarono il piccolo Eirik e salirono sulle navi. Il dodicenne li guardò con un'espressione carica di tristezza. Avrebbe dovuto seguire il suo primo istinto e nascondersi nella barca, si disse, e rivelare la sua presenza solo quando si fossero trovati in alto mare. Non lo avrebbero rispedito a casa, allora, e i quattro fratelli avrebbero vissuto quell'avventura assieme, come nei miti che i vegliardi raccontavano ai banchetti. Il mal di stomaco che provava non era dovuto alla paura di non rivederli, ma solo alla perdita di un'opportunità che reputava unica e irripetibile. "Dei," implorò "un giorno vorrò combattere al loro fianco. Vi chiedo questo. Fate in modo che accada."

La Montagna AnticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora