Cap 12

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Riza si sentì improvvisamente fragile. Quegli occhi, prima così tristi, stavano facendo uno sforzo immane per trattenersi dal piangere alle parole di Elycia.
D'altra parte, non poteva sapere che Roy si stava sentendo ancora più fragile in quel momento.
La situazione era quasi surreale: Roy che guardava Elycia e cercava di non spostate troppo lo sguardo su Riza. Riza che guardava a terra, non osando guardare negli occhi Roy. Si sentiva come un'adolescente alla sua prima cotta.
Fu Glicer a spezzare il silenzio.
-Elycia,tesoro, lo zio è solo un po' triste perché anche a lui manca papà. Non voleva insinuare che fosse morto.- Lo sguardo e il sorriso della donna, fecero trasalire Roy, che rispose prontamente
- Ma certo! Perdonami Elycia, non avevo affatto intenzione di farti arrabbiare. - Roy si sforzò di sorridere... la forza di Glicer doveva essere soprannaturale, perché gli risultò davvero difficile quel semplice gesto da fare.
-Ora è meglio che vada. A presto Glicer, Elycia...- Si girò finalmente a guardarla - Capitano.- Riza ci mise un po' per rispondere.- Generale- Quei saluti freddi non erano nuovi ma sta volta mancavano quella complicità che li contraddistingueva. Un semplice "a rivederci" poteva dire: "Ci vediamo sta sera" o "sta sera a casa mia", ma di certo non voleva dire:"a rivederci".
Roy si allontanò a passò un po' irregolare, ma sempre con il suo portamento fiero. Riza avrebbe tanto desiderato ritornare a camminare al suo fianco...la distanza si faceva sentire. Ora che il nemico era stato sconfitto e tutto era tornato tranquillo, pensava che anche tra di loro sarebbe rimasto lo stesso sentimento che li aveva ( o almeno l'aveva) accompagnati in tutti questi anni. Evidentemente la mente e il cuore le avevano giocato un brutto scherzo.
Sospirò, per poi girarsi.
Elycia stava accarezzando la tomba di suo padre.
Quella scena l'aveva vissuta anche lei, a cinque anni. La perdita di sua madre aveva segnato inevitabilmente la sua vita. Ma lo aveva fatto anche la comparsa di Roy in essa.
Sospirò ancora, e si sedette anche lei davanti alla tomba di uno dei suoi migliori amici, un uomo che aveva tutto, ma che aveva preferito sacrificarsi per il suo paese.
Anche a lei parve una brutta giornata per piovere.

Roy si era fermato e si era appoggiato a un albero. Vederla lì, in quel momento, era stato come dare un antidoto a un uomo che stava per morire avvelenato. C'era un detto: Ogni uomo ha il proprio veleno... e il proprio antidoto. E per un gioco della vita, Riza era diventata entrambi. Grazie a lei era diventato un uomo potente, il Flame Alchemist. Grazie a lei aveva avuto il potere di distruggere e sterminare un popolo, facendolo sentire infetto, velenoso.
Ma era stata sempre lei a salvarlo da quel calvario.
Era lei che lo aveva incoraggiato a resistere, lo aveva in qualche modo protetto dalla realtà.
Poi era arrivata la morte del suo miglior amico e ancora una volta, lei lo aveva fatto risalire da quell'abisso di disperazione e desiderio di vendetta. Altro che guardia del corpo. Riza era il suo angelo custode.
Ma non lo sarebbe più stata d'ora in avanti.
Sta volta era lui che doveva proteggerla.
Proteggere la sua carriera dalla possibilità di essere congedati con disonore per aver "fraternizzato" con lui.
Proteggerla da una relazione clandestina, sempre nascosta nel buio.
Proteggerla dalla possibilità che lui la ferisse ancora.
Si, sarebbe diventato lui il suo angelo custode.
Quella era una delle poche decisioni giuste che aveva preso fino ad allora.

Il mio punto deboleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora