4. Tie break

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«È la seconda volta che ti straccio in due settimane. Dove diavolo è finito il Roger Federer del Country Club?»

Andrew smise di tamponarsi il viso con l'asciugamano per guardare negli occhi, con aria seccata, colui che aveva appena parlato e che adesso gli sorrideva sghembo. Non sapeva dire se a dargli più fastidio fosse quell'immancabile atteggiarsi da primo della classe o piuttosto il fatto che avesse ragione. Lo aveva battuto anche quella volta, ma non perché fosse migliore di lui. Di solito, quando era al massimo della forma - ovvero tutte le volte che metteva piede sul campo da tennis - non c'erano speranze per il suo avversario, di chiunque si trattasse, vinceva sempre lui e ne andava fiero come, d'altra parte, di qualunque cosa in cui eccelleva. Da quando Marlene lo aveva lasciato, però, niente era stato più lo stesso, lui non era più lo stesso e, di certo, non era cambiato in meglio.

«La tua è fortuna, Valentine, solo fortuna» tagliò corto prima di allontanarsi dal suo interlocutore con la borsa in spalla e l'asciugamano appeso al collo. Il suo passo era lento e cadenzato ma, in realtà, si sentiva un coniglio. Sapeva bene quale piega avrebbe preso quella conversazione, non era dell'umore adatto per stare al gioco, per incassare senza ribattere o per giustificare la sua débâcle, e l'ultima cosa che desiderava fare era sfogare la rabbia e la frustrazione che aveva in corpo su quel giovane e brillante ragazzo reo soltanto di ricordargli se stesso nei suoi anni d'oro, quelli che non sarebbero tornati mai più. Ecco perché aveva preferito "scappare".

Raggiunse gli spogliatoi e si sfilò maglietta e pantaloncino, completamente imbrattati di sudore, si tolse di dosso anche il resto ed entrò nella doccia.

Si lasciò cullare dal getto d'acqua tiepida per un po', cercando di staccare la spina ai pensieri, ma senza riuscirci. Gli sembrava che niente andasse più per il verso giusto da quando non aveva più con sé la sua donna, colei che a quell'ora avrebbe dovuto essere sua moglie e che, invece, era lontana, troppo lontana, e aspettava un figlio da un altro uomo. Non era più innamorato di lei, aveva rimesso insieme i pezzi del suo cuore, li aveva ricuciti, ma l'orgoglio no, quello era rimasto a sanguinare e non voleva saperne di smettere.

Julian e Marlene gli avevano fatto un torto troppo grande, qualcosa a cui non poteva evitare di pensare e che, piano piano, gli stava logorando l'anima.

Chiuse il rubinetto, si avvolse in un accappatoio bianco e blu e uscì, trovandosi di fronte, ancora una volta, il vincitore della consueta partita settimanale. Anche lui si era appena fatto una doccia e aveva addosso l'accappatoio bianco e blu del Westchester Country Club.

Andrew quasi non lo guardò, filando dritto alla panca su cui aveva lasciato la borsa. Tirò fuori un paio di jeans e una polo azzurra, quindi vi infilò dentro i vestiti sporchi. L'altro era poco distante, non parlava ma poteva sentire i suoi occhi addosso.

«Che vuoi, Mark?» chiese senza voltarsi.

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri e bagnati. «Chiederti scusa, non era mia intenzione mancarti di rispetto, ero ironico...»

«Non devi scusarti, ho perso ancora e tu hai vinto perché ho giocato di merda, ancora» replicò il biondo prima di mettere su la polo e sistemarne con minuzia il colletto. «Goditi il momento, però, perché non sarà sempre così. La prossima volta sarai tu a perdere» ammiccò, stavolta inchiodandolo con lo sguardo.

«Non sarebbe una novità,» ridacchiò l'altro, «sei tu il campione!»

«Non esagerare, adesso.»

«E tu non fare il falso modesto, sei la stella del club, lo sanno tutti! Devi soltanto ritrovare la giusta concentrazione. Anche se non ne parli, lo vedo che qualcosa ti preoccupa e spero che possa risolversi al più presto. A ogni modo, sappi che puoi contare su di me per ogni cosa...»

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