21. You are my fire, the one desire

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«Buongiorno, avvocato, il suo caffè!»

Jennifer era appena entrata nello studio e a lui sembrò di rivedere il sole dopo settimane di pioggia. Invece, non erano trascorse che poche ore dall'ultima volta che l'aveva vista, nuda, sensuale, eccitata, che l'aveva stretta tra le braccia, che aveva goduto con lei, dentro di lei.

Non disse niente, si limitò a sorridere appena e a osservarla.

Quella sera, in hotel, l'aveva spinta a cedere alla passione che attanagliava entrambi, ma poi, prima di fuggire via, gli aveva ribadito ancora una volta che non era il sesso ciò che desiderava, che voleva qualcuno che l'amasse e che si lasciasse amare, e quel qualcuno, purtroppo, non poteva essere lui.

Per quanto si sforzasse di superare i suoi limiti, sentiva di non essere ancora in grado di farlo, ci stava lavorando su, ma era più che certo che, fino a che non ne fosse venuto completamente fuori, iniziare una nuova relazione sarebbe stato soltanto un suicidio. E avrebbe finito per fare del male anche a una donna che, dopotutto, con i suoi drammi non c'entrava niente.

E che adorava.

Jennifer era bellissima anche quella mattina, con addosso dei pantaloni neri attillati, una giacca avvitata della stessa tinta e, sotto, una camicetta di seta che a stento riusciva a contenere quel seno magnifico che non vedeva l'ora di stringere di nuovo tra le mani.

Solo che non sarebbe accaduto, lo sapeva bene. E riuscire a domare la dolorosa erezione nei suoi pantaloni eleganti, quella volta, sarebbe stata una vera e propria impresa.

Jennifer era bellissima vestita così, ma lui la preferiva nuda, ormai, era nuda che voleva vederla. Nuda e vogliosa delle sue attenzioni.

«Perché è così difficile?» disse quando gli fu davanti, con solo la maledetta scrivania a dividerli.

«Cosa è difficile?» gli chiese lei ingenuamente. Perché era certo anche di quello, che Jennifer fosse troppo intelligente e sensibile per non essersi resa conto dell'ascendente che, ormai, esercitava su di lui.

Lo faceva andare fuori di testa, e glielo aveva anche detto, ma non si trattava solo di questo.

Con lei si sentiva diverso, non era più l'uomo tutto d'un pezzo che stava insieme a Marlene, quello che non faceva sesso senza avere sempre il controllo di tutto, che non avrebbe mai permesso alla sua fidanzata di praticargli sesso orale perché, secondo il suo personale parere, era "da prostitute" e non da brave ragazze.

Con Jennifer tutto veniva naturale, lui nemmeno aveva il tempo di pensarci a quelle fissazioni senza senso, anzi, la sua mente, quando lei era con lui - ma anche quando non c'era - era un turbine di erotismo allo stato puro, niente era più sporco, non c'era niente che non immaginasse di farle, o di farsi fare, e ogni volta finiva per meravigliarsi di quanto fosse immensa, senza limiti, la sua fantasia.

Però non poteva bastargli per sempre. Non poteva bastargli la sua mano destra e non voleva un'altra donna nel letto perché non sarebbe stato come con Jennifer.

Nessuna era come Jennifer.

«Resistere al desiderio di saltarti addosso» dichiarò con la voce colma d'eccitazione.

«Andrew... avvocato... l'altra notte ha detto che...»

«So cosa ho detto. E non darmi del lei, non adesso...»

Si alzò in piedi, tolse la giacca e allentò il nodo della cravatta. Poi, aggirò la scrivania come un predatore, prese Jennifer per i fianchi e la condusse contro di sé, di nuovo tra le sue braccia.

«Che fai?»

Jennifer era accigliata, le mani aperte premevano contro il petto virile, ma non lo stava respingendo, non ancora.

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