𝟭|| Away from here.

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10 𝐺𝑒𝑛𝑛𝑎𝑖𝑜 2012.

Avevo quasi finito di fare le valigie, guardai la stanza per controllare se avessi dimenticato qualcosa, presi le valigie e guardando quella stanza per l'ultima volta chiusi la porta.

L' unica cosa che decisi di portare con me era un piccolo quadretto contenente una foto mia e della mamma mentre eravamo in cucina intente a cucinare biscotti per la cena di Natale, di qualche anno prima: mi piaceva ricordarla così felice.
Quella foto era stata scattata dalla nonna, mentre io e la mamma ci abbracciavamo, mentre l'impasto dei biscotti era nel forno.

Ero pronta a lasciare quella casa, finalmente avevo preso coraggio ad andare via e lasciarmi alle spalle il passato che per tempo mi aveva fatta chiudere in me stessa.

Quegli ultimi anni erano stati molto difficili per me, la morte di mia madre aveva portato in me un cambiamento drastico: non ero più la persona di prima. Quando venni a sapere che non avesse resistito al tumore, mi cadde il mondo addosso, e per tempo non parlai, nè andai a scuola.

La permanenza di mio padre negli altri paesi e la sua mancanza di affetto nei miei confronti inoltre, avevano accentuato il mio senso di solitudine, non sapevo se lo facesse per non pensare alla mamma, o perché desse importanza maggiore al suo lavoro.

Ero diventata fredda e senza accorgermene in certe situazioni ero anche cattiva, ma ciò che mi distingueva dalla massa era il fatto che mi piacesse molto stare sola; passare pomeriggi chiusa in camera a leggere libri rosa e a cucinare dolci insieme alle mie nutrici e alla mia dolce e affettuosa nonna.

Per via di questo mio cambiamento avevo perso molte persone, a cui tenevo molto.
I contatti  con parenti della mia famiglia erano andati con il tempo a diminuire sempre di più e da un giorno all'altro mi ritrovai sola, non avendo grandi amici: con la maggior parte era solo uno scambio di saluti o di auguri, altri mi deridevano, perché mi definivano "sfigata".

In quegli anni potetti contare solo su una persona: la mia migliore amica, Brook.

Brook in quegli anni mi era sempre stata vicina, anche se apparteneva ad un nucleo familiare così unito da non poter capire cosa si provasse.

Avevamo stretto amicizia in un parchetto di Londra pochi anni prima mentre ero sola su una panchina ad ascoltare la musica, a causa dell' assenza di amici con cui uscire.

Ricordavo ancora l' attimo esatto in cui ci incontrammo, mentre lei era concentrata a fare una corsetta a pochi metri distanti dalla panchina dove mi trovavo io.

Si avvicinò dopo avermi osservata a lungo, per chiedermi l'orario, e ci scambiammo qualche parola, e da quel momento ci incontrammo quasi tutti i giorni al parco per fare due chiacchiere ed una passeggiata.

Prima del suo arrivo, provai qualche volta ad andare a ballare da sola, ma proprio non ce la facevo, massimo un'ora e tornavo a casa, mi sentivo fuori luogo.

Ero stata sempre un tipo di persona molto forte: negli ultimi tempi avevo avuto il dovere di portare una casa avanti, vista l'assenza di mio padre: lo vedevo partire molto spesso per lavoro, molte volte la sua permanenza negli altri stati durava mesi e mesi, oramai me n'ero fatta una ragione, e da una parte avevo trovato anche il mio equilibrio senza di lui.

Mio padre cercava di colmare la sua assenza comprandomi vestiti molto costosi, e soldi per uscire. In fondo non mi meravigliai, non aveva mai capito nulla di me.

In quel freddo giorno di Gennaio decisi finalmente di andare via, avevo bisogno di godermi quegli anni di gioventù, non potevo lasciar scorrere la mia giovinezza in una stanza a disperarmi su fatti che non avrei mai avuto una vera risposta.

Non avrei potuto trascorrere quegli anni in solitudine chiusa in una stanza senza parlare con ragazzi della mia stessa età ad eccezione di Brook, anche perché prima o poi anche lei si sarebbe stufata di me.
Stavo male quando vedevo foto delle feste della scuola, con ragazzi e ragazze a divertirsi, mentre io ero sul letto sola, poiché nessuno mi aveva invitata.

Ero ferma, incapace di realizzare cosa davvero io stessi facendo, consapevole del rischio dei miei gesti, ma da una parte sapevo che quella fosse la cosa giusta per poter scrivere e vivere un nuovo inizio in un' altra città.
Sapevo che avrebbero chiamato la polizia, e che di quella mia bravata ne avrei pagato le conseguenze, ma in fondo non m'importava.

Feci attenzione a non farmi sentire dalle mie nutrici mentre erano intente a sistemare la casa, e a preparare la cena, e approfittai del fatto che quella sera mia nonna non fosse ancora rientrata in casa, a causa di un incontro per bere una tisana con sue due amiche d' infanzia, che vivevano a pochi isolati dalla nostra casa.

In compagnia delle mie due valigie e il mio adorato zaino da viaggio mi incamminai verso l' uscita molto silenziosamente, e per poco non fui sgamata, perché caddero delle monete dalla mia tasca, sul pavimento, e si sentii il rimore.

Correndo verso l'uscita, non ci pensai due volte: scesi le scale e chiusi una volta per tutte la porta di quella casa dove avevo passato tutti gli anni della mia vita, e appoggiai le chiavi di casa sull' uscio della porta di fianco il porta ombrelli.

Avevo appena chiuso una parte del mio passato e benomale ero pronta ad un'altra vita: una vita senza più svegliarsi la mattina con un dolore che trafiggesse il petto.

Una vita migliore e lo dovevo a me stessa e alla forza che avevo sempre avuto di rimanere in piedi nonostante tutto, speranzosa del fatto che avrei conosciuto nuove persone, e forse finalmente avrei potuto avere amici.

Di quella mia fuga di casa Brook non ne era a conoscenza, avevo preferito non parlarne sapendo già che non l' avrebbe presa bene, e che il giorno dopo si sarebbe presentata fuori la porta di casa per raccontare tutto alla mia famiglia al fine di farmi riportare a casa.

Non avendo una meta ben precisa, decisi di fare due passi per le strade deserte di Londra a causa del rigido freddo.

Camminai per un'ora e ormai non sentivo più i piedi e quindi decisi di fermarmi in un piccolo parco poco distante dalla stazione, così nel caso il treno ci fosse stato poco dopo, avrei potuto raggiungere la biglietteria in pochi minuti.

Mi sedetti su una panchina, accesi una sigaretta e iniziai a fumare, a pensare a tutto ció successo nelle ultime ore e ad una meta precisa dove mi sarei potuta recare quella stessa notte.

Decisi di prendere il telefono e andare su Google per controllare gli orari dei treni disponibili quella sera stessa, e quanti cambi avrei dovuto fare di treni prima di arrivare a destinazione, anche perché la troppa differenza di orari fra un treno e l'altro, mi causava angoscia, perché era già tardi.

Successivamente aprii lo zaino ed estrassi una felpa che avevo portato per proteggermi dal freddo, ma ciò non aiutò molto.

Notai venire verso di me un gruppo di ragazzi, li scrutai bene, vidi dei classici ragazzi con giacca di pelle, jeans stracciati e una sigaretta fra le dita mentre scherzavano assieme.

Ne notai uno in particolare: era un ragazzo moro poco più alto di me con un fisico da far invidia messo ben in mostra da una maglia bianca.
Lo vidi osservarmi ma feci finta di nulla, e girai lo sguardo verso un'altra direzione.

Li notai sempre più vicini a me e quindi decisi di alzarmi ed andare via visto che non avevo alcun voglia di scambiare sguardi o parole con degli sconosciuti, d'altra parte non sapevo nemmeno se fossero pericolosi, e avessere delle intenzioni sbagliate in mente.

Mentre cercavo di allontanarmi da quel gruppetto, insieme alla mia valigia, venni fermata da una voce: mi girai per vedere di chi si trattasse e subito incontrai i suoi occhi, profondi e castani, che mi scrutavano dalla testa ai piedi.

Successivamente fu lui a parlare per primo:
SCONOSCIUTO: <<Hey scusami hai mica un accendino?>>

IO: <<Si ecco, tieni.>>

𝘾𝙡𝙤𝙨𝙚 𝙮𝙤𝙪𝙧 𝙚𝙮𝙚𝙨.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora